La democrazia
è la legge del popolo. Per questo medesimo aspetto
i democratici la lodano e i critici della democrazia
la condannano. I critici, a cominciare da Platone, portano
un’importante argom entazione a sostegno della
loro tesi. Il popolo, affermano, non è né
sufficientemente informato né sufficientemente
riflessivo per legiferare. E dal momento che non è
adatto a legiferare , dev’essere governato da
un’élite i cui membri – come i re
filosofi di Platone – pensino più a fondo
e abbiano conoscenze migliori.
I padri fondatori americani erano assillati da questo
problema e hanno proposto, per ovviarvi, una possibile
soluzione. La loro idea – esplicitata da James
Madison – era quella di re n d e re la deliberazione
una componente chiave nella definizione della repubblica
democratica americana. Ciò implicava il “raffinare
e ampliare le opinioni del pubblico facendole passare
attraverso il vaglio di un corpo scelto di cittadini
“ – ovvero il filtrare l’opinione
pubblica attraverso dei rappresentanti che deliberassero
sulle questioni di pubblico interesse. L’Assemblea
Costituzionale – e il Senato – incarnavano
quella che Madison chiamava la sua strategia del “filtro
consecutivo “. Si supponeva che anche il Collegio
elettorale potesse garantire agli elettori una base
per deliberare (Stato per Stato) e per scegliere i candidati
più qualificati.
L’affermazione dei partiti politici – più
interessati a competere tra loro per le cariche che
a deliberare sulle politiche – ha interferito
con questa visione. E in varie fasi successive di dibattito
e ridefinizione, stimolate da antifederalisti, progressisti
e, in seguito, dalla diffusione di referendum e primarie,
si è iniziato a prestare sempre più ascolto
alla voce non filtrata della massa del pubblico di massa
(o alla voce delle élite politiche tagliate fuori
dalla massa del pubblico). Ma l’opinione di Madison
– l’idea di un processo deliberativo democratico
che serva ad affinare l’opinione pubblica –
è davvero irrilevante nelle condizioni attuali?
Possono esistere dei modi per rendere la nostra politica,
l’elaborazione delle linee d’azione e la
discussione pubblica più deliberative?
Per apprezzare a pieno la questione e i modi in cui
potrebbe essere affrontata, prendete in considerazione
il ruolo del sondaggio, una delle tecniche fondamentali
con cui nell’America democratica contemporanea
si è dato risalto alle opinioni non filtrate
del pubblico. Il celebre sondaggista George Gallup è
stato coautore di un libro intitolato The Pulse
of De - mocracy (Il polso della democrazia),
e noi seguiamo il metodo di Gallup per sentire frequentemente
il polso della collettività su qualsiasi ipotizzabile
argomento. Spesso però questi esperimenti servono
a misurare poco più che le impressioni del pubblico
su slogan e titoli di giornale. E la manipolazione o
produzione di tali impressioni attraverso pubblicità
da focus group e campagne di pubbliche relazioni sono
diventate un importante settore d’impresa. La
discussione pubblica è stata colonizzata da un’industria
della persuasione che più che madisoniana potrebbe
essere definita “da Madison Avenue “. Tale
approccio all’opinione pubblica rappresenta un
brusco allontanamento dalla visione originaria di Gallup,
che enfatizza il ruolo del sondaggio nella formazione
di un’opinione ponderata.
Dopo l’iniziale trionfo del sondaggio in occasione
delle elezioni del 1936 (di cui riuscì a prevedere
il risultato), Gallup esplicitò quelle aspirazioni
democratiche in una memorabile lezione a Princeton.
Il sondaggio, sosteneva Gallup, avrebbe trasferito la
democrazia diretta delle assemblee cittadine del New
England al livello dello Stato-nazione. “Radio
e giornali guidano il dibattito sulle questioni di interesse
nazionale [...] esattamente come i cittadini facevano
di persona nelle vecchie assemblee”. Poi, attraverso
il sondaggio, “la gente, dopo aver ascoltato gli
argomenti di entrambe le parti su ogni questione, avrebbe
potuto esprimere la propria volontà”. Sarebbe
stato come se “l’intera nazione si fosse
trovata letteralmente riunita in un’unica grande
stanza”.
