L’Ue sta assumendo un ruolo importante nello
scacchiere globale. O meglio, i paesi europei sono
tornati ad avere rilievo diplomatico, e dopo le campagne
militari americane in Afghanistan e Iraq, gli Usa
ora vogliono una presenza diplomatica influente degli
europei nella politica internazionale.
Lo dimostra il Libano, con i ruoli di primissimo piano
per raggiungere la missione di pace svolti da Itala
e Francia, lo dimostra l’Iran, il, cui governo
ha iniziato a parlare con Solana. Ma attenzione, dice
Charles Kupchan : “se i negoziati sul nucleare
iraniano non dovessero andare in porto, allora in
molti cambieranno idea su un possibile uso della forza”.
A Kupchan, docente di International Affairs alla
Georgetown Universitye membro del Council on Foreign
Relations, abbiamo chiesto di analizzare come potrebbero
evolvere le relazioni transatlantiche alla luce dei
più recenti avvenimenti: paesi europei realmente
attivi sul piano diplomatico, Usa che fanno un passo
indietro sulla priorità degli interventi militari
in Medio Oriente.
Professore, dalle due sponde atlantiche vengono
due modi diversi di guardare allo scenario internazionale;
dopo la crisi Libanese e i colloqui di Solana con
Ahmadinejad queste sponde sono più lontane
o più vicine?
Innanzitutto gli Stati Uniti hanno iniziato ad apprezzare
il bisogno di un maggiore coinvolgimento europeo nello
scenario internazionale, così come iniziano
ad apprezzare la necessità delle migliori abilità
europee, sia in campo diplomatico che militare. Allo
stesso tempo però Washington sembra offendersi
quando le scelte politiche europee differiscono da
quelle americane. Per quanto riguarda il Libano, Bush
era preparato a difendere il diritto di Israele a
proseguire la guerra e a resistere alle richieste
di cessate il fuoco dell’Ue. Ma poi si è
reso conto che continuare la guerra avrebbe significato
pagare costi molto alti e ha accolto con piacere la
leadership francese all’Onu e la volontà
dei paesi europei di guidare la missione di pace.
Per quanto riguarda l’Iran, gli Usa sono intenzionati,
almeno per il momento, a lasciare che l’Unione
europea continui nei suoi tentativi di convincere
il governo iraniano a sospendere le ricerche per l’arricchimento
dell’uranio e a terminare i propri progetti
nucleari, offrendo in cambio aiuti e supporti di natura
politica ed economica.
Se Tehran dovesse rifiutare ogni proposta a indietreggiare
dalla sua attuale posizione, allora, tra le due sponde
atlantiche, dovremo aspettarci una maggiore differenza
di opinioni sulle sanzioni da applicare e sull’eventuale
uso della forza.
La questione israelo-palestinese è
un elemento cruciale nella situazione mediorientale.
L’Ue cerca di coinvolgere Hamas nel processo
politico, mentre gli usa tendono a volerla escludere.
La formazione di un governo palestinese di unità
nazionale può aiutare a disegnare una nuova
roadmap?
Ho paura che la roadmap rimanga carta morta finché
Hamas rimane al potere e rifiuta di riconoscere Israele.
Un governo di unità nazionale potrebbe darci
qualche speranza, ma solo se Abbas si dimostra in
grado di detenere una certa autorità e di esercitarla;
allo stesso tempo l’Anp deve mostrarsi pronta
a esercitare un ruolo costruttivo nel negoziato. Per
avere una nuova roadmap è essenziale che Israele
abbia di fronte un’Anp volenterosa e capace
di portare avanti un negoziato fino a un accordo stabile.
Torniamo ai rapporti e alle differenze di
atteggiamento in politica estera tra Usa e paesi europei.
Marte per indicare u atteggiamento aggressivo e muscolare
tutto americano nell’affrontare le crisi; Venere
per riferirsi al soft power e alla diplomazia europea.
Ci serve ancora questa semplificazione?
C’è qualcosa di vero nella metafora
che sintetizza i due atteggiamenti coi nomi di Marte
e di Venere, ma la semplificazione è certamente
eccessiva. L’Europa non ha rinunciato all’uso
della forza per sempre e non si è presa la
responsabilità di affidare ai soli negoziati
diplomatici la soluzione di ogni problema. In molti
luoghi sono presenti truppe europee e in alcune realtà,
in Afghanistan ad esempio, queste si sono impegnate
in una guerra ad alta intensità.
Nel frattempo, gli Stati Uniti di Bush sembrano aver
riscoperto il valore della diplomazia. La debacle
irachena ha fatto capire che non basta una straordinaria
forza militare per risolvere i problemi del mondo.
Gli Usa tendono, comunque, a essere meno pazienti
dei loro alleati europei e mirano a soluzioni rapide
e nette, senza mediazioni. L’Europa invece è
più preparata ad accettare l’ambiguità
e le sfide di lungo periodo legate dai cambiamenti
della democratizzazione e degli scenari politici.
Cambi di governo hanno portato le sinistre
al governo in Spagna e Italia, e Bush ha visto due
amici fedeli come Berluscopni e Aznar allontanarsi
dal potere. Come può influire questo cambio
di direzione della politica europea nei rapporti tra
Usa ed Europa?
Aznar e Berlusconi sono fuori gioco e Blair è
al momento molto debole. Questi cambiamenti allontanano
da Bush quelli che sono stati per lui i migliori alleati
europei. È anche vero, però, che Angela
Merkel è molto più vicina agli Usa di
quanto non lo fosse Schroeder e Prodi, pur essendo
favorevole a un’Europa forte, è un sostenitore
delle relazioni atlantiche e auspica che l’Ue
sappia essere un valido partner degli Stati Uniti.
Io credo che questi cambiamenti siano positivi: più
l’Europa si mostra capace di affrontare i problemi
in maniera compatta, più gli Stati Uniti l’ascolteranno
e cercheranno il suo aiuto, a partire dalla realizzazione
di migliori relazioni atlantiche.
E l’imminente avvicendamento britannico
tra Blair e Brown?
Dubito che la politica Britannica cambierà
in modo sostanzioso dopo questo avvicendamento. Il
Regno Unito manterrà le sue posizioni atlantiste;
Brown è più scettico, rispetto a Blair,
ad entrare nell’eurozona e così la Gran
Bretagna potrebbe tentare di mantenere il suo ruolo
di ponte, di mediazione privilegiata tra l’Ue
e gli Usa, anche senza seguire Washington nelle sue
scelte, così come ha fatto Blair.
Finora abbiamo parlato dell’Unione
europea, ma scendendo nella realtà dei fatti
abbiamo menzionato solo i singoli governi. Questa
ambiguità tra l’Unione e i suoi membri,
assai forte in politica estera, non finisce per screditare
l’Ue nello scenario internazionale?
L’Unione europea è davvero un’opera
in via di definizione, soprattutto per quanto riguarda
la politica estera e di sicurezza comune in cui l’autorità
è assai decentralizzata e i processi di decisionali
rimango a livello intergovernativo, non sovranazionale.
Credo sia molto importante che l’Ue riprenda
la proposta per un unico ministro degli esteri contenuta
nella costituzione. È essenziale avere la migliore
coordinazione e la maggiore cooperazione possibile
sulle politiche della sicurezza; credo che accentrare
queste caratteristiche su un solo rappresentante alla
guida di uno staff consistente sarebbe un importante
passo avanti in questa direzione.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it