“Qualcuno
una volta ha detto che Gordon Brown va raramente a Bruxelles
se non per affari, e io aggiungerei che è raro
che attraversi la Manica se non per affari. Brown è
un atlantista istintivo, trascorre le vacanze in America
e non credo che parli altre lingue all’infuori
dell’inglese. Blair è un europeo istintivo,
e se non lo ha dimostrato è stato soprattutto
perché glielo ha impedito Brown”.
L’Europa può comiciare a preoccuparsi,
a dar retta a quello che ci dice Martin Kettle. Editorialista
del quotidiano progressista inglese The Guardian,
Kettle è una firma storica del giornale,
del quale è stato per anni anche capo dell’ufficio
americano. E’ anche autore di alcuni libri (tra
cui Policing the Police e Uprising) e conosce
da anni i due rivali del Labour, Gordon Brown e Tony
Blair. Del quale dice: “Nonostante l’Iraq,
la sua uscita di scena sarà una tragedia per
la sinistra europea”.
Il duello tra il premier britannico Tony Blair
e il Cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, fraterno
amico che da tempo reclama l’investitura alla
successione, è più di natura politica
o è puramente personale?
È certamente più una questione personale,
ma nella grande politica funziona così, e non
c’è nulla di male. Le loro visioni del
mondo sono infatti diverse ma simili, compatibili. È
una lotta di potere tra due anime ideologicamente gemelle
che sono entrambe al vertice del partito laburista,
e rivalità e ambizione sono parte integrante
della politica. Questo duello è diventato particolarmente
intenso perché per molti anni i due hanno lavorato
fianco a fianco e si sono visti come un team, mentre
ora il rapporto è diventato un peso per il partito.
Lei conosce personalmente Blair e Brown. Cosa
starano provando in questo momento?
Nel corso degli anni Brown si è fatto l’idea
di essere il politico più competente, il più
serio dei due, il più deciso e il più
concreto, e magari non ha neanche tutti i torti. Blair,
dal punto di vista della persona, è un politico
molto più inclusivo, più tollerante e
più clemente. Brown è uno che ti perdona
molto più difficilmente, e ne so qualcosa per
la mia esperienza di giornalista.
Ma ci sono anche delle differenze politiche
tra i due, per esempio in politica economica o in politica
estera? Mark Leonard ha scritto su The Spectator
che Brown è un “atlantista istintivo”.
E’ vero, e Blair è un europeo istintivo.
Non è che si sia notato molto in questi
anni…
Non lo si è notato soprattutto perché
Brown non gliel’ha permesso. Blair ha detto più
volte che la relazione con gli Usa non esclude quella
con l’Ue, e lo stesso potrebbe non valere per
Gordon Brown.
Possiamo quindi stare certi che con Brown al
potere la Gran Bretagna non si batterà per l’adesione
all’euro…
Esatto. Dal punto di vista culturale Blair è
un europeo. Come tanti esponenti della classe media
britannica va in vacanza in Europa, parla o comprende
le lingue del vecchio continente (italiano incluso),
possiede una prospettiva europea. Brown non è
affatto così. Qualcuno una volta ha detto che
Brown va raramente a Bruxelles se non per affari, e
io aggiungerei che è raro che attraversi la Manica
se non per affari. Brown trascorre le vacanze in America
e non credo che parli altre lingue all’infuori
dell’inglese.
È possibile che alla fine il Labour
preferisca a Brown un altro candidato? Si fanno i nomi
di Margaret Beckett e di Alan Johnson, di cui lei ha
scritto recentemente sul Guardian.
È una possibilità di cui si parla. Brown
è chiaramente il favorito, ma sono dieci anni
che è chiaramente il favorito. Più il
tempo passa senza che egli diventi il leader, più
aumentano le possibilità che alla fine sia qualcun
altro a succedere a Blair, anche se al momento sembra
difficile. Alan Johnson è in cima alla lista
di quei tre-quattro di cui si parla. C’è
anche Hilary Benn, il figlio di Tony Benn, ministro
labour negli anni ‘70. E c’è infine
David Miliband. Sono tutti seri candidati alla leadership
laburista, ma più nel futuro che nel presente.
Sono tutti cioè più dei possibili successori
di Brown che dei rivali di Brown. Però il Cancelliere
è sempre più preoccupato che in qualche
modo alla fine perderà il controllo della battaglia
per la successione, e che perciò diverrà
vulnerabile davanti alla candidatura di un rivale più
giovane e più attraente. Brown si è creato
la reputazione di uno che tende ad accentrare il potere,
ad escludere gli altri. Uno che si fida solo di chi
gli è fedele al 100%. Questo è un problema,
perché gli ha alienato la simpatia di tante persone.
Qual è l’eredità di Tony
Blair? Ad esempio: come ha saputo riplasmare la parola
“socialismo”?
Blair ha provato a creare un compromesso, una riconciliazione
tra una socialdemocrazia moderata e il thatcherismo.
Ci è riuscito o ha fallito? Io credo che più
o meno ci sia riuscito. Gli ultimi due-tre anni sono
stati purtroppo dominati dall’Iraq, che ha rappresentato
una svolta nella politica di Blair, il momento in cui
ha veramente perso la fiducia del suo partito.
E anche la fiducia della sinistra europea…
È vero, ed è stata una grande tragedia
per Blair ma anche una gran brutta notizia per la sinistra
europea. Questa, per molti aspetti, ha ancora molto
da imparare da Blair. È molto facile condannarlo
dopo il disastro dell’Iraq, e l’ho fatto
anch’io, però la sinistra può ancora
imparare molto da lui. Basta guardare i dibattiti all’interno
della sinistra francese, di quella italiana e di quella
tedesca.
Sarebbe oggi più facile imparare da
Blair se non avesse commesso l’errore dell’Iraq?
È vero, è stato un disastro politico.
E non lo è stato tanto per quello che ha significato
per l’Iraq, visto che Bush l’avrebbe fatta
comunque quella guerra, anche senza Blair. Il disastro
vero lo si è avuto in Gran Bretagna, dove con
quell’errore Blair ha rovinato la sua credibilità
e la sua autorevolezza politica. E tuttavia la sua fama
è ancora grande. Guardiamo agli argomenti del
dibattito interno alla sinistra francese, tra Lionel
Jospin, Ségolène Royal e Laurent Fabius.
So che è un po’ anglocentrico dirlo, ma
mi pare che Ségolène Royal abbia oggi
più chance degli altri proprio perché
ha imparato la lezione di Blair. Anche la sinistra italiana,
che per me rimane un tema davvero affascinante, è
stata molto influenzata da Blair. Certo è frustrante
che, nonostante abbia alle spalle una tradizione che
è anche fatta di grandi riformisti come Giorgio
Napolitano, tuttavia oggi è ancora ostaggio di
una forte sinistra radicale. La sinistra tedesca non
è da meno. Negli anni Sessanta era il faro della
sinistra europea, e ha smesso di esserlo da molti anni.
Io credo che per la sinistra europea Blair sarà
una grande perdita. La sua uscita di scena, in qualche
modo, sarà una tragedia.
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