Dopo settant’anni di ricerche sull’opinione
pubblica, riconosciamo sia la forza che i limiti di
questa visione. La forza consiste nel poter registrare
il battito del pubblico praticamente su qualsiasi tema
su base regolare. I limiti derivano da quel che viene
misurato, e sono fondamentalmente tre.
Primo, per quanto tutti possano trovarsi, in un certo
senso, in “un’unica grande stanza”,
quella stanza è così grande che spesso
nessuno presta davvero ascolto, e nessuno è veramente
motivato a riflettere sugli argomenti proposti. Negli
anni Cinquanta, l’economista politico Anthony
Downs ha coniato una definizione di questo fenomeno:
“ignoranza razionale”. Se il mio voto o
la mia opinione sono solo uno su milioni, perché
dovrei sprecare tempo e sforzi ad informarmi su complesse
questioni politiche? Il mio singolo voto o la mia opinione
non faranno alcuna differenza. Senza contare che la
maggior parte di noi ha necessità più
urgenti a cui dedicare il proprio tempo e la propria
attenzione.
Il ben documentato bassissimo livello di informazione
del pubblico potrà sembrare biasimabile ai teorici
della democrazia, ma è comprensibile considerando
gli incentivi che ogni singolo cittadino si trova di
fronte.
Secondo, a volte le “opinioni” riportate
nei sondaggi non esistono. Spesso agli intervistati
non va di rispondere “Non lo so”, così
preferiscono dare una risposta più o meno a caso.
Quando George Bishop della Università di Cincinnati
nel corso di un sondaggio pose domande in merito al
“Public Affairs Act del 1975”, il pubblico
espresse un’opinione anche se la legge in oggetto
era assolutamente un’invenzione (e la espresse
anche quando il “Washington Post “ celebrò
il ventennale del finto provvedimento proponendone l’abrogazione).
Ovviamente, su certi argomenti il pubblico ha opinioni
ben consolidate, ma su molti altri i suoi punti di vista
possono rappresentare niente più che impressioni
spontanee.
Il terzo limite deriva dalle modalità con cui
la gente sceglie i propri interlocutori e le fonti di
informazione. Anche quando discutono di politica e programmi
– molti americani lo fanno – le persone
tendono a parlare con i loro simili, con individui che
provengono da contesti sociali analoghi e spesso portatori
di punti di vista somiglianti ai loro. Quando una questione
controversa divide il paese, e si conosce qualcuno che
sta dall’altra parte, è più probabile
che ci si ritrovi a parlare del tempo che non a rischiare
attriti potenzialmente spiacevoli. E la sempre crescente
possibilità di scegliere fra le varie fonti di
informazione, da Internet alla Tv via cavo, può
solo favorire la tendenza della gente a prestare ascolto
principalmente a chi la pensa come lei (vedi il New
Democracy Forum “Is the Internet Bad for Democracy?”,
“Boston Review “, estate 2001).
Che le cose stiano o meno peggiorando, comunque, è
evidente che esiste un problema importante. Nella sua
famosa difesa della libertà personale nel saggio
Sulla libertà, John Stuart Mill sostiene
che una società libera dovrebbe esporre i suoi
cittadini alla diversità, a differenti “esperimenti
di vita”, che servirebbero ad alimentare l’individualità
(termine in cui Mill inglobava l’autoesame individuale
e la scelta informata tra contrapposte idee e contrapposti
stili di vita). Una visione così potente dei
vantaggi della libertà viene compromessa se i
cittadini esercitano invece la loro libertà di
evitare di esporsi alla diversità.
Questi tre problemi dell’opinione pubblica –
ignoranza razionale, non opinioni e tendenza di chi
la pensa nello stesso modo a fare gruppo – può
influire sulla capacità o meno dei sondaggi di
determinare l’espressione da parte del pubblico
di giudizi ponderati sulla politica e sui programmi.
Se fatti bene, i sondaggi possono riflettere accuratamente
lo stato dell’opinione pubblica su un dato argomento.
