“Impariamo
dal cinema americano. Io mi schiero a favore di Butta
la Luna”, dice il Ministro degli Interni
Giuliano Amato. Commentando “a freddo” le
polemiche piovute sulla produzione Rai dedicata all’integrazione
di una coppia di nigeriane nella società italiana,
Amato aggiunge: “La fiction ha una forza conformativa,
aiuta cioè a formare un nuovo senso comune. Ha
una funzione pedagogica. E questo spaventa solo gli
ideologi del pierinismo. Perciò, se c’è
una fiction che serve a dimostrare che chi viene dall’Africa
non è cattivo, di per sé ha assolto una
funzione”.
Lei ha detto recentemente che la scuola è
fondamentale per l’integrazione, ma che anche
i media lo sono. Ma si può davvero pensare di
“modernizzare il paese a colpi di fiction”,
come qualcuno ha scritto?
Rifuggo da queste domande, perché sono sempre
paradossali. Infatti, se uno afferma: “Guardate,
l’insalata è buona e fa bene”, io
trovo un po’ un fuor d’opera che arrivi
qualcuno che domanda: “Davvero si può crescere
un neonato fin all’età dello svezzamento
ad insalata?”. È ovvio che la risposta
è no, ma non c’entra niente con il fatto
che l’insalata è buona e fa bene. Allora,
sono tanti e diversi i fattori che concorrono all’integrazione
e alla capacità di stabilire rapporti tra diversi:
vanno dal modo in cui si vive la religione, al modo
in cui sono conformati i quartieri, al tasso di criminalità
che riguarda l’una o l’altra delle comunità
che si trovano a convivere tra di loro, infine al peso
di potenti fattori esterni come sono l’esistenza
di centrali e figure simboliche, odiate o amate, che
possono essere ricondotte a talune delle minoranze.
Quindi è chiaro che in teoria la fiction di fronte
ad altre cose più influenti può addirittura
scomparire. Tuttavia essa è molto importante.
Come lo è stata, ai suoi esordi, la
tv?
Proprio così. La televisione ha dimostrato di
essere fondamentale per tante ragioni. Non voglio qui
rievocare la polemica che fu aperta nei confronti di
Tullio De Mauro quando sostenne che la televisione era
stata un fattore potente di omogeneizzazione linguistica
del paese e qualche bello spirito saltò fuori
a dire: “Ma davvero per diffondere l’italiano
serve la televisione? Benissimo, allora chiudiamo la
scuola”. Sono domande che servono ad unilateralizzare
il paradosso e non aiutano a discutere. Anche se non
mi voglio arrabbiare contro chi le pone, si tratta di
una cosa che intellettualmente mi provoca una reazione
fortemente irritata: è il pierinismo intellettuale,
che non sopporto. Faccio un altro esempio, che mi tocca
in modo particolare: ci siamo accorti che le sfilate
di moda hanno contribuito notevolmente all’anoressia.
Ora, qualcuno verrà sicuramente a dire: “Cosa
c’entra?”. Certo, so bene che altri fattori
concorrono a questo male, però si sta cercando
di fare in modo che le sfilate di moda non siano tra
i fattori che alimentano l’anoressia. Quindi,
anche la fiction può essere importante perché,
intanto, viene vista ed ha una sua forza conformativa,
che può essere messa al servizio anche di cause
positive.
Non si rischia comunque un eccesso di “pedagogismo”?
Una delle grandi qualità del cinema americano,
che è il migliore del mondo, in termini industriali
e per la qualità artistica dei suoi prodotti,
sta nel fatto che è un cinema che – come
è proprio della cultura americana – ha
dentro di sé un humus pedagogico e lo
ha utilizzato. Ecco, io mi schiero a favore di questo
humus. Ciò detto, esso – è
il punto più delicato – non si deve esprimere
soltanto nel far emergere che anche gli altri sono esseri
umani, che il nero ha delle caratteristiche che non
lo candidano ad essere il nostro schiavo del film Via
col vento; ma implica che vengano messi a nudo
i difetti degli altri.
