“Per
il Corano la vita è sacra e va rispettata dall’inizio
alla fine, tranne quando diversamente disposto dalla
Shari’a. Ovviamente la problematica casistica
clinica contemporanea non può trovare risposte
esaustive nel Testo Sacro. Per tale ragione è
indispensabile rifarsi alle elaborazioni dei giurisperiti
islamici contemporanei”: così Dariusch
Atighetchi, che ha svolto attività di ricerca
presso l’Ospedale San Raffaele di Milano e attualmente
è docente di Bioetica Islamica alla Seconda Università
di Napoli, spiega la posizione islamica sull’eutanasia.
Atighetchi, che segue con attenzione i dibattiti suscitati
nel mondo islamico dai problemi religiosi, sociali e
politici posti dallo sviluppo delle nuove tecnologie
biomediche, è autore tra l’altro di Islam,
musulmani e bioetica (Roma 2002) e Islamic
Bioethics: Problems and Perspectives,
Berlin (Springer 2006).
In Italia l’eutanasia è tuttora
illegale. Cosa succede invece nei paesi arabi? Esiste
una legislazione in merito, e come si rapporta ai dettami
del Corano sulla inviolabilità della vita?
Situazioni clinicamente molto complesse con fondamentali
risvolti etici sono difficilmente gestibili tramite
una legge che rischia di “ingessare” l’azione
degli operatori sanitari nel prendere le misure più
opportune sia nel tutelare il paziente che nel rispettarne
la volontà.
Le leggi presenti negli Stati islamici si limitano a
vietare l’eutanasia in generale senza entrare
nei dettagli clinici ed evitando la difficile casistica
dei vari tipi di atti eutanasici. Questo divieto segue
il divieto di eutanasia da parte delle autorità
religiose; tuttavia, la situazione sul campo appare
più differenziata e si possono incontrare parecchie
sorprese. Ad esempio, non mancano giuristi islamici
favorevoli a qualche forma di eutanasia passiva.
Esiste un dibattito su questi temi nell’opinione
pubblica del mondo islamico?
Il dibattito è poco acceso per un’infinità
di ragioni; tra queste, molti Stati musulmani poveri
sono dotati di un numero esiguo di unità di rianimazione
per cui il problema rimane limitatissimo, numericamente
irrilevante e comunque poco avvertito dalla popolazione.
Chi legifera sono i Parlamenti o organismi affini. A
mio avviso le divergenze presenti tra le legislazioni
sui temi della bioetica costituiscono delle ulteriori
ramificazioni di un bagaglio culturale islamico che
si è poderosamente differenziato sin dalle origini.
Un albero con molti rami, ma con una sola radice: la
tradizione islamica. Si può parlare di un pluralismo
etico moderato o “bloccato” all’interno
dei variegati mondi musulmani. Circa l’eutanasia
le differenze tra le normative esistenti non sono significative.
La bioetica islamica può, secondo lei,
fornire un apporto positivo al dibattito pubblico italiano?
Ad esempio sarebbe favorevole all’introduzione
di un musulmano nel Comitato di bioetica?
Le posizioni islamiche – pur non unanimi –
sul tema dell’eutanasia sono più vicine
al campo cattolico che al campo laico. Non penso a un
contributo della bioetica islamica sul dibattito sull’eutanasia
in Italia. Piuttosto sarebbe più utile valutare
l’opposto e cioè quale effetto può
avere la ricchezza di posizioni presenti nel dibattito
italiano (e occidentale in genere) sulla bioetica islamica
(già di per se assai ricca di tendenze). Il problema
della presenza di un esponente musulmano in seno al
Cnb (evento comunque inevitabile) è il solito:
chi rappresenta chi. A ciò si aggiunga il problema
della specifica competenza scientifica dell’esponente
sul tema. Forse è ancora presto.
Lei parla di un distacco, nei paesi islamici,
a proposito dei temi bioetici, tra la mentalità
e la cultura collettiva e le normative in vigore, paradossalmente
più moderne. Si può dire che la politica
anticipa la società, proprio il contrario di
quanto avviene in Europa?
In Europa la politica è in ritardo rispetto
a società molto libere. Forse non è mai
esistita tanta libertà di pensiero e di organizzazione
quanto nell’Occidente attuale. Nelle società
tradizionali (come quelle islamiche anche se modernizzate)
non si stravede per una libertà spesso percepita
come eccessiva, caotica e tendenzialmente antireligiosa.
Negli stati islamici si promuove la modernizzazione
tecnologica tentando di non cadere nel relativismo etico
e culturale.
In Europa, e in particolare in Italia, la discussione
sui temi bioetici vede una divisione assai netta tra
laici “scientisti” e cattolici. L’islam
riesce a tenere insiemeù religione e scienza?
Secondo l’opinione tradizionale un equilibrio
sarebbe stato raggiunto nell’età dell’oro
della civiltà islamica. La situazione attuale
è più complessa. Lo stato di rivoluzione
scientifica permanente promosso dall’Occidente
non viene facilmente metabolizzato dalle culture tradizionali
tra cui l’Islam. Ne conseguono tensioni, conflitti
e incomprensioni tra religione e scienza evidenti anche
nel campo bioetica, con opinioni giuridico-religiose
assai diverse in molti campi. Tale varietà può
anche essere interpretata come una ricchezza dell’Islam,
una ricchezza facilitata dall’assenza di un’autorità
giuridico-religiosa suprema oltre che di un Magistero.
Il ricorso alla diretta e letterale parola di Dio (il
Corano) per superare le opinioni diverse (in tutti i
campi) facilmente presenti tra i dottori della Legge
islamica non basta a superare tale pluralismo, anzi
rischia di radicalizzarlo. Quando il Corano e la Sunna
non dicono nulla o non sono esaustivi su un preciso
tema contemporaneo, le Fonti Sacre vanno interpretate,
il che produce facilmente differenziazioni tra le posizioni.
Comunque, la domanda trascura il fatto che le religioni
rivelate sostengono non esserci contraddizione insanabile
tra scienza e fede. Nel mondo islamico poi, tranne alcune
eccezioni, è assente una aperta contrapposizione
laici-religiosi nel dibattito etico.
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