307 - 12.10.06


Cerca nel sito
Cerca WWW
Marte e Venere non
sono poi così lontani
Charles Kupchan
con Mauro Buonocore

L’Ue sta assumendo un ruolo importante nello scacchiere globale. O meglio, i paesi europei sono tornati ad avere rilievo diplomatico, e dopo le campagne militari americane in Afghanistan e Iraq, gli Usa ora vogliono una presenza diplomatica influente degli europei nella politica internazionale.
Lo dimostra il Libano, con i ruoli di primissimo piano per raggiungere la missione di pace svolti da Itala e Francia, lo dimostra l’Iran, il, cui governo ha iniziato a parlare con Solana. Ma attenzione, dice Charles Kupchan : “se i negoziati sul nucleare iraniano non dovessero andare in porto, allora in molti cambieranno idea su un possibile uso della forza”.

A Kupchan, docente di International Affairs alla Georgetown Universitye membro del Council on Foreign Relations, abbiamo chiesto di analizzare come potrebbero evolvere le relazioni transatlantiche alla luce dei più recenti avvenimenti: paesi europei realmente attivi sul piano diplomatico, Usa che fanno un passo indietro sulla priorità degli interventi militari in Medio Oriente.

Professore, dalle due sponde atlantiche vengono due modi diversi di guardare allo scenario internazionale; dopo la crisi Libanese e i colloqui di Solana con Ahmadinejad queste sponde sono più lontane o più vicine?

Innanzitutto gli Stati Uniti hanno iniziato ad apprezzare il bisogno di un maggiore coinvolgimento europeo nello scenario internazionale, così come iniziano ad apprezzare la necessità delle migliori abilità europee, sia in campo diplomatico che militare. Allo stesso tempo però Washington sembra offendersi quando le scelte politiche europee differiscono da quelle americane. Per quanto riguarda il Libano, Bush era preparato a difendere il diritto di Israele a proseguire la guerra e a resistere alle richieste di cessate il fuoco dell’Ue. Ma poi si è reso conto che continuare la guerra avrebbe significato pagare costi molto alti e ha accolto con piacere la leadership francese all’Onu e la volontà dei paesi europei di guidare la missione di pace.
Per quanto riguarda l’Iran, gli Usa sono intenzionati, almeno per il momento, a lasciare che l’Unione europea continui nei suoi tentativi di convincere il governo iraniano a sospendere le ricerche per l’arricchimento dell’uranio e a terminare i propri progetti nucleari, offrendo in cambio aiuti e supporti di natura politica ed economica.
Se Tehran dovesse rifiutare ogni proposta a indietreggiare dalla sua attuale posizione, allora, tra le due sponde atlantiche, dovremo aspettarci una maggiore differenza di opinioni sulle sanzioni da applicare e sull’eventuale uso della forza.

La questione israelo-palestinese è un elemento cruciale nella situazione mediorientale. L’Ue cerca di coinvolgere Hamas nel processo politico, mentre gli usa tendono a volerla escludere. La formazione di un governo palestinese di unità nazionale può aiutare a disegnare una nuova roadmap?

Ho paura che la roadmap rimanga carta morta finché Hamas rimane al potere e rifiuta di riconoscere Israele. Un governo di unità nazionale potrebbe darci qualche speranza, ma solo se Abbas si dimostra in grado di detenere una certa autorità e di esercitarla; allo stesso tempo l’Anp deve mostrarsi pronta a esercitare un ruolo costruttivo nel negoziato. Per avere una nuova roadmap è essenziale che Israele abbia di fronte un’Anp volenterosa e capace di portare avanti un negoziato fino a un accordo stabile.

Torniamo ai rapporti e alle differenze di atteggiamento in politica estera tra Usa e paesi europei. Marte per indicare u atteggiamento aggressivo e muscolare tutto americano nell’affrontare le crisi; Venere per riferirsi al soft power e alla diplomazia europea. Ci serve ancora questa semplificazione?

C’è qualcosa di vero nella metafora che sintetizza i due atteggiamenti coi nomi di Marte e di Venere, ma la semplificazione è certamente eccessiva. L’Europa non ha rinunciato all’uso della forza per sempre e non si è presa la responsabilità di affidare ai soli negoziati diplomatici la soluzione di ogni problema. In molti luoghi sono presenti truppe europee e in alcune realtà, in Afghanistan ad esempio, queste si sono impegnate in una guerra ad alta intensità.
Nel frattempo, gli Stati Uniti di Bush sembrano aver riscoperto il valore della diplomazia. La debacle irachena ha fatto capire che non basta una straordinaria forza militare per risolvere i problemi del mondo.
Gli Usa tendono, comunque, a essere meno pazienti dei loro alleati europei e mirano a soluzioni rapide e nette, senza mediazioni. L’Europa invece è più preparata ad accettare l’ambiguità e le sfide di lungo periodo legate dai cambiamenti della democratizzazione e degli scenari politici.

Cambi di governo hanno portato le sinistre al governo in Spagna e Italia, e Bush ha visto due amici fedeli come Berluscopni e Aznar allontanarsi dal potere. Come può influire questo cambio di direzione della politica europea nei rapporti tra Usa ed Europa?

Aznar e Berlusconi sono fuori gioco e Blair è al momento molto debole. Questi cambiamenti allontanano da Bush quelli che sono stati per lui i migliori alleati europei. È anche vero, però, che Angela Merkel è molto più vicina agli Usa di quanto non lo fosse Schroeder e Prodi, pur essendo favorevole a un’Europa forte, è un sostenitore delle relazioni atlantiche e auspica che l’Ue sappia essere un valido partner degli Stati Uniti. Io credo che questi cambiamenti siano positivi: più l’Europa si mostra capace di affrontare i problemi in maniera compatta, più gli Stati Uniti l’ascolteranno e cercheranno il suo aiuto, a partire dalla realizzazione di migliori relazioni atlantiche.

E l’imminente avvicendamento britannico tra Blair e Brown?

Dubito che la politica Britannica cambierà in modo sostanzioso dopo questo avvicendamento. Il Regno Unito manterrà le sue posizioni atlantiste; Brown è più scettico, rispetto a Blair, ad entrare nell’eurozona e così la Gran Bretagna potrebbe tentare di mantenere il suo ruolo di ponte, di mediazione privilegiata tra l’Ue e gli Usa, anche senza seguire Washington nelle sue scelte, così come ha fatto Blair.

Finora abbiamo parlato dell’Unione europea, ma scendendo nella realtà dei fatti abbiamo menzionato solo i singoli governi. Questa ambiguità tra l’Unione e i suoi membri, assai forte in politica estera, non finisce per screditare l’Ue nello scenario internazionale?

L’Unione europea è davvero un’opera in via di definizione, soprattutto per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza comune in cui l’autorità è assai decentralizzata e i processi di decisionali rimango a livello intergovernativo, non sovranazionale. Credo sia molto importante che l’Ue riprenda la proposta per un unico ministro degli esteri contenuta nella costituzione. È essenziale avere la migliore coordinazione e la maggiore cooperazione possibile sulle politiche della sicurezza; credo che accentrare queste caratteristiche su un solo rappresentante alla guida di uno staff consistente sarebbe un importante passo avanti in questa direzione.

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it