307 - 12.10.06


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Orvieto: è nato qualcosa di nuovo?

Elisabetta Ambrosi


“Comune è l´idea che sia necessario dare un governo alla globalizzazione, sapendo che dare ordine al mondo non significa solo invocare la pace ma assumersi le responsabilità per ottenerla [...] Comune è la consapevolezza che lo spazio e la dimensione della nostra vita siano l´Europa. [...] Comune è la convinzione che impresa e mercato siano fattori essenziali per produrre quella ricchezza senza la quale non è possibile alcuna distribuzione di reddito [...] Comune è la determinazione a riformare lo stato sociale nella direzione non di ridurre l´universalità dei diritti, ma di estendere le opportunità a tutti per sconfiggere vecchie e nuove disuguaglianze”. Così Piero Fassino, in un’intervista rilasciata a Repubblica, ha sottolineato la convergenza di temi e programmi sulla quale potrà formarsi il futuro – per alcuni appena nato – Partito Democratico.

Nessuna divergenza di valori insomma. Ma l’ottimismo di Fassino si è spinto oltre.
Il dibattito sulla collocazione internazionale del Pd? Si può superare abbandonando le vecchie ideologie e lavorando “per una nuova stagione del riformismo europeo”.
L’opposizione del correntone e il fantasma di una scissione diessina?
“Anche chi non è venuto, da oggi stesso può essere partecipe della costruzione del partito con le proprie convinzioni e con la stessa dignità e responsabilità di tutti noi”.
Infine, sulla questione più spinosa, quella della contrapposizione tra chi invoca la partecipazione della società civile attraverso le primarie e chi difende il ruolo dei partiti, dice: “È un falso dilemma. Non ci serve né un partito solo di eletti né la semplice somma delle strutture dei partiti esistenti”. E lancia l’ipotesi mediatrice di un 50 per cento dei delegati espressione dei partiti e degli eletti nelle istituzioni e un 50 per cento scelti direttamente dai cittadini con un meccanismo simile alle primarie.

Insomma, a sentire il segretario della Quercia, la due giorni di Orvieto, ha segnato l’inizio di un processo inarrestabile e senza grandi ostacoli di fronte.
Eppure, l’esistenza di qualche ombra viene evidenziata da molti, anche da coloro che non si attestano su posizioni scettiche come quelle di Macaluso, che sul Riformista si è chiesto se davvero a Orvieto fosse nato qualcosa di nuovo. Anzitutto, c’è la questione dei valori. L’appassionata relazione di sabato dello storico Pietro Scoppola e quella successiva di Roberto Gualtieri hanno indicato la strada di un ethos comune, basato sul governo politico della globalizzazione, sulla creazione di un welfare meritocratico, su un laicismo non antireligioso, sulla costruzione di una integrazione solidale, sulla capacità di restituire fiducia e speranza a giovani e adulti che i cambiamenti del mondo attuale rendono sempre più fragili e soli. Eppure già le divisioni sulla finanziaria mostrano quanto diverse siano le posizioni della coalizione da cui dovrebbe nascere il Partito democratico. Per non parlare delle questioni ancora più delicate, una per tutte quella dell’eutanasia: tutti ricordano ad esempio le brusche chiusure della Margherita all’invito di Napolitano a discuterne.

Quanto al problema dei diessini contrari al Pd, davvero non si vede come essi possano essere integrati nella nuova formazione. E, se ciò non avverrà, la scissione sarà inevitabile, con conseguenze politiche ancora non chiare (un nuovo partito socialista? Un’alleanza con Bertinotti?).
Sul tema della collocazione internazionale, anche se sono in molti a ricordare che non si tratta di una questione all’ordine del giorno oggi, le differenze sono abbastanza stridenti. I cattolici non vogliono entrare nel Pse? Fanno bene, ha detto Scoppola a Orvieto, seguito dalla Bindi, anche per non rischiare di spingere la Chiesa su posizioni di destra. Ma come si fa a non prendere atto che le principali forze riformiste in Europa sono socialiste? Hanno risposto dal loro canto Fassino e D’Alema. Insomma, è un problema da affrontare. Non subito, ma sul tappeto.

Ma la questione centrale, su cui davvero il Partito democratico rischia di incagliarsi, è quella relativa alla modalità di creazione delle strutture del nuovo partito, sul quale le posizioni si sono divise. Vassallo vs D’Alema. Così i media hanno sintetizzato lo scontro. Il prodiano Salvatore Vassalloè l’uomo rivelazione della due giorni di Orvieto. Il giovane professore di Scienza politica all’università di Firenze ha infatti difeso, in un lungo intervento apprezzato da tutti i prodiani in sala, l’idea di un partito completamente aperto, caratterizzato dall’elezione diretta del leader e dall’uso delle primarie come metodo sia per la selezione dei candidati alle cariche di governo sia per eleggere presidente e membri dell’Assemblea costituente che dovrebbe tenersi tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, secondo il principio – un poco “antipartitico” – di “una testa un voto”. Le reazioni non si sono fatte attendere. A Orvieto, D’Alema ha ironizzato sul “partito dei gazebo”. Ma anche la Margherita – o almeno il quotidiano che la rappresenta, Europa – ha preso una posizione difensiva del ruolo dei partiti, sottolineando la legittimità del loro desiderio di riuscire a mantenere un ruolo. Già, ma quale? Questo è il punto.

Al tema della funzione dei partiti si lega poi il nodo della legge elettorale. Nella cittadina umbra, quasi tutti i relatori hanno invocato un ritorno al maggioritario. Eppure la riforma non sembra essere tra le priorità del governo.

Dulcis in fundo, resta la questione, che è stata alla base di uno dei gruppi di lavoro di Orvieto e dalla quale dipende l’andamento della complessa macchina dei lavori per il Partito democratico: perché farlo? A Orvieto, la risposta è stata soprattutto: perché il mondo è cambiato, la democrazia è in crisi, c’è bisogno di “nuove spinte etiche, di valori e di nuova partecipazione”. Ma anche: per tenere insieme un tessuto sociale che non è più tale, come ha detto il ministro Amato. Affermazioni ineccepibili, naturalmente.
Tuttavia i politologi avvertono che il problema è un altro, meno ideale e più concreto: come farà il nuovo partito a raggiungere quel 40 per cento cui deve aspirare? Come e dove si pensa di poter guadagnare voti? Tra gli astensionisti (molto difficile), a destra, al centro o a sinistra? È probabile allora che, come commenta Mauro Calise su Europa, ci voglia “qualcosa in più, un’idea di cui innamorarsi”. Che forse, tra Ds e Margherita, ancora non c’è.


 



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