Questo
articolo è apparso su Il
Secolo XIX.
Nella vicenda che in queste settimana ha coinvolto il
Presidente israeliano Moshe Katsav, sorprendentemente
Vladimir Putin ha ritrovato spigliatezza di parola.
Così è sceso in campo a difendere il presidente
israeliano sull’orlo dell’incriminazione
e, convinto di fare un battuta ad effetto a microfoni
spenti (che invece erano accesi) ha espresso al Primo
ministro israeliano le sue congratulazioni per le “prestazioni”
di Katsav: “si è rivelato davvero un uomo
potente! Ha stuprato dieci donne, siamo tutti invidiosi”.
Se volessimo limitarci a una osservazione sullo stile,
fatte le debite proporzioni, si potrebbe osservare che
l’on. Silvio Berlusconi ha fatto scuola (qualcuno
ricorderà le facili battute a proposito di Massimo
Cacciari nella conferenza stampa con il primo ministro
danese o gli apprezzamenti non proprio diplomatici con
il primo ministro finlandese). Ma la questione, in questo
caso, non riguarda la buona educazione. E’ la
condizione dello scenario russo a obbligarci a una diversa
valutazione. L’esternazione su Katzav e il silenzio
su molte altre questioni da parte di Putin, infatti,
vanno lette insieme, come un modo di pensare il potere,
di incarnarlo e di mantenerlo.
Non più tardi di due settimane fa Putin, in seguito
all’assassinio di Anna Politkovskaya – la
giornalista russa che con costanza da almeno cinque
anni criticava la deriva autoritaria del potere russo
– ha impiegato tre giorni prima di prendere pubblicamente
la parola e promettere un’inchiesta e un’indagine
approfondita. E’ interessante sottolineare in
quale occasione e in quale luogo ha reso quella dichiarazione.
La scena infatti non avveniva a Mosca, ma a Dresda,
al termine di un colloquio con il cancelliere tedesco,
Angela Merkel, il 10 ottobre (la Politkovskaya è
stata uccisa il 7 ottobre a Mosca). In quell’occasione
Putin ha condannato “l’orribile” assassinio
della giornalista che aveva indagato sulle atrocità
in Cecenia. Quella dichiarazione, che coincideva con
lo svolgimento dei funerali della Politkovskaya a cui
nessun rappresentane del governo e delle istituzioni
si è fatto vivo, aveva infatti anche un valore
“commerciale”: la possibilità di
un accordo sulla questione del gas russo (una delle
risorse di lungo periodo su cui la Russia scommette
per il suo rilancio industriale e finanziario).
Anche per questo quella esternazione appariva poco
credibile. Infatti: avveniva sotto l’ondata di
uno stupore internazionale per il suo silenzio ed era
resa “lontano” da casa sua, più a
uso e consumo della “politica estera che di quella
interna.
Tutto questo rispecchia una condizione politica della
Russia di oggi su cui è bene riflettere.
L’assassinio della Politkovskaya non è
l’unico; si colloca in una lunga serie di uccisioni
che hanno colpito vari settori della società
civile russa negli ultimi dieci anni (anche se con una
prevalenza impressionante di giornalisti). Più
generalmente la sceneggiatura di questo delitto si ritrova
regolarmente nelle vicende che hanno sempre contrassegnato,
in molte altre occasioni e Paesi, il rapporto inquieto
e conflittuale tra stampa e potere nei momenti inquieti
del passaggio del potere verso forme autoritarie.
La convinzione di Anna Politkovskaya era che ciò
che stava accadendo in Cecenia aveva una stretta relazione
con la qualità della democrazia politica russa,
soprattutto con la libertà di informazione. Almeno
da tre punti di vista questo è vero a maggior
ragione dopo il suo assassinio.
1) I tragici fatti di Breslan (200 morti tra membri
del gruppo terroristico e ostaggi) nel settembre 2004,
soprattutto il modo di gestire l’emergenza nei
giorni del sequestro e poi di controllare l’informazione
sulla sua tragica conclusione, erano stati indicati
da Anna Politkovskaya come l’evento che simbolicamente
aveva rappresentato un salto di qualità nella
progressiva restrizione della libertà di informazione.
2) Il controllo dell’opinione pubblica attraverso
il sistema televisivo. I due network televisivi fondamentali
(Ort e Rtr) sono strettamente controllati dal governo
centrale, o da amici di Putin.
3) L’uccisione di Anna Politkovskaya avviene in
un contesto in cui altre morti sono state significative.
Una soprattutto: quella del vice governatore della Banca
centrale Andrei Kozlov (avvenuta il 13 settembre scorso),
ovvero dell’uomo che ha tentato di costruire un
sistema finanziario trasparente nella Federazione russa.
Dal 2004, dopo Breslan, si è aperta una riforma
del potere reale senza controllo da parte dell’opinione
pubblica. Non è detto che i mandanti dell’assassinio
di Kozlov e quelli di Anna Politkovskaya siano gli stessi,
ma il messaggio che hanno inviato è identico.
La società va governata senza discutere il potere
reale e senza criticare il centro del potere. E la stampa
è tollerata solo se non fa il proprio mestiere.
Prova ne sia l’episodio della clamorosa gaffe
su Katzav che nonostante sia stata pronunciata di fronte
a decine di giornalisti russi è stata riportata
solo da uno di loro, Andrei Kolesnikov, del quotidiano
Kommersant l’unico a mantenere una certa
indipendenza. L’unico a rompere la consegna del
silenzio.
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