Questo articolo
è tratto dall’ultimo numero di Reset.
Caro Furio Colombo,
Gianfranco Fini ha commentato molto duramente il film
di Renzo Martinelli, “Il mercante di pietre”,
lasciando di stucco Gasparri e La Russa che avevano
organizzato per lui la proiezione magnificandoglielo
come una traduzione in sceneggiatura – hanno scritto
le cronache – «delle idee sull’Islam
di Magdi Allam». Se n’è andato dichiarando
il suo disgusto per uno spettacolo islamofobo.
Il fatto non mi ha stupito. Tempo fa, dopo aver suscitato
polemiche nel suo partito per aver sottoscritto un disegno
di legge che prevede il diritto di voto alle elezioni
amministrative per gli immigrati, Fini ha partecipato
anche a un incontro, promosso da «Reset»
con l’allora ministro degli Interni tedesco Otto
Schily, in cui sosteneva, con lo stesso vigore, una
critica del razzismo e dell’islamofobia.
Ora poi abbiamo saputo (ne parla qui in un articolo
Angelo Mellone) che Fini, dopo quella proiezione gaspar-larussiana,
tornando a Montecitorio aveva anche confidato –
a completare il quadro della sua irritazione –
che la sera precedente si era guardato con soddisfazione
il vecchio film “Corvo rosso non avrai il mio
scalpo” (1972, di Sidney Pollack) un film che
apriva le porte alla conoscenza degli «indiani»
in una prospettiva nuova che oggi definiremmo «multiculturale».
In ben altra direzione vanno dunque le sue simpatie!
Ebbene, caro Furio, registrando queste notizie il mio
pensiero andava alla tua discussione con Vittorio Foa,
subito dopo la nascita del primo governo di Berlusconi
(1994) quando facemmo un libretto di «Reset»
– Il sogno di una destra normale – in cui
voi due discutevate animatamente soprattutto perché
tu resistevi a riconoscere l’avvenuta transizione
democratica di Fini, dopo il congresso di Fiuggi. Ti
eri da poco dimesso da responsabile dell’Istituto
italiano di cultura di New York, se ben ricordo, per
la medesima ragione: perché Alleanza Nazionale,
ex Msi, era entrata nel governo.
Ora vuoi finalmente riconoscere che l’ottimismo
«finiano» di Vittorio ha segnato qualche
punto? Insomma, hai cambiato idea su Fini?
Giancarlo Bosetti
La risposta di Furio Colombo
Caro direttore,
hai voluto ricordare il mio dialogo con Vittorio Foa
(1994) che «Reset» ha pubblicato con il
titolo Il sogno di una destra normale. Come
tanti, ho tratto un grande beneficio da quell’incontro
con Foa. Sono andato a rileggere quel libretto e ho
visto che ho sottolineato il passaggio in cui Vittorio
Foa ammonisce: «Guarda che il vero pericolo non
è il ritorno del fascismo e non è Fini.
Il vero pericolo è Berlusconi». I dodici
anni seguenti gli hanno dato clamorosamente ragione,
al punto che una parte dei «colonnelli»
di Fini sono diventati fiduciari personali non di Fini,
ma di Berlusconi.
Ma parliamo di Fini.
Ciò che ho detto e pensavo nella conversazione
sul sogno di una destra normale era basato su due ossessioni
(uso volentieri questa parola): la discendenza diretta
dell’Msi dal fascismo; e le prime allarmanti avvisaglie
di «sdoganamento» del fascismo. Per poter
confrontare ciò che pensavo allora e ciò
che credo di poter dire oggi occorre tenere conto di
alcuni passaggi. Tali passaggi in parte riguardano il
partito di Fini, in parte la persona e la vita del leader
di quel partito, Fini stesso. Le vicende partitiche
sono importanti e drammatiche. Prima viene Fiuggi, e
un distacco marcato dalla discendenza fascista. È
stata un’operazione difficile, coraggiosa e ben
riuscita. In termini morali e politici il nuovo partito
ha acquistato reputazione. In termini elettorali e numerici,
ha perso frange molto piccole e acquistato consensi
assai più grandi.
Dunque Fini ha realizzato uno spostamento politico importante.
Ma è inevitabile osservare separatamente i due
percorsi: quello di Fini non è circoscritto alle
esigenze del suo gruppo politico e dei suoi coerenti
doveri di leadership. Per il ministro degli Esteri di
Berlusconi è stato certamente «conveniente»
andare in Israele e rappresentare nel modo più
visibile un rapporto di solidarietà nuovo con
quel paese. Ma quel viaggio di Fini (come era avvenuto
prima, con la visita ad Auschwitz e, dopo, con il legame
di amicizia stabilito con la comunità ebraica
di Roma) non si può ridurre a una esibizione
politica. Fini è stato persuasivo nel dimostrare
il senso di ciò che stava dicendo e facendo.
È stato certamente lo spostarsi su un territorio
che prima non aveva conosciuto e che non lo aveva riguardato.
Quel territorio è anche il passato italiano e
il passato europeo.
Fini non ha finto di non vederlo, come tanti altri
protagonisti della destra hanno invece fatto. Tutto
ciò è in armonia con la reazione –
che capisco e condivido – al film di Martinelli.
Ma proprio questo non costituisce sorpresa: di fronte
ai grandi eventi della storia non vale – per una
volta – la bella frase di Eduardo «gli esami
non finiscono mai». Qui l’esame c’è
stato, è stato superato e uno come Fini si trova
al di qua del dilemma fascismo-non fascismo, in piena
area democratica. Ma, dal momento che abbiamo sollevato
il problema, in occasione di un comportamento di Fini
che in tanti – suppongo – condividiamo,
non possiamo evitare la domanda: che destra è?
Che partito di destra è quello di Alleanza Nazionale,
di cui Gianfranco Fini è presidente? Vorrei stare
al di fuori del gossip politico che è fiorito
intorno alla vicenda del film (La Russa e Gasparri gli
avevano preparato la visione del film isalmofobico come
cosa gradita, e Fini ha avuto una reazione netta di
rifiuto per quel dono), perché conta di più
il tema che ho posto: definire la destra incarnata da
Alleanza Nazionale, creatura di Fini guidata da Fini
e coprotagonista dello schieramento di centrodestra
italiano.
Diciamo subito che non è un partito conservatore,
nella tradizione dei Tories inglesi; che non
è un partito di mercato, liberismo e totale fiducia
nella iniziativa individuale. Diciamo che non assomiglia
ai partiti conservatori scandinavi e non mostra di avere
particolare interesse per Borsa, impresa e finanza.
Resta il populismo di matrice latino-americana; ma lo
spazio è interamente occupato da Berlusconi.
Resta la xenofobia chiusa e ottusa che ormai compare
in tutta Europa. Non solo quel ruolo è svolto
al meglio (al peggio) dalla Lega. Ma proprio la netta
e apprezzabile reazione di Fini al film in questione
– in linea con un comportamento che è maturato
negli anni – rende inevitabili domande che –
nella vita italiana – attendono ancora risposta:
chi è Gianfranco Fini? Qual è il suo partito?
E dove sta andando? E con chi?
Furio Colombo
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|