“La
Cecenia è stata uno dei paesi dove ho avuto più
paura. A Grozny pensavo di morire. Le pallottole venivano
da una parte e dall'altra, e non si capiva chi sparava
a chi, mentre tu nel mezzo cercavi di non prendertene
una”. Da inviato speciale del “Corriere
della Sera”, Ettore Mo ha visto Timor est e l'Afghanistan,
l'Iran e l'Azerbaijan. Fino alla Cecenia, di cui è
stato uno dei primi giornalisti a vedere e raccontare
il conflitto, nel 1996. In principio una “guerra
di indipendenza”. Poi l'escalation, fino a torture
e terrorismo. E gli omicidi mirati di chi come Antonio
Russo o Anna Politkovskaja abbia cercato di raccontare
una “verità” indipendente dal potere
che la controlla.
Ettore Mo, che Paese era la Cecenia? E che
Paese è oggi?
Io venivo da paesi con una forte identità musulmana,
Iran e Azerbaijan, che sostenevano la causa cecena.
La prima sorpresa, nella capitale Grozny, fu di vedere
che tutti si comportavano all'occidentale. Vedevi le
ragazze girare in minigonna, le coppie baciarsi per
strada. Entrai in casa di una famiglia, e pensando che
erano musulmani mi lasciai offrire solo del tè.
Loro mi guardarono storto e mi dissero: “Tè?
Ma non un whisky o una birra?”.
Questo per dire che non c'era ancora stata quella metamorfosi
che sarebbe arrivata dopo. Quando intervistai Shamil
Basaev, sei anni prima che fosse ucciso, mi parve veramente
che fosse il leader dell'indipendenza cecena, e scrissi
un pezzo quasi entusiastico. Poi me lo ritrovo ad uccidere
i bambini di Beslan... Fui costretto a chiedere scusa
ai lettori del “Corriere”.
Fu un errore di valutazione o è successo
qualcosa nel frattempo?
La metamorfosi è avvenuta perché il movimento
d'indipendenza ceceno per anni è stato sostenuto
dall'Iran e dagli altri paesi musulmani. A un certo
punto hanno semplicemente chiesto di pagare il conto.
E il conto è stato una intensificazione dell'islamismo,
accettato anche per dare forza alla loro lotta, che
li ha portati a questa fisionomia del “noi in
fondo siamo musulmani”. Dopo 150 anni di dominio
sovietico laico, anche il ventre molle dell'ex-Urss
ha ceduto. Prima nessuno pregava cinque volte al giorno.
Anzi, quando scoppiò l'integralismo islamico,
alla fine degli anni settanta, la paura che si propagasse
fu in parte anche il motivo dell'invasione dell'Afghanistan.
Col senno di poi è stato un fallimento?
Completo...
Anche la morte di Anna Politkovskaja è
la reazione alla paura? O pensa che dietro ci sia un
ragionamento politico?
Anna Politkovskaja è stata uccisa per l'odio
contro ciò che scriveva, ma chi l'ha uccisa non
si è reso conto di quanto danno ha fatto alla
sua stessa causa. Chi uccide un reporter finisce fatalmente
per nuocere alla propria immagine in tutto il mondo.
E nel caso della Politkovskaja sta emergendo tutto il
danno che l'omicidio ha creato attorno a Putin e alla
Russia.
Attorno probabilmente sì, ma dentro?
In Russia, anche se non è del tutto passato sotto
silenzio, l'omicidio ha mosso solo una piccola minoranza...
I mezzi di comunicazione russi sono ancora in mano
governativa, i giornali sono quasi tutti schierati con
il governo, e la stampa è ancora altamente controllata.
È una condizione sufficiente per imporre il silenzio
anche ai leader politici, che cercano di tutelarsi e
di difendersi.
L'uccisione di Antonio Russo, il reporter di
Radio radicale assassinato nel 2000, non ha avuto neanche
lo scalpore...
La morte di Antonio Russo è ancora un tragico
mistero, tante sono le cose non chiarite...
Due voci spente , importanti e indipendenti.
E nessuna a sostituirle...
È una conclusione crudele ma esatta. Hanno eliminato
quasi tutte le - poche - voci dissenzienti... In Russia,
ma non solo lì - in generale in ogni luogo dove
il potere è controllato da una oligarchia - il
giornalista scomodo viene eliminato. Le liste delle
associazioni per i diritti umani sono piene di giornalisti
uccisi o incarcerati. In Italia, al contrario, le corrispondenze
hanno potuto essere chiare, molto dure con il governo
di Putin.
Eppure sono bastati due o tre giorni e la Cecenia
è tornata nell'oblio...
I giornali sono così, i casi tengono pochi giorni,
al massimo una settimana e poi si esauriscono. Non credo
che sia cattiva volontà, ma è un dato
di fatto. Tanto per dare una idea, sono recentemente
andato in centro-America, dove ho incontrato il comandante
Zero, che nel 1983 combatteva i sandinisti. Bene, l'ultima
volta che se ne era parlato era stato più di
venti anni fa, e pensare che oggi è candidato
alle elezioni in Nicaragua.
Uno dopo l'altro i fenomeni come il Chiapas e il Messico,
il Nicaragua o la Cecenia, sono stati tutti accantonati...
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