Tuttavia, il fatto che le risposte registrate dai sondaggi
rivelino giudizi ponderati oppure no non dipende dalle
tecniche utilizzate quanto piuttosto dalla qualità
della prassi democratica.
Gallup, tra gli altri, ha dimostrato che mutamenti
informali e non ufficiali nella prassi democratica possono
influire sulle modalità con cui l’opinione
pubblica interpreta la politica. Esiste, nel contesto
della modernità, un modo per combinare tra loro
le aspirazioni di Madison e quelle di Gallup?
Il progetto che ho chiamato “Sondaggio deliberativo”
costituisce una promettente risposta a tale domanda.
Mentre i sondaggi tradizionali sono composti di un unico
passaggio, il sondaggio deliberativo – che abbiamo
condotto finora quasi 50 volte – ha luogo in diverse
fasi, che hanno inizio da un sondaggio di stampo tradizionale:
abbiamo consultato i danesi sull’euro, i texani
sulla gestione dei servizi di pubblica utilità,
vari campioni di cittadini americani sulla politica
estera, e un distretto cinese sulle opere pubbliche.
Dopo aver completato il sondaggio, invitiamo gli intervistati
a riunirsi per discutere, in genere facendoli riprendere
dalla televisione (ma di recente abbiamo anche lanciato
una versione via Internet che abbatte notevolmente i
costi). Per incoraggiarli a partecipare, forniamo loro
incentivi di tipo economico pagando un onorario più
le spese di viaggio. Quel che più importa, cerchiamo
di convincerli che la loro voce conta. Un sondaggio
deliberativo su scala nazionale generalmente riunisce
nello stesso posto per un fine settimana lungo tra i
300 e i 500 partecipanti – un campione abbastanza
ampio perché le risposte siano statisticamente
significative, ma abbastanza circoscritto per essere
sufficientemente pratico (somministrando il sondaggio
prima di invitare gli intervistati all’incontro
di persona possiamo confrontare tra loro opinioni e
caratteristiche demografiche di chi viene e chi no.
Di solito riscontriamo pochissime differenze statisticamente
rilevanti).
Il microcosmo che si riunisce per un sondaggio deliberativo
nazionale realizza la visione di Gallup ma in modo diverso
da come egli aveva immaginato. È una nazione
in una stanza, ma in una stanza di dimensioni gestibili,
ovvero abbastanza piccola perché i partecipanti
possano ragionevolmente credere che in quel processo
la loro voce conterà. Prima dell’incontro,
agli intervistati vengono forniti dei materiali informativi
che illustrano nel dettaglio le principali opzioni politiche
contrapposte e le argomentazioni a loro favore e sfavore.
Tali documentazioni, spesso preparate da comitati di
consulenza rappresentativi degli organizzatori chiave
dell’evento, tentano di evidenziare ciò
che un qualunque cittadino informato dovrebbe sapere
circa la discussione attuale in merito all’argomento
trattato.
A volte lo stesso convincere gli organizzatori a concordare
una versione accurata ed equilibrata del materiale ha
richiesto un grande sforzo deliberativo. Prima del sondaggio
deliberativo nazionale australiano sul fatto che la
nazione dovesse o meno diventare una repubblica (realizzato
in collaborazione con il dott. Pam Ryan e con Issues
Deliberation Australia), il comitato di consulenza,
che includeva gruppi sia favorevoli che contrari al
referendum, è passato attraverso ben 19 bozze
successive.
Una volta arrivati, i partecipanti vengono assegnati
casualmente a piccoli gruppi di discussione coordinati
da moderatori appositamente preparati che cercano di
aiutare i gruppetti ad analizzare le varie questioni
e anche a individuare delle domande chiave che vorrebbero
sottoporre ai panel di esperti e politici esponenti
delle diverse posizioni. Nel fine settimana si alternano
piccoli gruppi di discussione di approssimativamente
15 componenti e sedute plenarie in cui tutti e 300 o
400 i partecipanti vengono riuniti per porre le loro
domande a politici ed esperti. A fine weekend, viene
somministrato lo stesso questionario dell’inizio.
