Tratto
da Reset.
Per Charles Taylor, il filosofo dell’Io multiplo,
la cultura della differenza comincia da noi stessi,
e sta nel comprenderci come diversi, nell’umiltà
di vederci quali siamo, una provincia e non la capitale.
Nessuno è il nucleo centrale di un Ego che domina
il mondo. È questa una delle sfide più
importanti del XXI secolo: capire le diversità
e imparare a gestirle con mezzi pacifici. Il suo nome
è “multiculturalismo”, una parola
che non merita di finire nel macinino degli alterchi
politici. Si può rifiutare una prospettiva multiculturale,
ma almeno dopo aver capito di che cosa si tratta. Taylor,
canadese, cattolico, era filosoficamente molto vicino
a Giovanni Paolo II. È noto in tutto il mondo
anche per le polemiche che hanno diviso liberali da
“communitarians”, con lui dalla
parte dei secondi. Il suo libro più recente è
Gli immaginari sociali moderni (tradotto in
Italia da Meltemi) e sullo stesso tema ha tenuto, lo
scorso giugno, una lezione presso la facoltà
di Sociologia dell’Università di Milano-Bicocca,
nell’ambito delle International Faculty Lectures
su “Democrazia e trasformazioni sociali”.
Oggi sulla scena non c’è solo
la difficoltà etnocentrica di non riuscire a
capirsi, tra americani e arabi, occidentali e orientali,
Sud e Nord, ci sono anche conflitti. Ci servirebbe la
capacità di fare uno, tanti ponti verso il pensiero
degli altri.
Non è con un pensiero che possiamo raggiungere
questo risultato, dobbiamo capire in profondità
gli immaginari sociali di altre civiltà e di
altri popoli. E per fare questo dobbiamo essere consapevoli
che i nostri immaginari non sono gli unici possibili
per gli esseri umani. Spesso ci troviamo di fronte ad
una sorta di autocentrismo, vale a dire alla proiezione
del nostro immaginario sull’altro, come se l’altro
funzionasse sugli stessi concetti, le stesse idee. In
questo modo, l’altro risulta spesso completamente
immorale dal momento che, pur condividendo la nostra
morale, si comporta in modo opposto!
Che cosa è l’immaginario sociale?
Le istituzioni di qualsiasi società hanno bisogno
di una comprensione condivisa dai loro membri. Non si
tratta necessariamente di una teoria comune, ma di una
sorta di comprensione che dobbiamo tentare di trovare
nelle articolazioni della vita comune, come fanno gli
antropologi. L’immaginario sociale è tutto
ciò che ci serve per una comprensione comune
dei fatti collettivi, per poter mantenere in vita istituzioni
come il voto, le elezioni, le manifestazioni pubbliche
e via dicendo. Ho cercato di studiare il modo in cui
si sono sviluppati nel corso del tempo gli immaginari
specifici della modernità occidentale.
Come si fa a capire l’immaginario degli
altri?
Per poter comprendere la differenza dell’altro
bisogna prima di tutto essere consapevoli che il nostro
immaginario è molto specifico, che si tratta
di qualcosa che abbiamo sviluppato nel tempo, che non
è stato condiviso da tutti gli uomini in tutte
le epoche, ed è questa sensibilità per
la differenza, per tutto ciò che è peculiare
in noi e ciò che è diverso nell’altro,
che dobbiamo coltivare. Quello che cerco di fare è
mettere in evidenza, ai nostri occhi, la nostra particolarità
– di noi occidentali – per riuscire a vedere
che altrove le cose sono spesso molto diverse, che si
tratti di Medio Oriente, di India, di Africa.
Ma questa sensibilità per gli altri
non è particolarmente abbondante nella nostra
epoca.
Credo che la virtù più importante sia
l’umiltà, vale a dire la capacità
di accettare che gli altri non siano come noi, che non
siamo detentori di modelli universali, che vi sono altri
modi di essere umani, che il nostro è solo un
modo tra numerosi altri. Ed è questa umiltà
che manca in Occidente, perché durante alcuni
secoli siamo stati la civiltà dominatrice e abbiamo
ancora questo tipo di riflesso: siamo noi ad avere ragione,
siamo noi ad aver raggiunto l’apice del progresso
e della perfezione umana, gli altri debbono solo copiarci
per progredire. La principale virtù che dobbiamo
coltivare è proprio l’umiltà.
Lei parla di umiltà dell’Occidente.
Perché comincia da qui? Perché dai più
potenti?
Sono i più potenti che rappresentano il pericolo
in questo caso; sono loro che hanno la tentazione di
rifiutarsi di capire, in quanto credono di avere ragione.
Dal momento che si è potenti e ci si trova in
posizione di dominio, si crede di avere ragione. Ed
è per questo che gli occidentali hanno avuto
questo difetto fino a qualche tempo fa. Tuttavia, osservando
altre culture molto potenti, come la cultura cinese,
vediamo una cosa praticamente analoga: i cinesi credono
di essere al centro dell’universo e guardano le
altre culture dall’alto in basso. Credo che uno
scontro tra gli americani e i cinesi sia da temere fortemente,
in quanto sono due popoli che ritengono entrambi di
essere al centro del mondo.
