“Comunicare
e unire l'Europa ai suoi cittadini è una delle
sfide maggiori per tutti noi”. Con queste parole
la vice-presidente della Commissione europea Margot
Wallström ha presentato la conferenza di Eurobarometro
– dal 1973 la sigla sotto cui si svolgono tutti
i sondaggi sull'opinione pubblica europea per conto
della Commissione - che si è tenuta il 27 ottobre
scorso a Madrid.
Obiettivo dichiarato dell'incontro incrociare i contributi
dei maggiori esperti – politologi, sociologi,
sondaggisti e giornalisti – per trovare nuove
strategie di comunicazione e di confronto con la popolazione
europea. “Nelle moderne società democratiche
– recita infatti uno degli obiettivi della conferenza
– i politici spendono molta della loro attenzione
ad analizzare la pubblica opinione, usando strumenti
come i sondaggi e il monitoraggio dei media. Ma i cittadini
abbandonano sempre più le forme tradizionali
di partecipazione politica e questi strumenti diventano
ancora più importanti”.
Le due diverse sessioni di workshop e la conferenza
plenaria che ne hanno presentato i risultati sono stati,
in realtà, anche l'occasione con cui l'incontro
di Madrid ha sperimentato quella forma di “cooperazione
tra istituzioni”, pubbliche e private, nazionali
come sovranazionali, che dovrebbe portare alla creazione
di una “rete europea di esperti della pubblica
opinione”. Questa almeno è la definizione
contenuta nel “Libro bianco” sulla comunicazione
presentato a febbraio dalla Commissione europea. “Rete”,
quindi, come tappa intermedia, e comunque primo risultato
tangibile, in direzione della creazione di un vero osservatorio,
permanente e indipendente, che analizzi la corrispondenza
tra la politica della Ue e l'opinione pubblica europea.
Nonostante l'impegno degli ultimi due decenni, si legge
infatti nel white paper, “la comunicazione
dell'Europa con i suoi cittadini non è riuscita
a stare al passo”. Con il risultato, documentato
dalla stessa serie di indagini condotte da Eurobarometro
e sperimentato nell'esito infausto dei referendum sulla
Costituzione europea in Francia e Olanda, che i cittadini
comunitari hanno grandi attese verso la politica ma
non ne conoscono o ne rifiutano le forme. E, ciò
che è peggio, non sanno come fare sentire la
propria voce per indirizzarne le attività.
La discussione stessa delle iniziative europee rimane
così confinata, per paradosso, dentro le attività
nazionali, dando vita allo stereotipo tanto sbandierato
dagli euroscettici di una “Europa senza gli europei”.
Per questo all'inizio di quest'anno la Commissione ha
deciso di correre ai ripari e stendere con il libro
bianco un percorso di condivisione e moltiplicazione
della propria comunicazione.
“Ambizioso” per stessa definizione degli
estensori, il progetto prevede l'apertura di un doppio
canale di comunicazione tra le istituzioni europee e
i suoi cittadini, moltiplicando le occasioni di partecipazione
alle decisioni comunitarie – lo stesso libro bianco
è stato sottoposto come esperimento ad un sondaggio
on-line – e rafforzando in modo capillare la presenza
delle istituzioni sotto l'etichetta di “sfera
pubblica europea”.
Principi fondanti di questa sfera dovrebbero essere
“il diritto all'informazione, l'inclusione, la
diversità e la partecipazione”. Parole
altisonanti che rischiano di restare lettera morta,
tuttavia, se ai principi non dovesse seguire un “miglioramento
dell'educazione civica”, e soprattutto una realizzazione
della agognata “rete” tra i cittadini europei.
Interpretando al meglio le esperienze nate “dal
basso”, il libro bianco propone infatti di replicare
su scala europea quanto fatto ad esempio con il progetto
Erasmus, il cui network ha unito in modo spontaneo le
esperienze di 150mila giovani europei. In questo senso
vanno l'intenzione di unificare i cataloghi delle biblioteche
per trasformarli in centri di documentazione e l'ipotesi
di integrare i siti della Ue con forum destinati al
pubblico. Veri e propri sportelli on-line che dovrebbero
avvicinare il cittadino all'istituzione sovranazionale
e disegnare “il volto” di una politica europea
altrimenti evanescente.
Del resto, quanto la necessità di raggiungere
la pubblica opinione sia pressante – e quali interventi
siano necessari – è dimostrato dagli stessi
dati di Eurobarometro (n°65, estate 2006) sul nostro
Paese e sulla sua tendenza a “fidarsi degli sconosciuti”.
Se è vero, infatti, che il 68% degli italiani
si identifica nella bandiera europea – ben oltre
il 51% della media dei 25 – altrettanto le sue
istituzioni restano sconosciute a molti. Così
ad esempio per la Commissione europea, di cui “ha
sentito parlare” il 70% degli intervistati, contro
una media del 74%. Quanto alla conoscenza dei temi trattati
dalla politica comunitaria, in una scala da 1 a 10 gli
italiani si collocano per il 68% fra 1 e 5, e il livello
medio è 4,3. E ancora peggio va alla Costituzione
europea, che il 78% degli italiani intervistati dichiara
di conoscere parzialmente o affatto e ciononostante
uguale percentuale si dichiara a favore della sua entrata
in vigore come segno di maggiore “democraticità”.
Allo stesso modo il meccanismo di funzionamento delle
istituzioni comunitarie resta un mistero per il 48%
degli intervistati. Eppure il 56% del campione dichiara
di poter riporre in esse la propria fiducia.
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