RABAT –
“Abbasso la tolleranza”. In Marocco, il
desiderio di distinguersi tanto dal fondamentalismo
islamico in crescita quanto dal modello occidentale
passa anche attraverso uno slogan provocatorio come
quello strillato da Tel Quel, importante settimanale
marocchino, d'orientamento peraltro progressista. La
periferia ovest del Mediterraneo è una terra
di confine, presa in mezzo tra una marea integralista
che cresce (il Partito della giustizia, la formazione
islamica nata nel 1998 è al momento al terzo
posto in Parlamento) e i tentativi timidi di modernizzazione
per diventare una società più aperta.
L'islamismo è una minaccia ma i valori occidentali
non li vuole accettare nessuno a scatola chiusa. La
società si muove, non è ancora chiaro
in quale direzione. Ma si muove.
Prendiamo il velo, indumento simbolo in agenda ai primi
posti nel mondo islamico e da noi. Un ministro egiziano
lo vuole eliminare perché i capelli delle donne
sono come le rose che nessuno si sognerebbe di nascondere;
l'Olanda vieta il burqa; da noi ci si pensa e forse
non entrerà nelle scuole. In Marocco, qualche
settimana fa una sindacalista ha denunciato il comportamento
della compagnia aerea di bandiera (la Royal Air Maroc)
che avrebbe fatto pressioni sulle sue dipendenti affinché
nessuna lo indossasse. Altre aziende l'hanno seguita
sollevando polemiche in un paese indeciso sulla strada
da prendere. Eppure, lo stesso Tel Quel contrappone
a questa “hijabfobia” (l'hijab è
il velo più liberale) una nuova “tendenza
hijab” soprattutto tra le ragazze.
Nella Medina di Rabat, a passeggio lungo le mura giallo
ocra, le adolescenti indossano il foulard sui capelli
con disinvoltura e, soprattutto, sono molte più
delle donne tra i quaranta e i cinquanta. Un mondo al
contrario, si potrebbe dire guardandolo da qua. Una
rivoluzione in senso inverso. Un po' come se nel nostro
di mondo fossero state le madri a combattere per l'emancipazione
femminile nel Sessantotto e le figlie a ostacolarla.
Oppure come se i vestiti neri tradizionali di un nostro
sud che quasi non esiste più fossero indossati
dalle ragazzine mentre mamme e nonne girassero in jeans.
Perché la direzione del costume in Marocco sembra
camminare fuori squadra, almeno agli occhi dell'occidentale?
Una domanda che è una crepa per la nostra rappresentazione
monolitica dell'identità islamica. Ma alla quale
pure qui, nel regno di Mohamed VI, si fa fatica a rispondere.
Si dice – per esempio, nelle analisi sui nostri
giornali – che le ragazze tornino a indossare
l'hijab (in arabo “ciò che nasconde”)
perché insoddisfatte dell'Occidente oppure perché
influenzate da un certo integralismo islamico. Oppure,
anche qui la società “postsecolare”,
per dirla col filosofo Jürgen Habermas, sta arrivando
come da noi. Chissà.
Al centro congressi di Skhirat, a una ventina di chilometri
da Rabat, si svolge la Giornata mondiale della filosofia
organizzata dall'Unesco. In platea, ci sarà qualche
centinaio di persone, di cui una cinquantina di giovani,
tutti con la targhetta etudiant. Tra le ragazze,
la maggior parte indossa vezzosi fazzoletti stretti
stretti a coprire i capelli. Alcuni veli sono arancio
quasi fosforescente o rosa shocking; c'è chi
li tiene fermi con mollette colorate o belle spille
vistose. Chi addirittura ci abbina un tailleur o il
vestito dello stesso colore. Si nascondono le chiome
ma si vuole che quello che le copre si veda e piaccia.
Questo revival del velo tra le giovani, anche quelle
dell'élite, non è un caso dicono le signore
marocchine, capelli corti e molto savoir faire,
che hanno combattuto in passato per scegliere come presentarsi
in pubblico. Eppure, neanche loro sanno bene come prendere
il fenomeno.
“Per ora, si tratta di una questione perlopiù
culturale. La maggior parte delle ragazze non lo indossa
per motivi religiosi. Almeno per quanto riguarda le
adolescenti. Nelle università, il fenomeno è
diverso, c'è più consapevolezza in chi
indossa il velo”. Dice così Khadira Assadi,
cinquantenne, consigliere per la comunicazione di una
Ong e con le idee ben chiare. Ci sarebbe la tradizione
a giocare un ruolo, insomma. “Percepiamo l'immagine
che avete di noi musulmani – prosegue Assadi –
tutti uguali, senza differenze, incapaci di divertirsi.
Questa immagine molto rigida e superficiale sta creando
il terreno per l'affermazione della tradizione, e del
velo”.
Driss Kattir di ragazze velate ne incontra diverse
tutti i giorni. Insegna all'Ecole Normal Superieur,
la scuola di formazione per i giovani insegnanti marocchini.
“Esistono diverse ragioni – spiega Kattir
– per questo ritorno del velo. Da una parte c'è
una questione di moralità. Che non c'entra direttamente
con la religione, viene prima. Le numerose giovani che
hanno scelto di coprirsi desiderano mostrarsi integre
moralmente. Un'altra ragione importante per questa nouvelle
vague è poi l'immagine della donna che arriva,
attraverso le tv satellitari come al Jazeera o al Arabia,
da paesi come l'Arabia Saudita, il Qatar e gli altri
paesi del Golfo. Modelli forti e vincenti di un'identità
alternativa a quella occidentale”.
Tra i giovani c'è invece chi si riferisce al
dettato del Corano. Dice Abdelhafid Sanhou, bel ragazzo
che adora Eros Ramazzotti, “le donne, in particolare
le adolescenti devono portare il velo per proteggersi
dagli uomini e nascondere la natura sexy che tutte avrebbero
per natura”. Eppure, tra le sue colleghe universitarie
ce ne sono alcune che non portano il velo sentendosi
lo stesso buone musulmane. E' difficile mettere tutti
d'accordo. E neanche il testo sacro riesce ad aiutare.
“Il velo non simbolizza per forza l'islamismo”,
puntualizza Mohamed Darif, esperto di islamismo e professore
di Scienze politiche all'università di Casablanca.
“Oggi un gran numero di ragazze sceglie il foulard,
senza che esso significhi un’adesione al radicalismo
islamico”.
“Credo che dietro questo ritorno del velo –
spiega Naima Hadj Abderrahmane, professoressa all'università
di Algeri e in viaggio qui in Marocco – non ci
sia nessun ragionamento. Le ragazze lo indossano senza
pensarci su. Si guardano intorno e vedono l'amica o
la sorella e decidono di indossarlo anche loro. Tutto
qui”. Tuttavia, le famiglie non si spaccano per
il velo. “È considerata una libera scelta
– spiega Kattir – esistono famiglie nelle
quali alcune sorelle indossano l'hijab e altre no. E
tra loro non esiste interferenza”.
Cultura, tradizione, religione, mass media. Si intuisce
che un po' di tutto questo spiega perché le giovani
tornino all'hijab. Non basta il Corano a spiegare il
nuovo boom del velo. Oppure, forse ha ancora più
ragioni Nadia Athami, giovane studentessa di Rabat.
“Penso che sia solo una moda per molte delle giovani
marocchine. In fondo, non c'è né religione
né moralità in questa scelta, col velo
o senza rimaniamo libere”. Sorride, gira la testa
e se ne va col suo elegante hijab nero fermato con una
farfalla d'argento.
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