309 - 10.11.06


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Cina: il vero problema siamo noi

Claudio Landi


Francesco Sisci, da tempo corrispondente della Stampa da Pechino, autore di altri libri sull’Impero di mezzo, è chiaro nella sua conclusione del libro Chi ha paura della Cina (Ponte alle Grazie), “La Cina non è il problema, il problema siamo noi”. In particolare il problema siamo noi europei. La spiegazione del giornalista è convincente: gli Stati Uniti e la Cina hanno messo su un legame strettissimo sul piano economico e finanziario. Gli asiatici, guidati dall’Impero di mezzo, producono beni a basso costo (e forniscono sempre più servizi efficiente a costi competitivi); gli americani, grazie ai debiti privati e federali, acquistano questi beni in quantità crescente pagandoli con dollari; gli asiatici acquistano i titoli del debito americano che consentono agli americani di tenere in piedi l’intera baracca globale. Cinesi e americani possono, entrambi, eliminare l’altro, eliminandosi a propria volta: i cinesi possono smettere di comprare titoli americani facendo così crollare i mercati americani, gli americani potrebbero smettere di acquistare beni e servizi asiatici creando una enorme iperinflazione e mettendo in scena il proprio crollo economico: come ha efficacemente detto Larry Summers, già segretario al tesoro di Bill Clinton, Cina e Stati Uniti hanno creato un nuovo equilibrio mondiale, “l’equilibrio del terrore finanziario”. Per ora questo assetto regge ma ovviamente, tutti, esperti e mercati, economisti e banche, sanno benissimo che prima o poi ci sarà un’evoluzione.

Il fatto che mette in luce Sisci è l’esclusione dell’Europa da questo “equilibrio del terrore” economico globale: l’Europa appare ferma di fronte alle due maniche del Pacifico. Non solo: l’Asia, la Cina ma anche il Giappone, la Corea e magari l’India, sta studiando la possibilità di una moneta comune asiatica, o per meglio dire, di una ‘unità di conto asiatica’. Il percorso del grande continente, del Far East, verso l’integrazione monetaria sarà lunga e complicata, ma è condizionata, anzi è favorita da un fatto oggettivo: fra qualche decennio, o ci sarà una “unità di conto asitiaca”, l’asio, oppure lo yuan cinese la farà da padrone. Molte potenze asiatiche ovviamente preferiscono l’asio; la Cina stessa, per legittimare la sua peaceful rise potrebbe favorire l’integrazione monetaria panasiatica, ma ove nascesse l’asio, l’euro, la grande innovazione, la magnifica invenzione dell’unità europea di inizio millennio, diventerebbe un semplice strumento di scambio. L’Europa insomma deve prepararsi, questo è il ragionamento di Sisci, alle sfide del Far East. E l’Italia, il paese europeo meno adattivo, meno innovativo, deve prepararsi ancora di più. Con una opportunità di cui tenere sempre conto: la Cina ha una certa attenzione, nonostante le nostre debolezze (e le nostre stupidaggini) all’Italia per due ragioni, la nostra storia culturale che ci farebbero un interlocutore perfetto per Pechino, e il ruolo del Vaticano.

Morale: L’Europa deve svegliarsi, anche per contribuire a una strategia occidentale di engagement verso l’Impero di mezzo. Una politica di mero “contenimento” della Cina non è destinata a un consistente successo; gli Stati Uniti dell’amministrazione Bush (o meglio un certo settore neocon, responsabile di tanti disastri politici tra Asia e Medio Oriente passando per il Sudamerica) hanno una consistente attrazione verso politiche di “contenimento” anticinesi, ma questo approccio difficilmente sembra in grado di confrontarsi con la crescita cinese. L’Europa, piuttosto che lamentarsi, dovrebbe dare un contributo ben maggiore a un assetto internazionale di “cooperazione”. Tenendo conto che la Cina potrebbe “democratizzarsi”, alla cinese nel prossimo decennio. Almeno a leggere Sisci. In conclusione un consiglio: leggetevi bene la bibliografia.

Francesco Sisci,
Chi ha paura della Cina,
Ponte alle Grazie, 2006,
pagine 259, euro 13,50
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