Non è
bastata la nota del segretario di Stato Bertone. Non
è bastato il discorso a Castelgandolfo, in cui
Benedetto XVI si diceva “vivamente rammaricato
per le reazioni suscitate da un breve passo del mio
discorso nell’Università di Regensburg”.
Non è bastato neanche l’incontro con gli
ambasciatori dei paesi a maggioranza musulmana accreditati
preso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comunità
musulmane in Italia. In esso, il papa, definendo il
Concilio Vaticano II la Magna Charta del dialogo
islamo-cristiano, ha detto che la Chiesa “guarda
con stima anche i musulmani che adorano l’unico
Dio” ed ha esaltato il dialogo interreligioso
tra cristiani e musulmani, definendolo “una necessità
vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”.
Di più: Ratzinger ha parlato di un dialogo tra
le culture, tanto più necessario in un mondo
che nega la trascendenza e di una “collaborazione
ricca di frutti al servizio dell’intera umanità”.
Ma tutto questo non è servito.
Martedì 27 settembre, i ministri degli Esteri
dei Paesi aderenti all’Organizzazione della Conferenza
Islamica, l’organismo intergovernativo cui aderiscono
57 nazioni, hanno votato una dichiarazione per chiedere
a Benedetto XVI di “ritrattare o riformulare”
le sue dichiarazioni. E mentre in America il New
York Times continua ad ospitare voci critiche verso
il discorso di Ratzinger, il Corriere della Sera
sceglie coerentemente di impaginare l’articolo
sulla critica al papa della Conferenza dei Paesi Islamici
con quello che spiega la decisione del teatro lirico
di Berlino di cancellare dalla programmazione l’Idomeneo
di Mozart, il cui finale prevede l’arrivo del
re Idomeneo con in mano un mazzo di teste sanguinanti:
un mazzo, si noti, perché oltre a quella di Maometto
ci sono anche quella di Gesù, Poseidone, Buddha
(!), a testimoniare i milioni di morti causati dalla
religione.
Insomma, sembra di essere di fronte a uno scenario
di quelli che Oriana Fallaci avrebbe dipinto con furore:
quello di un papa e di un cristianesimo sempre più
deboli, costretti sulla difensiva – e con loro
di un Occidente anemico e non in grado di preservare
i suoi valori, come la libertà di espressione
– e al tempo stesso di un Islam invasivo incapace
di accettare critiche e di fare autocritica sui propri
errori.
La realtà è un po’ diversa e, soprattutto,
occorre fare alcune distinzioni. Come molti editorialisti
hanno notato, al di là delle pur encomiabili
ritrattazioni, resta il fatto che il papa è stato
costretto a scusarsi perché, anche se involontariamente,
ha fatto un errore, sottovalutando le conseguenze politiche
della sua difesa di un cristianesimo ellenizzato e ragionevole,
proprietario del Logos, a fronte della presunta trascendenza
arbitraria dell’Islam. Il discorso di Ratisbona
non ha, inoltre, giovato in primo luogo alla Chiesa
stessa, e al suo, faticoso e decennale, impegno di accreditarsi
presso l’opinione pubblica come un’autorevole
voce nella difesa dei valori della tolleranza, del rispetto,
del dialogo tra civiltà.
Al contrario, la scelta di fermare la messa in scena
dell’opera per non ferire la sensibilità
musulmana ed evitare proteste e reazioni di ogni tipo
è indiscutibilmente molto grave e lede pesantemente
quel principio di libertà di espressione, specie
nell’arte, che nelle società occidentali
– abituate a vedere crocifissioni provocatorie
e ogni genere di attacco al cristianesimo – è
ormai un valore consolidato. Non è che il papa
non può permettersi di esprimere la sua opinione
e Mozart sì, insomma. Il fatto è che al
papa avrebbe giovato esprimere, in quel discorso, un
invito all’amore, su cui i tre monoteismi sono
fondati (come ha notato recentemente Aldo Schiavone
su Repubblica), piuttosto che rivendicare per
la Chiesa il monopolio della ragione. Che Mozart venga
censurato per presunto rischio di blasfemia, invece,
non giova davvero a nessuno.
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