Un’America
più multilaterale, forse più vicina all'Europa,
ma ancora non in grado di separarsi da Bush. Dopo le
elezioni di mezzo termine il professor Sergio Fabbrini
dipinge una potenza a due facce. Da un lato quella istituzionale,
rivoltata nel tempo di uno scrutinio elettorale. Dall'altro
l'America profonda, quella “da conoscere girando
con i Greyhound”, conservatrice e figlia del sentimento
religioso. In mezzo il grande guado dell'Iraq, in cui
chiunque rischia di restare impantanato.
Eppure, professore, per i repubblicani i risultati
delle elezioni mid-term sono andati peggio
del previsto...
È un risultato rilevante, perché nonostante
le “trappole istituzionali” introdotte dai
repubblicani negli ultimi anni – mi riferisco
ai collegi ridisegnati in modo da impedire la formazione
di maggioranze democratiche – gli elettori sono
riusciti ad esprimere il loro voto. E tuttavia non si
può dire che ci sia stato un cambiamento radicale
in America. Istituzionale, questo sì, ma non
un cambiamento significativo sul piano culturale.
Perché?
Intanto perché la partecipazione è cresciuta,
ma di poco rispetto alle mid-term elections
del 2002. E poi perché in molti collegi la vittoria
dei democratici è di strettissima misura.
Dal punto di vista di “dove va l'America?”,
le trasformazioni della società e della sua cultura,
la mia impressione è che l'America si stia allontanando
dal neoconservatorismo – del resto i repubblicani
che hanno conservato più facilmente il proprio
seggio sono i più moderati – ma il paese
continui ad essere spaccato. Il pendolo con cui gli
Stati Uniti sono stati spesso interpretati – penso
a studiosi come Schlesinger – ancora non è
andato dalla parte opposta a quella degli ultimi anni.
Sul piano istituzionale, invece, cosa cambia?
Le cose cambiano seriamente. Intanto, perché
la maggioranza alla Camera dei rappresentanti è
una maggioranza sicura. Certo, i democratici del sud
sono relativamente più conservatori, ma la speakership
affidata a Nancy Pelosi farà sì che debbano
tenere sotto controllo i loro istinti. Contrariamente
a quanto si pensa la Camera è importante, perché
grazie al controllo delle finanze può tenere
sotto controllo anche la politica estera, e spostare
gli eserciti, naturalmente, costa parecchio...
Come potrà Bush governare quel che gli
resta del mandato in questo nuovo scenario?
In realtà siamo di fronte ad una prassi tipica
della politica americana del secondo dopoguerra. Viene
chiamata “condizione di governo separato”,
quando il congresso va a un partito e la presidenza
all'altro. Dal 1946 ad oggi è successo per circa
il 75% del tempo... Da questo punto di vista il periodo
che va dal 2002 al 2006 è stato un periodo eccezionale,
con una maggioranza così forte al partito del
presidente. Ma è una eccezione rispetto ad una
norma che si è imposta quando gli elettori hanno
ridotto il grado di collegamento con i due partiti...
Cosa intende?
Gli elettori non si fidano di nessuno dei due partiti
e la scelta che si è messa in moto è stata
di dividere le maggioranze. Il caso di Clinton è
stato quello più clamoroso, perché dal
1994 – è stato eletto nel 1992 –
si è trovato di fronte a un congresso tornato
repubblicano per la prima volta dal new deal. Anche
l'impeachment che ha dovuto affrontare nel secondo mandato
aveva natura esclusivamente politica e niente a che
fare con i suoi gusti per le giovani donne... In ogni
caso, la norma è agevolata dal fatto che né
il presidente né le camere hanno bisogno della
rispettiva fiducia come accade, ad esempio, in un sistema
politico come il nostro.
La mia impressione è che comunque Bush non potrà
andare alla guerra contro un congresso democratico.
È alla fine del suo mandato, e come si sa i presidenti
alla fine del secondo mandato sono delle “anatre
zoppe”. In secondo luogo, il clima nel paese è
contro di lui. La guerra in Iraq l'ha reso molto impopolare.
Dunque cosa può fare?
Credo dovrà ritrovare lo spirito di quando era
governatore del Texas con un legislativo democratico.
In quel periodo fu in grado di svolgere politiche “bipartigiane”.
Forse in questo modo potrà portare a casa un
minimo di onore, visto che la gloria certamente non
la potrà avere.
Tra i democratici liberal, però, si parla di
inchieste della Camera sulla gestione dell'amministrazione
negli ultimi anni. Il congresso ha grande potere di
controllo, e se scavando troverà qualcosa di
particolarmente brutto, la situazione in America potrebbe
diventare molto più conflittuale. Certamente
i democratici hanno subito moltissimo e se vogliono
la presidenza hanno tutto l'interesse a scoperchiare
il vaso.
Come cambia il rapporto con l'Europa? Nancy
Pelosi ha già annunciato il ritorno al multilateralismo...
Per l'Europa che ha criticato gli Stati Uniti è
una boccata d'aria. Credo che questo risultato metterà
in difficoltà la Gran Bretagna. Non a caso Blair
si è distanziato sulla pena di morte a Saddam
Hussein, due anni fa sarebbe stato improbabile. E con
Blair saranno in difficoltà anche paesi la cui
lealtà atlantica è così acritica
da renderli sospetti nella loro lealtà europea,
penso alla Polonia. In ogni caso l'America è
talmente coinvolta sul piano militare che un congresso
democratico non potrà dire semplicemente “torniamo
tutti a casa”. Ci saranno delle tensioni, anche
se il vento adesso è a favore dell'Europa. La
Rice dovrà accelerare verso il multilateralismo
e verso la soluzione del problema palestinese: la strada
per Bagdad passa prima di tutto da Gerusalemme.
Bush subisce la prima sconfitta da sei anni.
Non le sembra strano che l'opposizione contro di lui
sia così forte e consapevole in Europa, e ancora
così leggera negli Stati Uniti?
È la stessa domanda che gli americani mi fanno
su Berlusconi... Dietro Bush c'è una parte di
America profondamente conservatrice, interessi economici
fortissimi, intere città che vivono sulle commesse
militari. Tutto il sud dove i repubblicani sono forti
è legata alle basi militari. E poi il religious
renewal, l'anima religiosa dell'America per noi
è quasi incomprensibile. Sul piano religioso
gli Stati uniti sono quasi comparabili a un paese islamico,
non ai paesi dell'Europa occidentale.
Ancora una volta ci sono state polemiche sul
meccanismo di voto. Non le sembra un paradosso che la
più grande democrazia del mondo abbia una prassi
elettorale che si inceppa con tanta facilità?
Lo è, ed è incredibile. È uno
degli aspetti più incredibili della storia americana.
Dipende dalla tradizione confederale, nata con l'idea
jeffersoniana che le località dovessero essere
i luoghi di espressione della popolazione e l'impegno
dovesse essere individuale. Le contee hanno conservato
il diritto ad organizzare autonomamente la raccolta
dei voti, così che a pochi chilometri di distanza
troverà posti dove il voto è organizzato
in modo razionale, e altri dove ancora si vota con le
cosiddette “farfalle”, con i buchi che corrispondono
– forse – ai candidati.
Del resto gli americani dicono che ogni politica è
politica locale. In realtà l'America è
così potente e le sue scelte influenzano così
tanto il resto del mondo che dovremmo poter votare tutti
per le elezioni dei loro rappresentanti.
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