Idealmente, c’è anche un gruppo di controllo
– un campione separato di individui che non hanno
preso parte alle discussioni – che viene sottoposto
allo stesso questionario per accertarsi che i cambiamenti
d’opinione risultino davvero dal processo deliberativo
e non dai media o dagli avvenimenti del mondo esterno.
Il processo – condotto su scala sia nazionale
che locale negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Australia,
Canada, Taiwan, Danimarca, Bulgaria, Ungheria e più
di recente anche in Cina – risponde alle tre problematiche
fondamentali relative alle modalità con cui l’opinione
pubblica viene misurata nei sondaggi tradizionali. Primo,
i partecipanti sono effettivamente motivati a informarsi
di più, e la motivazione pare fare una gran differenza.
Prendete, per esempio, il sondaggio deliberativo sulla
politica estera statunitense trasmesso in diretta Tv
nazionale nel 2003. Prima della deliberazione, solo
il 19 per cento del campione sapeva (o immaginava) che
i sussidi ai paesi esteri costituivano l’un per
cento se non meno del budget americano, un risultato
conforme a quello di altri sondaggi di stampo convenzionale.
Dopo la deliberazione, invece, la percentuale di intervistati
che rispondeva che effettivamente quella voce di spesa
corrispondeva all’un per cento o meno era salita
al 64 per cento. Oltretutto, l’informazione aveva
modificato le opinioni della gente in merito. Prima
della deliberazione la maggior parte dei partecipanti
erano propensi alla riduzione dei sussidi. Dopo la deliberazione
la maggioranza voleva incrementarli.
A volte gli effetti della deliberazione sono personali
oltre che politici, come esemplificato dal caso di una
donna che prese parte al primo sondaggio deliberativo,
nel 1994, sulla criminalità nel Regno Unito.
In quell’occasione la donna mi si avvicinò
e mi disse che era lì per accompagnare il marito
e voleva ringraziarmi. In trent’anni di matrimonio,
il marito non aveva mai letto un giornale. Ma dopo essere
stato invitato a quell’evento aveva iniziato a
leggere “tutti i giornali tutti i giorni “
e “stava trovando nuovi interessi nell’essere
in pensione “. Gli avevamo dato un motivo per
informarsi di più e per superare l’ignoranza
razionale. La deliberazione può cambiare le abitudini
di una vita. Quando siamo tornati a riesaminare lo stesso
campione britannico, circa undici mesi dopo, abbiamo
trovato i suoi componenti ancor più informati
di quanto non fossero al termine del fine settimana.
Presumibilmente, una volta riattivati dalle intense
discussioni del weekend deliberativo avevano continuato
a leggere i giornali e a prestare attenzione ai media.
Il secondo problema del sondaggio tradizionale è
che a volte le risposte alle domande non esprimono opinioni
reali ma semplicemente la prima cosa che è venuta
in mente all’intervistato. Questo fenomeno è
stato descritto per la prima volta dall’eminente
politologo Philip Converse. Un panel dei National Election
Studies fu sottoposto alla stessa serie di domande dal
1956 al 1960. Le domande vertevano su tematiche poco
salienti, come per esempio il ruolo del governo nella
fornitura della corrente elettrica. Converse notò
come alcuni intervistati dessero risposte che sembravano
variare pressoché a caso nel corso del panel.
Importava loro così poco dell’argomento
in oggetto che non riuscivano nemmeno a ricordare cosa
avessero detto l’anno prima per cercare di mantenersi
coerenti. Converse concluse dunque che molte persone
rispondessero semplicemente a caso. Nel sondaggio deliberativo,
i comuni cittadini sono effettivamente motivati a prendere
in considerazione gli argomenti contrapposti, a chiedere
risposte alle proprie domande, e ad arrivare a un giudizio
ponderato. Anche se non hanno un’opinione quando
vengono contattati per la prima volta, molti se ne formeranno
una entro la fine del processo.