Ma quando apriamo un dibattito concreto tra
le culture vediamo nei fatti entrare in azione le deformazioni
incrociate dello sguardo: quello dell’Occidente
sull’Oriente (cui Edward Said ha dato il nome
di “orientalismo”), viziato da colonialismo,
imperialismo, senso di superiorità, e quello
dell’Oriente o del Sud verso l’Occidente
(cui Buruma e Margalit hanno dato il nome di “occidentalismo”),
viziato dal risentimento postcoloniale, dalla frustrazione
e dai complessi di inferiorità. In questo modo
ci vorranno secoli per raggiungere la parità
e la lucidità necessarie per capirsi.
L’unica possibilità è individuare,
in ogni civiltà, le persone che sono capaci di
dialogare con gli altri. Bisogna prendere dei contatti
e rafforzarsi reciprocamente, allo scopo di mettere
all’angolo i nostri estremismi, perché
è evidente che gli estremismi esistono in entrambi
i campi. Non è affatto vero che tutti i musulmani
la pensano come Bin Laden. Ed è altrettanto falso
ritenere che tutti gli occidentali la pensino come Bush
o Berlusconi. Noi abbiamo i nostri “selvaggi “
e loro hanno i loro e l’unica possibilità
di fermarli da entrambe le parti sta nello stabilire
dei contatti con le persone dell’altra sponda
con le quali un dialogo è possibile.
Ma la xenofobia sta scavando fossati. La rappresentazione
degli altri come nemici è un gioco più
facile del dialogo.
La guerra di civiltà si scatena perché
da entrambe le parti la gente viene convinta che tutti
gli altri sono contro di noi, che non vi è nessuno
con cui si può parlare dall’altra parte.
È quello che Bin Laden cerca di fare in Medio
Oriente, ed è quello che gli occidentali cercano
di fare in Europa e in America: tutti i musulmani sono
dei fanatici, tutti gli arabi sono contro di noi. Se
consegneremo il potere ai nostri estremisti ci avvieremo
verso una guerra orrenda che procurerà danni
assolutamente inimmaginabili. È quindi questo
genere di contatto che dobbiamo ricercare. Tra i miei
conoscenti arabi ho trovato persone assolutamente ragionevoli
che si sentono a loro volta incastrate dagli estremisti
del loro mondo.
Lei parla a volte di “provincializzare
“ l’Europa. Che cosa intende dire con questa
espressione?
Intendo dire che dobbiamo riconoscere di essere una
cultura tra le altre. La provincializzazione è
esattamente l’umiltà di cui parlavo poc’anzi:
L’Europa non è universale, l’Europa
è una realizzazione importante della storia umana,
con alcuni aspetti meravigliosi, ma anche con dei difetti;
noi non rappresentiamo la risposta definitiva, ultima,
all’enigma umano.
Ma l’Europa significa anche secolarizzazione
e una certa idea di libertà dell’individuo.
Non possiamo rinunciare a distinguere tra libertà
e assenza di libertà?
Penso che nessuno possa essere tratto in inganno, quando
si trova di fronte ad un dittatore che pretende di servire
la libertà: penso che nessuno ci creda veramente.
Prendiamo la Cina: nessuno crede al governo quando afferma
di garantire la libertà del suo popolo. La gente
può accettare e sostenere un regime perché
ha altri scopi, o per nazionalismo, o perché
desidera crescere molto rapidamente e quindi accetta
di sacrificare la libertà. Ma io credo che né
i tedeschi sotto Hitler né i russi sotto i sovietici
abbiano mai creduto di essere liberi. La libertà
è un bene molto importante ma quando dobbiamo
definirla non vi è una grande distanza tra una
definizione e l’altra: circa i diversi modi per
garantirla ritengo vi siano sufficienti elementi in
comune per poter aprire un dialogo con persone di altre
civiltà.
Non possiamo neppure trattare la cultura politica,
che è l’eredità dei Lumi, e il concetto
stesso di democrazia, come qualcosa di etnocentrico.
Ad esempio i diritti delle donne, o la libertà
di stampa sono qualcosa che amiamo come “provincia
europea” ma sono anche valori universali.
Quei diritti sono amati anche dalla maggior parte della
gente, è ovvio. Ci sono alcuni diritti fondamentali,
che sono stati sviluppati in un certo modo in Europa
ma che tuttavia non sono stati introdotti unicamente
dagli europei. Prendiamo la democrazia: l’abbiamo
ricevuta dai greci e l’abbiamo sviluppata ulteriormente,
ma quando guardiamo la democrazia che si sviluppa nell’altra
parte del mondo, ad esempio in India, ci rendiamo conto
che non si tratta della copia assoluta della nostra.
Vediamo che le cose sono avvenute in modi diversi, attraverso
strade diverse, con altre istituzioni, con un altro
processo politico, ed è qui che diventa necessaria
l’umiltà. La democrazia ha un valore universale,
va bene, ma essa sarà realizzata in modi diversi
nelle diverse civiltà, e noi dobbiamo rispettare
queste diversità. Quando manca questo rispetto
prendono forma politiche come quella di George Bush,
il quale, in effetti, dice: “Noi americani abbiamo
la risposta ultima alla democrazia, e l’imporremo
dovunque”. Questa affermazione è foriera
di terribili disastri.
