Quale immagine
dell’Italia viene fuori dal sesto rapporto del
Censis sulla comunicazione nel nostro paese? A ben vedere,
c’è molto di quello che ci si potrebbe
aspettare guardandosi intorno e qualche sorpresa. Molto
indietro rispetto all’Europa, per esempio, per
quanto riguarda la tecnologia digitale applicata alla
tv (la stragrande maggioranza degli italiani guarda
la televisione vecchio stampo, generalista e analogica);
siamo in ripresa nella categoria libri (saranno tutti
quei volumi che affollano da qualche anno le edicole,
infilati dentro giornali e riviste ad aver fatto schizzare
verso l’alto l’indice?). I quotidiani, al
solito, li leggono in pochi e i soliti noti. Che poi
anche questo è un discorso che gli addetti ai
lavori sanno bene (da ultimo, si veda il dossier dell’Economist
“Who killed the newspaper?” di qualche tempo
fa). Insomma, la solita Italia fanalino di coda in Europa.
Detto questo (potete leggere tutti i dati qui), accenniamo
a un altro aspetto che salta fuori dall’indagine
condotta dall’istituto presieduto da De Rita.
Chiediamoci: resta fuori qualcosa dalle griglie per
le rilevazioni del Censis? Forse sì. Vediamo
perché.
Inutile ripetere ancora una volta che il mondo dell’informazione
e, più in generale, della comunicazione da quando
è in atto la rivoluzione digitale è in
mezzo al guado. Che immagini e parole, suoni e film
siano tutti della stessa materia (se così si
possono definire i bit) non è un fatto che possa,
anche casualmente, passare inosservato se si prende
in considerazione la “dieta mediatica” degli
italiani. La questione della convergenza è
un tema cruciale per comprendere questo nostro tempo.
Per dire, nel 2006 è possibile separare in assoluto
navigare sul web e leggere un quotidiano? Intorno a
noi, fisicamente o virtualmente, conosciamo decine di
consumatori di informazione on line che hanno abbandonato
in via definitiva i quotidiani di carta. Si potrà
piangere per questa fuga, eppure purtroppo è
così. Coloro che la mattina dal proprio desk
in ufficio aprono l’homepage di Repubblica.it
stanno leggendo un quotidiano o surfando in internet?
È su questi lettori di nuovo genere che le rilevazioni
del Censis scricchiolano. È difficile tenere
separato quello che ormai sempre più spesso non
è più separato.
Altra questione. Una tabella della ricerca Censis distingue
tra la quantità di mezzi di comunicazione utilizzati.
Al top ci sarebbero i pionieri che usano 8
o più media, poi ci sarebbero gli onnivori
con 6-7 e così via fino ad arrivare ai marginali,
ovvero coloro che ogni giorno si concentrano su un medium
solo (s’immagina la tv).
Anche qui, sembra di avere a che fare con una realtà
pre-digitale. I veri pionieri oggi non sono
coloro che utilizzano addirittura otto media ma coloro
che al limite ne posseggono solo uno, che integra però
le funzioni di quelli vecchi e staccati. Facciamo qualche
esempio. Se telefoniamo via Skype (il software che permette
di sfruttare a prezzi ridotti la connettività
della Rete per chiamate anche intercontinentali) mentre
stiamo scaricando mp3 da iTunes, leggendo intanto un
quotidiano sul proprio Pc, cosa stiamo facendo? Le griglie
interpretative del Censis come ci inquadrano? Siamo
pionieri o marginali? Stiamo utilizzando uno o più
media contemporaneamente? Se per ora si tratta di un
comportamento di nicchia, per quanto già bella
larga, in breve si trasformerà in una routine
per milioni di italiani. Altro che marginali, qui si
tratta di integrati e molto bene. E non saranno solo
i manager dall’alto dei loro blackberry ad avere
l’all in one: la convergenza per tutti
è un orizzonte che è già qui.
Dopo la rivoluzione del bit, la digitalizzazione dei
contenuti di qualsiasi genere è difficile ragionare
su uno spettro articolato troppo articolato di media.
Già basta un computer e una connessione per essere
all’avanguardia.
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