Questo
articolo è tratto da Il
Secolo XIX
L’Iran continua a proporre due profili diversi,
se non opposti. Da una parte un paese strutturato, organicamente
costruito intorno alla figura del suo Presidente; dall’altra,
invece, una realtà autoritaria, attualmente in
una condizione di equilibrio instabile e precario, comunque
sottoposta a flussi di malcontento difficilmente governabili,
come la dura contestazione riservata da un gruppo di
studenti ad Ahmadinejad durante un discorso all’Università,
nel giorno della conferenza revisionista sull’Olocausto.
La prima versione legge la capacità mobilitante
del regime come il fondamento della sua forza e l’indicatore
del suo successo. L’Iran appare un sistema politico
e culturale, dotato di una propria religione della politica.
Ovvero un sistema che non coinvolge solo un metodo di
governo che inventa una propria tradizione per legittimarsi,
che costruisce riti, simboli, miti per consolidarsi,
ma un modo di interpretare la vita, la storia passata
e attuale, un modo di concepire la politica fino a comprendere
in essa la definizione del significato e del fine ultimo
della propria esistenza e della propria missione nella
storia.
Secondo questa analisi il regime iraniano è un
vero e proprio sistema totalitario.
La seconda versione, invece, è quella per esempio
su cui insiste costantemente la scrittrice in esilio
Azar Nafisi. L’Iran - sostiene Nafisi - è
un paese con una società civile che sopporta
con difficoltà un regime che impedisce la circolazione
della cultura, che non può rompere definitivamente
con l’Occidente, che è costretto a misurarsi
con la letteratura occidentale, con la cinematografia
e dunque con le sollecitazioni che derivano da quei
prodotti culturali (in termini di desideri, parole,
di immagini,…). Un regine che è costretto
a militarizzare la vita civile e che ancora a ventisette
anni dalla conquista del potere è sulla difensiva.
Dunque un sistema autoritario, chiuso nel suo stesso
apparato culturale, diviso o separato da un’opinione
interna che ha maturato un distacco.
Per quanto lento sia questo processo, afferma Nafisi,
quello di Ahmadiejad è solo l’ultima fase
– lunga ma non eterna – di un’agonia.
Non sarà indolore il processo. Sarà carico
di violenza ideologica, di oppressione, di tirannide,
ma il futuro è “oltre”.
La distinzione riguarda direttamente il senso della
politica che l’Europa intende perseguire a fronte
delle molte crisi mediorientali. E’ opinione di
molti che senza la Siria, ma soprattutto senza l’Iran,
sarà impossibile dare una fisionomia stabile
al Medio Oriente. Se la diagnosi è che l’Iran
sia totalitario, allora non si danno spazi. Una politica
che pensa di rendere stabile una regione in accordo
con un sistema totalitario è destinata al fallimento.
Ma è poi così vero che il regime di Ahmadinejad
sia stabile e assolutamente privo di frizioni interne?
Non proprio. Il 15 dicembre le elezioni locali rinnoveranno
molti dei consigli di villaggio e di città. Attualmente
i dati dicono che le componenti vicino ad Ahmadinejad
sono in netto calo e anzi i suoi avversari delle ali
moderate sono in rialzo. Non solo. Nello stesso periodo
verrà rinnovata la cosiddetta “Assemblea
degli Esperti” una realtà composta di 86
teologi che hanno il compito di eleggere , se necessario,
la “Guida suprema”. Anche in questo caso
la situazione non è a favore di Ahmadinejad.
Questo non significa che sia all’ordine del giorno
un veloce dissolvimento del regime, ma, più realisticamente
- sotto questo profilo, probabilmente, Azar Nafisi non
ha torto – l’aumento del tasso ideologico
costituisce un indicatore doppio: da una parte un aumento
della mobilitazione, dall’altro la necessità
di militarizzare e mobilitare l’opinione pubblica.
La partita dunque sarà lunga, ma la sua durata
dipende anche dalle strategie che si mettono in campo
da questa parte, dalla capacità di sgretolare
e di aiutare i processi di mobilitazione civile dentro
l’Iran. Ovvero, più generalmente ed estesamente,
da una lettura delle crisi mediorientali come atti politici
e non solo come effetti politici di codici culturali
del tutto impermeabili al confronto e all’ibridazione
con l’Occidente. Questo aspetto non solo è
falso, ma è anche un regalo inaspettato al fondamentalismo
perché è l’implicito riconoscimento
della sua convinzione ideologica, che vuole non solo
l’Occidente come nemico inconciliabile, ma anche
attore naturalmente estraneo e alieno rispetto all’Islam.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|