307 - 12.10.06


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“Tony se ne va, danno grave
per la sinistra europea”

Martin Kettle con
Daniele Castellani Perelli


“Qualcuno una volta ha detto che Gordon Brown va raramente a Bruxelles se non per affari, e io aggiungerei che è raro che attraversi la Manica se non per affari. Brown è un atlantista istintivo, trascorre le vacanze in America e non credo che parli altre lingue all’infuori dell’inglese. Blair è un europeo istintivo, e se non lo ha dimostrato è stato soprattutto perché glielo ha impedito Brown”.
L’Europa può comiciare a preoccuparsi, a dar retta a quello che ci dice Martin Kettle. Editorialista del quotidiano progressista inglese The Guardian, Kettle è una firma storica del giornale, del quale è stato per anni anche capo dell’ufficio americano. E’ anche autore di alcuni libri (tra cui Policing the Police e Uprising) e conosce da anni i due rivali del Labour, Gordon Brown e Tony Blair. Del quale dice: “Nonostante l’Iraq, la sua uscita di scena sarà una tragedia per la sinistra europea”.

Il duello tra il premier britannico Tony Blair e il Cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, fraterno amico che da tempo reclama l’investitura alla successione, è più di natura politica o è puramente personale?

È certamente più una questione personale, ma nella grande politica funziona così, e non c’è nulla di male. Le loro visioni del mondo sono infatti diverse ma simili, compatibili. È una lotta di potere tra due anime ideologicamente gemelle che sono entrambe al vertice del partito laburista, e rivalità e ambizione sono parte integrante della politica. Questo duello è diventato particolarmente intenso perché per molti anni i due hanno lavorato fianco a fianco e si sono visti come un team, mentre ora il rapporto è diventato un peso per il partito.

Lei conosce personalmente Blair e Brown. Cosa starano provando in questo momento?

Nel corso degli anni Brown si è fatto l’idea di essere il politico più competente, il più serio dei due, il più deciso e il più concreto, e magari non ha neanche tutti i torti. Blair, dal punto di vista della persona, è un politico molto più inclusivo, più tollerante e più clemente. Brown è uno che ti perdona molto più difficilmente, e ne so qualcosa per la mia esperienza di giornalista.

Ma ci sono anche delle differenze politiche tra i due, per esempio in politica economica o in politica estera? Mark Leonard ha scritto su The Spectator che Brown è un “atlantista istintivo”.

E’ vero, e Blair è un europeo istintivo.

Non è che si sia notato molto in questi anni…

Non lo si è notato soprattutto perché Brown non gliel’ha permesso. Blair ha detto più volte che la relazione con gli Usa non esclude quella con l’Ue, e lo stesso potrebbe non valere per Gordon Brown.

Possiamo quindi stare certi che con Brown al potere la Gran Bretagna non si batterà per l’adesione all’euro…

Esatto. Dal punto di vista culturale Blair è un europeo. Come tanti esponenti della classe media britannica va in vacanza in Europa, parla o comprende le lingue del vecchio continente (italiano incluso), possiede una prospettiva europea. Brown non è affatto così. Qualcuno una volta ha detto che Brown va raramente a Bruxelles se non per affari, e io aggiungerei che è raro che attraversi la Manica se non per affari. Brown trascorre le vacanze in America e non credo che parli altre lingue all’infuori dell’inglese.

È possibile che alla fine il Labour preferisca a Brown un altro candidato? Si fanno i nomi di Margaret Beckett e di Alan Johnson, di cui lei ha scritto recentemente sul Guardian.

È una possibilità di cui si parla. Brown è chiaramente il favorito, ma sono dieci anni che è chiaramente il favorito. Più il tempo passa senza che egli diventi il leader, più aumentano le possibilità che alla fine sia qualcun altro a succedere a Blair, anche se al momento sembra difficile. Alan Johnson è in cima alla lista di quei tre-quattro di cui si parla. C’è anche Hilary Benn, il figlio di Tony Benn, ministro labour negli anni ‘70. E c’è infine David Miliband. Sono tutti seri candidati alla leadership laburista, ma più nel futuro che nel presente. Sono tutti cioè più dei possibili successori di Brown che dei rivali di Brown. Però il Cancelliere è sempre più preoccupato che in qualche modo alla fine perderà il controllo della battaglia per la successione, e che perciò diverrà vulnerabile davanti alla candidatura di un rivale più giovane e più attraente. Brown si è creato la reputazione di uno che tende ad accentrare il potere, ad escludere gli altri. Uno che si fida solo di chi gli è fedele al 100%. Questo è un problema, perché gli ha alienato la simpatia di tante persone.

Qual è l’eredità di Tony Blair? Ad esempio: come ha saputo riplasmare la parola “socialismo”?

Blair ha provato a creare un compromesso, una riconciliazione tra una socialdemocrazia moderata e il thatcherismo. Ci è riuscito o ha fallito? Io credo che più o meno ci sia riuscito. Gli ultimi due-tre anni sono stati purtroppo dominati dall’Iraq, che ha rappresentato una svolta nella politica di Blair, il momento in cui ha veramente perso la fiducia del suo partito.

E anche la fiducia della sinistra europea…

È vero, ed è stata una grande tragedia per Blair ma anche una gran brutta notizia per la sinistra europea. Questa, per molti aspetti, ha ancora molto da imparare da Blair. È molto facile condannarlo dopo il disastro dell’Iraq, e l’ho fatto anch’io, però la sinistra può ancora imparare molto da lui. Basta guardare i dibattiti all’interno della sinistra francese, di quella italiana e di quella tedesca.

Sarebbe oggi più facile imparare da Blair se non avesse commesso l’errore dell’Iraq?

È vero, è stato un disastro politico. E non lo è stato tanto per quello che ha significato per l’Iraq, visto che Bush l’avrebbe fatta comunque quella guerra, anche senza Blair. Il disastro vero lo si è avuto in Gran Bretagna, dove con quell’errore Blair ha rovinato la sua credibilità e la sua autorevolezza politica. E tuttavia la sua fama è ancora grande. Guardiamo agli argomenti del dibattito interno alla sinistra francese, tra Lionel Jospin, Ségolène Royal e Laurent Fabius. So che è un po’ anglocentrico dirlo, ma mi pare che Ségolène Royal abbia oggi più chance degli altri proprio perché ha imparato la lezione di Blair. Anche la sinistra italiana, che per me rimane un tema davvero affascinante, è stata molto influenzata da Blair. Certo è frustrante che, nonostante abbia alle spalle una tradizione che è anche fatta di grandi riformisti come Giorgio Napolitano, tuttavia oggi è ancora ostaggio di una forte sinistra radicale. La sinistra tedesca non è da meno. Negli anni Sessanta era il faro della sinistra europea, e ha smesso di esserlo da molti anni. Io credo che per la sinistra europea Blair sarà una grande perdita. La sua uscita di scena, in qualche modo, sarà una tragedia.




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