Nel 1996 sono stato contattato da alcune aziende elettriche
del Texas che in base a un nuovo provvedimento dovevano
inserire nelle proprie attività di pianificazione
la consultazione della popolazione residente. Avrebbero
dovuto sfruttare il carbone, il gas naturale o le rinnovabili
(eolico o solare)? Avrebbero dovuto tentare di ridurre
l’urgenza di maggiori quantitativi di energia
attraverso pratiche di conservazione?
Non potevano determinare lo stato dell’opinione
pubblica tramite sondaggi tradizionali perché
i loro consumatori non avevano a loro disposizione abbastanza
informazioni per potersi formare opinioni stabili e
reali sull’argomento. Ma se avessero consultato
dei focus group o dei microgruppi di discussione, sapevano
che non avrebbero mai potuto dimostrare agli enti regolatori
che quei gruppetti erano rappresentativi della collettività.
E se avessero indetto delle assemblee cittadine aperte
a tutti, vi avrebbero partecipato anche lobby ed esponenti
di interessi specifici, non la massa del pubblico. Così
avevano concluso che il sondaggio deliberativo costituiva
una soluzione migliore. Abbiamo messo insieme un comitato
organizzatore rappresentativo di tutti i maggiori collegi
elettorali che supervisionasse la creazione dei materiali
informativi, di un questionario e dell’agenda
del fine settimana. Il comitato di consulenza comprendeva
associazioni di consumatori, organizzazioni ambientaliste,
sostenitori sia dell’energia alternativa che delle
fonti più tradizionali e rappresentanti dei grandi
investitori. Abbiamo chiesto che l’evento fosse
pubblico e trasparente; il fine settimana deliberativo
è stato trasmesso in televisione in tutta l’area
coperta dal servizio, e hanno partecipato anche i commissari
per i servizi di pubblica utilità. Il progetto
era frutto di una collaborazione con Dennis Thomas,
ex presidente della Public Utility Commission del Texas,
Will Guild, direttore di una società di ricerche
statistiche texana, e il mio collega Robert Luskin.
I risultati sono stati sorprendenti. In otto sondaggi
deliberativi condotti in varie zone del Texas e in parte
della vicina Louisiana, il pubblico ha optato per una
scaltra combinazione di gas naturale, rinnovabili e
conservazione. La percentuale complessiva della gente
disposta a pagare un di più sulla propria bolletta
mensile per sostenere lo sviluppo delle rinnovabili
è passata dal 52 all’84 per cento. La percentuale
della gente disposta a pagare di più per sostenere
le strategie di conservazione è passata dal 43
al 73 per cento. Tutte le pianificazioni risultanti
prevedevano sostanziosi investimenti nelle rinnovabili,
e ciò ha trasformato il Texas nel secondo Stato
al mondo (dopo la California) nel settore dell’eolico.
Indubbiamente, molte delle opinioni espresse alla fine
replicavano le non opinioni (per usare la terminologia
di Converse) o i pareri fantasma dell’inizio.
Ma il punto è che in realtà si trattava
di giudizi ponderati di microcosmi rappresentativi,
e spalancavano una finestra su quel che il pubblico
avrebbe pensato nelle condizioni deliberative ideali.
Il terzo problema che il sondaggio deliberativo cerca
di affrontare consiste nel fatto che i cittadini normalmente
tendono a parlare con gente che la pensa come loro e
raramente viene loro richiesto di confrontarsi seriamente
con le argomentazioni di punti di vista diversi. L’esperienza
del sondaggio deliberativo nazionale danese sull’euro
dimostra la differenza tra discussione faccia a faccia
tra le pareti domestiche e il contesto più equilibrato
del sondaggio deliberativo. Il progetto è stato
frutto di una collaborazione con un team di politologi
danesi guidati da Kasper M. Hansen e Vibeke Normann
Andersen. Sull’adozione dell’euro, la Danimarca
era più o meno spaccata a metà. Il questionario
comprendeva domande di conoscenza della questione, parimenti
divise in argomenti sollecitati sia dai sostenitori
del “sì” che da quelli del “no”.
