307 - 12.10.06


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“Referendum: verso una
politica finalmente bipolare”

Giovanni Guzzetta
con Mauro Buonocore


Sulla riforma del sistema elettorale i partiti tentennano, tergiversano, esitano. E allora nasce la proposta per un referendum abrogativo della legge attuale. Obiettivo principale: limitare la frammentazione del sistema politico, garantire un bipolarismo più efficace e delineato, ripristinare i collegi uninominali e fare così in modo che le scelte degli elettori pesino sul risultato finale più delle decisioni dei partiti.

La proposta è stata lanciata dal prof. Giovanni Guzzetta, costituzionalista dell’Università di Roma Tor Vergata e già ideatore del referendum che nel 1993 ha cambiato il volto del sistema politico italiano. Guzzetta l’ha presentata pubblicamente il 22 settembre a più di cento costituzionalisti riuniti nella sala del Cenacolo a Roma.
L’obbiettivo dell’iniziativa è quello di creare le condizioni istituzionali che favoriscano “il dispiegarsi di un orizzonte bipartitico anche in Italia”, facilitando così i processi di aggregazione politica in atto, come il Partito Democratico.

Benissimo, ma che c’entra la formazione di una nuovo partito che riunisca le forze del centro sinistra con la legge elettorale? Non potrebbe nascere indipendentemente dalla scelta tra proporzionale e maggioritario?
“Il sistema proporzionale non impedisce di per sé la costruzione di un’ampia forza riformista nel centrosinistra – spiega Giovanni Guzzetta che sta in questi giorni riunendo intorno a sé personalità pubbliche ed esponenti della società civile per dar vita alla pattuglia referendaria – tant’è vero che alle ultime elezioni laddove l’Ulivo si è presentato con una sola lista ha raggiunto un ottimo risultato. Gli ostacoli alla formazione del nuovo partito sono di natura politica, riguardano la difficoltà a stabilirne il perimetro e capirne l’identità”.
Ma un sistema maggioritario, continua Guzzetta, aiuterebbe molto di più, sarebbe un incentivo verso questa direzione, perché correggerebbe alcuni difetti della legge proporzionale che favorisce invece la frammentazione e le rendite di posizione di numerosi partiti.

Un tema di cui si è iniziato a parlare in Italia da più di un decennio e che ancora non trova soluzione.
“Prima del 1993 – spiega il prof. Guzzetta – il sistema politico italiano aveva due problemi evidenti: fortissima frammentazione e instabilità da un parte, e dall’altra mancanza di alternanza di governo. I referendum di quell’anno hanno favorito una soluzione a questo secondo aspetto, tanto che dal ’94 a oggi ogni elezione ha segnato un cambio di governo tra i due poli”.
Ma quella spinta non ha affatto risolto l’altro problema, anzi, la legge elettorale attualmente in vigore lo ha peggiorato, accentuando una forte frammentazione partitica.

“Abbiamo ora una pluralità di partiti che conservano e coltivano gelosamente ciascuno la propria identità, che non riescono a creare fenomeni aggregativi significativi se non in rarissime e precarie eccezioni”, dice il professore e continua: “La vita politica dipende quindi da continui negoziati ed estenuanti mediazioni tra i partiti della medesima maggioranza.
Vediamo così potenziato un meccanismo di conflittualità latente e di spinta verso la gelosa conservazione delle identità; un meccanismo che attribuisce a ciascun soggetto politico un potere di interdizione, una rendita di posizione. E aggiungiamo poi che la scomparsa di collegi uninominali, in cui ciascun elettore premiava o bocciava col voto un candidato, è affiancata dalla possibilità di candidature plurime, col risultato che un terzo del parlamento è determinato da chi è già stato eletto in più collegi”.

Proprio su questo punto la riforma promossa dal referendum interviene guardando a due obiettivi, dice Guzzetta: “da una parte costringere coloro che hanno intenzione di governare il Paese a comporre un’unica lista, un’aggregazione unitaria, il che significa aprire una prospettiva bipartitica per l’Italia; dall’altra parte il referendum colpisce le candidature plurime, stabilisce che chi si candida in una circoscrizione vince o perde, ma non può candidarsi contemporaneamente in altri luoghi, non solo per non mettere il paracadute alla rischio di non essere eletto, ma soprattutto per evitare che un candidato possa scegliere altri eletti della sua lista”.

L’idea dunque è quella di favorire la formazione di due poli distinti e compatti al loro interno, e allo stesso tempo di fare in modo che i voti che un candidato ha avuto, non vadano ridistribuiti in collegi diversi da quelli in cui lo stesso candidato è stato eletto.
Questa la proposta, ma ci chiediamo perché mai non siano i partiti stessi a fare la riforma.
“La legge elettorale ha una sua specificità: deve essere cambiata da coloro che ne beneficiano, cioè coloro che sono stati eletti” spiega Guzzetta. “In più, le maggioranze italiane ora sono frammentate e difficilmente trovano accordi su un tema simile che avrebbe, anzi, bisogno di un consenso parlamentare più ampio delle sole forze di governo: tutti questi fattori messi insieme portano a un’insufficienza di vedute condivise sulla riforma elettorale”. “Se il Parlamento riesce a produrre una riforma ben venga – aggiunge il professore - noi intanto proponiamo il referendum”.

Un referendum abrogativo, come tanti ce ne sono stati Italia senza produrre un risultato definitivo. Pensiamo al successo dell’uninominale al Senato, o anche all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, entrambi poi di fatto annullati da scelte parlamentari successive.
“Ovviamente il referendum è aggirabile – ammette Guzzetta – le norme sono necessarie, ma non sufficienti. Però bisogna notare che se anche il maggioritario votato dagli italiani è stato aggirato, è pur vero che si è prodotta fino ad oggi, pur nella sua imperfezione, una bipolarizzazione della politica. In secondo luogo, dal referendum del ’93 fino ad oggi gli elettori sono maturati, hanno interiorizzato il maggioritario e chiedono due poli in competizione, per poi premiare con il voto chi è stato più bravo ad aggregare forze diverse con una certa coerenza. La riforma che proponiamo non vuole far altro che incentivare le spinte all’aggregazione”.
I prossimi passi?
“Mantenere viva una convergenza trasversale sulla necessità della riforma, che non oppone la destra alla sinistra, ma piuttosto una spinta modernizzatrice a una tendenza conservatrice. Poi far nascere un comitato – conclude il professore – per presentare alla Cassazione il quesito referendario e iniziare la raccolta delle firme”.

 


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