Tra questi principi universali possiamo annoverare
anche la secolarizzazione o, almeno, un certo grado
di separazione tra religione e politica ?
Dipenderà dalle situazioni. Una libertà
religiosa è certamente molto importante, e altrettanto
importante è un’uguaglianza tra le persone
che aderiscono a credenze diverse. Ma questo si realizzerà
necessariamente attraverso una separazione tra Chiesa
e Stato oppure possiamo pensare ad un regime come quello
che Gandhi e Nehru hanno cercato di costruire in India,
dove non vi è distanza tra politica e religione,
ma dove vige un profondo accordo sull’uguaglianza
e il rispetto reciproco? Oppure si realizzerà
con un sistema laicista alla francese? Le formule possibili
sono numerose. Non dobbiamo assolutizzare una formula
specifica occidentale, sia essa americana o francese.
Nel mondo islamico vi è un dibattito
a proposito di secolarizzazione.
Vi è un dibattito già avviato, ed è
difficile portarlo avanti con questa mobilitazione fanatica
e un po’ sciovinista. In che modo realizzare il
principio coranico? come possiamo realizzare un rispetto
reciproco nei confronti di diverse famiglie religiose?
Questi principi sono stati in parte applicati nella
storia della civiltà islamica e vi sono persone,
nel modo musulmano, che vorrebbero fare altrettanto
oggi. Ma si scontrano con coloro che vogliono scatenare
una guerra di religione.
È possibile la secolarizzazione senza
una riforma religiosa? L’Europa laica non è
anche il prodotto della Riforma?
Credo che nella maggior parte dei casi il processo
sia passato da una riforma religiosa. Negli Stati Uniti
vi è stato uno sviluppo parallelo di una certa
riforma religiosa e di quello che potremmo chiamare
un regime secolare. Solo la Francia registra uno sforzo
per determinare un regime secolare contro la religione.
Nella maggior parte dei casi questo è avvenuto
in armonia con alcune concezioni religiose.
Lei ritiene che si possa giungere a punti di
vista comuni, tra culture diverse, per una comune definizione
del terrorismo, oppure c’è sempre la tentazione,
come sostengono alcuni antropologi, come Jack Goody,
di vedere “terrorismo” da una parte e “resistenza”
dall’altra a seconda del punto di osservazione?
Quando le passioni e la percezione di un’ingiustizia
sono molto forti la gente fa fatica a dare agli autori
di atti di terrorismo la qualifica di terroristi, ma
in fondo in fondo lo sanno che si tratta di terrorismo;
ritengono che queste persone siano state provocate dai
nemici, tanto che non hanno potuto fare un’altra
scelta. Allora non si tratta di un vero e proprio disaccordo
sulla definizione di terrorismo, si tratta di un disaccordo
sulla responsabilità delle parti in causa in
alcune delle attuali situazioni di guerra. I palestinesi
ritengono che tutti quelli che si sono autodefiniti
martiri sono stati provocati in modo orrendo da un’oppressione,
da atti di violenza da parte degli israeliani, sostenuti
dagli americani. Ed ecco che si scatena quella terribile
collera. Se si iniziasse a seguire la “Road Map”
per la pace in Medio Oriente, questa immensa collera
potrebbe scemare. La grande domanda è se l’Occidente,
e soprattutto se gli Stati Uniti, hanno la volontà
di forzare i due partner, e soprattutto Israele, a sedersi
ad un tavolo e ad iniziare dei negoziati. Quando si
faranno dei progressi su quella strada nessuno dirà
più: “Questo non è un atto di terrorismo”.
Prendiamo l’esempio dell’Irlanda del Nord.
Venti anni fa la collera era enorme e molti cattolici
sostenevano l’Ira, mentre molti protestanti sostenevano
i militanti. Ora di tutto questo non c’è
più niente.
Ma come definirebbe la capacità che
hanno alcuni individui di superare i conflitti in corso
con il loro pensiero, con la loro immaginazione ? Penso
a Mandela, a Martin Luther King, a Gandhi. Come possiamo
definire questa capacità che è appannaggio
solo di un numero piccolissimo di persone?
E’ difficile darne una definizione, ma tutti
la riconoscono quando la vedono. In quasi tutti quei
casi non si tratta di una casualità, si tratta
di una visione religiosa, di una visione dell’essere
umano che supera le semplici lealtà nei confronti
della propria tribù o del proprio gruppo di appartenenza,
perché siamo tutti figli di Dio. Credo che in
quasi tutti i casi che possiamo citare vi sia questa
visione universalistica che può avere basi profondamente
cristiane, come nel caso di Mandela, di Tutu e di King,
e basi indù e cristiane nel caso di Gandhi, perché
le basi del pensiero di Gandhi erano diversificate.
Sono visioni di questo genere che consentono a queste
persone di superare le differenze di piano, di nazione,
e anche i risentimenti per ingiustizie secolari.
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