Tra il momento in cui i partecipanti sono stati intervistati
la prima volta e quello in cui sono arrivati all’incontro,
è stato somministrato un ulteriore questionario,
che ha dimostrato come in preparazione dell’evento
i sostenitori del “sì” tendessero
ad acquisire informazioni sulla posizione del “sì”
ma non su quella del “no”, e viceversa.
I favorevoli al “sì” sapevano, per
esempio, che la Danimarca era già impegnata in
iniziative di cooperazione monetaria con altri paesi,
mentre i favorevoli al “no” sapevano che
se la Danimarca avesse adottato l’euro non avrebbe
più potuto stabilire autonomamente i tassi di
interesse. Entrambe le fazioni avevano a loro disposizione
tutte le informazioni, ma le avevano apprese selettivamente.
Al momento del questionario finale, somministrato al
termine del weekend, il divario era stato colmato. I
“sì” avevano imparato le informazioni
“contro” e i “no” quelle “pro”.
Il sondaggio deliberativo aveva creato uno spazio pubblico
in cui la gente aveva potuto ragionare insieme, a prescindere
dal loro disaccordo di base su una questione che divideva
nettamente il paese.
A volte il peso di una posizione opposta è emotivo
oltre che cognitivo. In occasione della National Issues
Convention del 1996, sondaggio deliberativo trasmesso
in Tv che ha coinvolto candidati alla presidenza e un
campione casuale di popolazione americana, uno dei temi
in oggetto era la riforma del welfare e la situazione
attuale delle famiglie americane. Un bianco conservatore
di 84 anni era capitato nello stesso microgruppo di
un’afroamericana mantenuta dalla previdenza sociale.
All’inizio della discussione, il conservatore
disse alla donna: “Tu non hai una famiglia”,
spiegando che “famiglia” significava “un
padre e una madre che vivono nella stessa casa con dei
figli”. Il moderatore ha fatto in modo che la
discussione andasse avanti, e alla fine del weekend
il vecchio è stato sentito dire alla stessa donna
“Sa quali sono le tre parole più importanti
in inglese? I WAS WRONG (mi sono sbagliato)”.
Ho interpretato quella frase come un’ammissione,
da parte dell’uomo, che aveva compreso la situazione
della donna dal suo punto di vista, mentre in condizioni
normali quei due non avrebbero mai avuto occasione di
discutere seriamente di famiglia, e per quell’uomo
“previdenza sociale per le madri sole” sarebbe
rimasto per sempre uno slogan televisivo. Se vogliamo
capire le posizioni opposte alle nostre dobbiamo parlare
con gente diversa da noi, e comprenderne preoccupazioni
e valori dal loro punto di vista. La discussione condotta
in uno spazio pubblico sicuro con campioni casuali,
ad assegnazione casuale, può realizzare quest’obiettivo.
Più di recente, il sondaggio deliberativo è
stato utilizzato per prendere decisioni a livello locale
in Cina. Molti villaggi e città nelle aree a
rapido sviluppo demografico della Cina hanno tentato
di consultare in qualche modo il pubblico in merito
alle politiche locali. Ma nella maggior parte dei casi
si è ricorso ad assemblee cittadine in cui la
partecipazione è distorta e dominano gli interessi
organizzati. Ad aprile (insieme al politologo australiano
Baogang He) abbiamo effettuato il primo sondaggio deliberativo
cinese nella città di Wenling (circa 300 chilometri
a sud di Shangai), nel distretto di Zeguo. A un campione
casuale di oltre 250 persone è stato chiesto
di deliberare sulla base di informazioni accurate e
bilanciate per poi scegliere i dieci progetti infrastrutturali
che avrebbero preferito veder realizzati su un elenco
di trenta. Dopo aver soppesato i vantaggi di strade,
parchi ed altre proposte, hanno optato per una lista
i cui primi posti erano occupati da impianti fognari
e pianificazione ambientale. Le esatte priorità
manifestate dal microcosmo deliberativo sono state successivamente
ratificate dal Congresso Popolare locale e sono ora
in corso di implementazione. Ai funzionari locali che
si trovavano di fronte a una difficile scelta di budget
tra vari progetti concorrenti, i risultati del sondaggio
hanno offerto trasparenza nonché un modo per
lasciar decidere la gente senza ridurre tutto alla competizione
tra partiti. Adesso sono in fase di pianificazione anche
altri progetti.
