310 - 24.11.06


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America, le due
facce di una potenza

Sergio Fabbrini
con Fabio Amato


Un’America più multilaterale, forse più vicina all'Europa, ma ancora non in grado di separarsi da Bush. Dopo le elezioni di mezzo termine il professor Sergio Fabbrini dipinge una potenza a due facce. Da un lato quella istituzionale, rivoltata nel tempo di uno scrutinio elettorale. Dall'altro l'America profonda, quella “da conoscere girando con i Greyhound”, conservatrice e figlia del sentimento religioso. In mezzo il grande guado dell'Iraq, in cui chiunque rischia di restare impantanato.

Eppure, professore, per i repubblicani i risultati delle elezioni mid-term sono andati peggio del previsto...

È un risultato rilevante, perché nonostante le “trappole istituzionali” introdotte dai repubblicani negli ultimi anni – mi riferisco ai collegi ridisegnati in modo da impedire la formazione di maggioranze democratiche – gli elettori sono riusciti ad esprimere il loro voto. E tuttavia non si può dire che ci sia stato un cambiamento radicale in America. Istituzionale, questo sì, ma non un cambiamento significativo sul piano culturale.

Perché?

Intanto perché la partecipazione è cresciuta, ma di poco rispetto alle mid-term elections del 2002. E poi perché in molti collegi la vittoria dei democratici è di strettissima misura.
Dal punto di vista di “dove va l'America?”, le trasformazioni della società e della sua cultura, la mia impressione è che l'America si stia allontanando dal neoconservatorismo – del resto i repubblicani che hanno conservato più facilmente il proprio seggio sono i più moderati – ma il paese continui ad essere spaccato. Il pendolo con cui gli Stati Uniti sono stati spesso interpretati – penso a studiosi come Schlesinger – ancora non è andato dalla parte opposta a quella degli ultimi anni.

Sul piano istituzionale, invece, cosa cambia?

Le cose cambiano seriamente. Intanto, perché la maggioranza alla Camera dei rappresentanti è una maggioranza sicura. Certo, i democratici del sud sono relativamente più conservatori, ma la speakership affidata a Nancy Pelosi farà sì che debbano tenere sotto controllo i loro istinti. Contrariamente a quanto si pensa la Camera è importante, perché grazie al controllo delle finanze può tenere sotto controllo anche la politica estera, e spostare gli eserciti, naturalmente, costa parecchio...

Come potrà Bush governare quel che gli resta del mandato in questo nuovo scenario?

In realtà siamo di fronte ad una prassi tipica della politica americana del secondo dopoguerra. Viene chiamata “condizione di governo separato”, quando il congresso va a un partito e la presidenza all'altro. Dal 1946 ad oggi è successo per circa il 75% del tempo... Da questo punto di vista il periodo che va dal 2002 al 2006 è stato un periodo eccezionale, con una maggioranza così forte al partito del presidente. Ma è una eccezione rispetto ad una norma che si è imposta quando gli elettori hanno ridotto il grado di collegamento con i due partiti...

Cosa intende?

Gli elettori non si fidano di nessuno dei due partiti e la scelta che si è messa in moto è stata di dividere le maggioranze. Il caso di Clinton è stato quello più clamoroso, perché dal 1994 – è stato eletto nel 1992 – si è trovato di fronte a un congresso tornato repubblicano per la prima volta dal new deal. Anche l'impeachment che ha dovuto affrontare nel secondo mandato aveva natura esclusivamente politica e niente a che fare con i suoi gusti per le giovani donne... In ogni caso, la norma è agevolata dal fatto che né il presidente né le camere hanno bisogno della rispettiva fiducia come accade, ad esempio, in un sistema politico come il nostro.
La mia impressione è che comunque Bush non potrà andare alla guerra contro un congresso democratico. È alla fine del suo mandato, e come si sa i presidenti alla fine del secondo mandato sono delle “anatre zoppe”. In secondo luogo, il clima nel paese è contro di lui. La guerra in Iraq l'ha reso molto impopolare.

Dunque cosa può fare?

Credo dovrà ritrovare lo spirito di quando era governatore del Texas con un legislativo democratico. In quel periodo fu in grado di svolgere politiche “bipartigiane”. Forse in questo modo potrà portare a casa un minimo di onore, visto che la gloria certamente non la potrà avere.
Tra i democratici liberal, però, si parla di inchieste della Camera sulla gestione dell'amministrazione negli ultimi anni. Il congresso ha grande potere di controllo, e se scavando troverà qualcosa di particolarmente brutto, la situazione in America potrebbe diventare molto più conflittuale. Certamente i democratici hanno subito moltissimo e se vogliono la presidenza hanno tutto l'interesse a scoperchiare il vaso.

Come cambia il rapporto con l'Europa? Nancy Pelosi ha già annunciato il ritorno al multilateralismo...

Per l'Europa che ha criticato gli Stati Uniti è una boccata d'aria. Credo che questo risultato metterà in difficoltà la Gran Bretagna. Non a caso Blair si è distanziato sulla pena di morte a Saddam Hussein, due anni fa sarebbe stato improbabile. E con Blair saranno in difficoltà anche paesi la cui lealtà atlantica è così acritica da renderli sospetti nella loro lealtà europea, penso alla Polonia. In ogni caso l'America è talmente coinvolta sul piano militare che un congresso democratico non potrà dire semplicemente “torniamo tutti a casa”. Ci saranno delle tensioni, anche se il vento adesso è a favore dell'Europa. La Rice dovrà accelerare verso il multilateralismo e verso la soluzione del problema palestinese: la strada per Bagdad passa prima di tutto da Gerusalemme.

Bush subisce la prima sconfitta da sei anni. Non le sembra strano che l'opposizione contro di lui sia così forte e consapevole in Europa, e ancora così leggera negli Stati Uniti?

È la stessa domanda che gli americani mi fanno su Berlusconi... Dietro Bush c'è una parte di America profondamente conservatrice, interessi economici fortissimi, intere città che vivono sulle commesse militari. Tutto il sud dove i repubblicani sono forti è legata alle basi militari. E poi il religious renewal, l'anima religiosa dell'America per noi è quasi incomprensibile. Sul piano religioso gli Stati uniti sono quasi comparabili a un paese islamico, non ai paesi dell'Europa occidentale.

Ancora una volta ci sono state polemiche sul meccanismo di voto. Non le sembra un paradosso che la più grande democrazia del mondo abbia una prassi elettorale che si inceppa con tanta facilità?

Lo è, ed è incredibile. È uno degli aspetti più incredibili della storia americana. Dipende dalla tradizione confederale, nata con l'idea jeffersoniana che le località dovessero essere i luoghi di espressione della popolazione e l'impegno dovesse essere individuale. Le contee hanno conservato il diritto ad organizzare autonomamente la raccolta dei voti, così che a pochi chilometri di distanza troverà posti dove il voto è organizzato in modo razionale, e altri dove ancora si vota con le cosiddette “farfalle”, con i buchi che corrispondono – forse – ai candidati.
Del resto gli americani dicono che ogni politica è politica locale. In realtà l'America è così potente e le sue scelte influenzano così tanto il resto del mondo che dovremmo poter votare tutti per le elezioni dei loro rappresentanti.

 

 


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