Questo però non sempre avviene. Alcune
delle critiche a Butta la luna riguardano ad
esempio un eccesso di buonismo e di retorica nei confronti
delle figure di colore.
Considero la political correctness una delle
somme espressioni del sentimento di disuguaglianza degli
esseri umani: essa equivale a dire: “Ho tanti
complessi nei tuoi confronti che non oso neanche dirti
che hai una caccola che esce dal naso”. Tuttavia,
se c’è una fiction che serve a dimostrare
che chi viene dall’Africa non è cattivo,
di per sé ha assolto una funzione: ma non può
essere l’unica. Cioè, se io dovessi fare
un piano, includerei quella fiction, ma mi sentirei
“nauseato” se le facessi tutte così.
Una serve, ma servono nondimeno quelle che mettono in
evidenza, senza cattiveria, i difetti degli altri, come
quelli degli indigeni, cioè i nostri.
Restando sempre sul tema dell’immigrazione:
di fatto fiction e tv (con qualche eccezione), fanno
raramente vedere gli ostacoli che gli extracomunitari
incontrano di fronte alle attuali norme legislative,
in particolare quelle che prevedono il soggiorno nei
centri di permanenza e il rimpatrio.
Questo, quando accade, non è buona cosa, perché
le difficoltà e anche le asprezze, talune delle
quali inevitabili, delle norme sugli ingressi, non vanno
omesse. Di fatto, chi arriva clandestinamente viene
portato in un centro di accoglienza o in un centro di
permanenza temporaneo. Poi, dal momento che è
entrato illegalmente, viene restituito al paese di provenienza:
ma molti finiscono per rimanere, perché se non
li si può restituire, se cioè non hanno
documenti e il paese di provenienza è dubbio,
continuano a risiedere nei centri per 60 giorni, dopo
di che viene loro intimato di allontanarsi dall’Italia.
Ma l’ordine non è assistito da un accompagnamento
vero e proprio, perciò può essere in concreto
disobbedito. Molti spariscono, molti vengono ripescati,
poi processati per violazione di quell’ordine.
E lì comincia una sarabanda infernale di carcere,
liberazione, re-immersione nel nero. Questo è
un capitolo importante dell’immigrazione clandestina,
perché genera un girone di dannati, che si sta
allargando in tutta Europa.
Può anticipare, in proposito, i contenuti
del suo disegno di legge in materia di immigrazione?
No, perché ancora non esiste, abbiamo appena
finito di incontrare le associazioni di volontariato.
Il disegno di legge nascerà tra la fine di dicembre
e gli inizi di gennaio. Ma quello che posso dire è
che, indiscutibilmente, esso non avrà più
alcune delle autentiche vessazioni che la legge Bossi-Fini
prevede, vessazioni di cui hanno preso atto anche molti
parlamentari del centrodestra. Di certo, però,
non farà venir meno l’illegalità
dell’ingresso clandestino. Non c’è
sentimento di bontà e di umana solidarietà,
che chiunque prova vedendo questa gente stipata nelle
barche, che possa prevalere sul fatto che accoglierli
come se avessero un permesso di soggiorno significa
dire alla criminalità organizzata che lucra su
questi viaggi: “Continuate pure”.
L’ingresso illegale, però, talvolta
è l’unica strada per entrare.
Questo è vero solo per gli immigrati che vengono
da paesi che giustificano l’asilo politico, come
gli eritrei. Ma in moltissimi casi, se funzionasse meglio,
l’immigrazione legale potrebbe essere praticata:
è che spesso si è indotti a quella clandestina
un po’ per ignoranza, e un po’ perché
effettivamente l’immigrazione regolare è
molto complicata. Allora ci si affida al primo mascalzone
che dice: “Dammi duemila dollari che ti ci porto
io”. Poi magari ci lasciano la pelle, o nel deserto
o nel Mediterraneo. Questo va tenuto presente, perchè
non ci si può commuovere per tanti morti e poi
continuare a favorire i viaggi in cui queste morti avvengono.
Insomma, si può essere buoni ma non contraddittoriamente
buoni: anche nella bontà ci vuole coerenza.
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