L’esperienza cinese solleva un importante interrogativo
riguardo al significato politico del sondaggio deliberativo
nelle democrazie sviluppate: avendo a disposizione sistemi
consolidati di rappresentatività, perché
i politici dovrebbero prestare attenzione alle opinioni
espresse dal sondaggio? Dopo tutto, la maggior parte
della gente non riflette seriamente sulle diverse posizioni
che si contrappongono in riferimento a una data questione
politica. La maggior parte della gente è poco
informata e capace di pochissima concentrazione. Supponete
di essere dei rappresentanti politici democraticamente
eletti. Supponete di sapere che la maggior parte dei
vostri elettori preferirebbe ridurre i sussidi ai paesi
esteri in via di sviluppo. Ma sapete anche che quella
gente ritiene – erroneamente – che i sussidi
costituiscano una delle voci di spesa di maggiore incidenza
nel budget americano. Vi importerebbe molto sapere che
se i cittadini capissero che i sussidi ai paesi stranieri
sono un voce minore del budget vorrebbero incrementarli?
I politici con cui ho parlato mi hanno tutti risposto
che importa molto, che ritengono che sarebbe giusto
conoscere le opinioni informate dei propri elettori.
E tale convinzione suggerisce l’esistenza di una
terza posizione intermedia nel classico dilemma tra
l’idea che i rappresentanti del popolo debbano
seguire la volontà dei propri elettori e l’idea
che invece debbano fare ciò che credono giusto.
La terza posizione consiste nell’idea che i rappresentanti
debbano fare ciò che i loro elettori auspicherebbero
se fossero ben informati sull’oggetto della discussione.
Perfino Edmund Burke ha fatto riferimento a questa nozione
quando ha affermato, nel celebre “Discorso agli
elettori di Bristol” in cui difendeva l’indipendenza
di giudizio dei rappresentanti politici, che se solo
gli elettori avessero saputo quello che sapeva lui –
a circa 600 chilometri da Londra – sarebbero stati
d’accordo con lui.
Ecco che dunque i compiti fondamentali del legislatore
sembrano essere sostanzialmente tre: rappresentare la
volontà degli elettori, fare quella che ritiene
la cosa migliore, ed esprimere l’ipotetico punto
di vista informato della popolazione. Come mi disse
un ex membro di un’influente lobby del Congresso
americano “la maggior parte dei politici farebbe
la cosa giusta se solo poi potesse cavarsela”.
Il sondaggio deliberativo, se ampiamente pubblicizzato
dai media, offre alla classe politica una copertura
per riuscirci. In termini di teoria democratica, dare
a dei campioni casuali di comuni cittadini il potere
di prendere delle decisioni politiche presenta alcuni
vantaggi rispetto al conferire lo stesso potere a dei
rappresentanti eletti. I cittadini possono infatti confrontarsi
con le varie questioni senza timore delle possibili
implicazioni per la loro rielezione. Non sono soggetti
alla disciplina di partito. Possono esprimere il proprio
sincero punto di vista alla fine del processo senza
preoccuparsi delle pressioni sociali al consenso. Per
rifarsi alle parole di Madison, il processo insito nel
sondaggio deliberativo sembra capace di raffinare e
ampliare l’opinione pubblica, coniugando il buon
senso che deriva dalla deliberazione con l’impegno
civico che si accompagna alla democrazia. Il risultato
è qualcosa di simile a ciò che Gallup
auspicava per il sondaggio tradizionale: un’assemblea
cittadina su scala nazionale. Ma per raccogliere l’opinione
informata e rappresentativa del pubblico ci vuole ben
più che un sondaggio. Occorrono un’istituzione
che faciliti la discussione e garantisca l’accesso
a informazioni corrette e ad esperti di diverse posizioni,
e uno spazio pubblico in cui la gente si senta libera
di esprimersi.
Traduzione di Chiara Rizzo
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