Francesco
Sisci, da tempo corrispondente della Stampa
da Pechino, autore di altri libri sull’Impero
di mezzo, è chiaro nella sua conclusione del
libro Chi ha paura della Cina (Ponte alle Grazie),
“La Cina non è il problema, il problema
siamo noi”. In particolare il problema siamo noi
europei. La spiegazione del giornalista è convincente:
gli Stati Uniti e la Cina hanno messo su un legame strettissimo
sul piano economico e finanziario. Gli asiatici, guidati
dall’Impero di mezzo, producono beni a basso costo
(e forniscono sempre più servizi efficiente a
costi competitivi); gli americani, grazie ai debiti
privati e federali, acquistano questi beni in quantità
crescente pagandoli con dollari; gli asiatici acquistano
i titoli del debito americano che consentono agli americani
di tenere in piedi l’intera baracca globale. Cinesi
e americani possono, entrambi, eliminare l’altro,
eliminandosi a propria volta: i cinesi possono smettere
di comprare titoli americani facendo così crollare
i mercati americani, gli americani potrebbero smettere
di acquistare beni e servizi asiatici creando una enorme
iperinflazione e mettendo in scena il proprio crollo
economico: come ha efficacemente detto Larry Summers,
già segretario al tesoro di Bill Clinton, Cina
e Stati Uniti hanno creato un nuovo equilibrio mondiale,
“l’equilibrio del terrore finanziario”.
Per ora questo assetto regge ma ovviamente, tutti, esperti
e mercati, economisti e banche, sanno benissimo che
prima o poi ci sarà un’evoluzione.
Il fatto che mette in luce Sisci è l’esclusione
dell’Europa da questo “equilibrio del terrore”
economico globale: l’Europa appare ferma di fronte
alle due maniche del Pacifico. Non solo: l’Asia,
la Cina ma anche il Giappone, la Corea e magari l’India,
sta studiando la possibilità di una moneta comune
asiatica, o per meglio dire, di una ‘unità
di conto asiatica’. Il percorso del grande continente,
del Far East, verso l’integrazione monetaria sarà
lunga e complicata, ma è condizionata, anzi è
favorita da un fatto oggettivo: fra qualche decennio,
o ci sarà una “unità di conto asitiaca”,
l’asio, oppure lo yuan cinese la farà da
padrone. Molte potenze asiatiche ovviamente preferiscono
l’asio; la Cina stessa, per legittimare la sua
peaceful rise potrebbe favorire l’integrazione
monetaria panasiatica, ma ove nascesse l’asio,
l’euro, la grande innovazione, la magnifica invenzione
dell’unità europea di inizio millennio,
diventerebbe un semplice strumento di scambio. L’Europa
insomma deve prepararsi, questo è il ragionamento
di Sisci, alle sfide del Far East. E l’Italia,
il paese europeo meno adattivo, meno innovativo, deve
prepararsi ancora di più. Con una opportunità
di cui tenere sempre conto: la Cina ha una certa attenzione,
nonostante le nostre debolezze (e le nostre stupidaggini)
all’Italia per due ragioni, la nostra storia culturale
che ci farebbero un interlocutore perfetto per Pechino,
e il ruolo del Vaticano.
Morale: L’Europa deve svegliarsi, anche per contribuire
a una strategia occidentale di engagement verso
l’Impero di mezzo. Una politica di mero “contenimento”
della Cina non è destinata a un consistente successo;
gli Stati Uniti dell’amministrazione Bush (o meglio
un certo settore neocon, responsabile di tanti disastri
politici tra Asia e Medio Oriente passando per il Sudamerica)
hanno una consistente attrazione verso politiche di
“contenimento” anticinesi, ma questo approccio
difficilmente sembra in grado di confrontarsi con la
crescita cinese. L’Europa, piuttosto che lamentarsi,
dovrebbe dare un contributo ben maggiore a un assetto
internazionale di “cooperazione”. Tenendo
conto che la Cina potrebbe “democratizzarsi”,
alla cinese nel prossimo decennio. Almeno a leggere
Sisci. In conclusione un consiglio: leggetevi bene la
bibliografia.
Francesco Sisci,
Chi ha paura della Cina,
Ponte alle Grazie, 2006,
pagine 259, euro 13,50.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|