Questo
articolo è apparso il 13 settembre 2006 sul quotidiano
Il
foglio, firmato con il simbolo dell’elefantino,
con titolo : "Discorso colossale e inequivoco sul
senso della civiltà occidentale".
Nel colossale discorso di Regensburg, Benedetto XVI,
tornato in veste papale nel suo vero luogo di combattimento
intellettuale e pastorale, che è l’università
e la cattedra di teologia, dice inequivocabilmente questo
(e lo dice con una sottigliezza di pensiero non inferiore
al coraggio politico e culturale): siamo ebrei, greci
e cristiani, e Maometto e il suo Dio sono altro da noi.
E Ratzinger aggiunge: per dialogare con l’altro
da noi, in un tempo burrascoso di violenza religiosa
e di aggressione proselitistica alla nostra civiltà
occidentale, europea, dobbiamo riconoscerci per quel
che siamo, e cioè uomini e donne dotati di due
fonti del sapere e dell’amore, la ragione e la
fede. Queste fonti ci preservano, nella loro relazione,
dalla cattiva trascendenza di Dio, dal monolitismo islamico
che è altra cosa dal monoteismo ebraico-cristiano,
e ci salvano dal Dio dell’arbitrio. Infine: per
riconoscerci quali siamo, dobbiamo sbarazzarci del riduzionismo
e del relativismo moderni, dall’idea che la fede
e l’amore e la ragione non abbiano un rapporto
stretto, di vera analogia, con la verità,
con l’essere, con la metafisica, con l’esperienza
di fede del divino incarnato (le fonti del conoscere
e del credere non appartengono – come dicono moderni
e postmoderni – al soggetto, al fare, all’esperimento
scientifico, all’ordine del discorso, alla storia,
ma all’essere).
Molti giornali oggi diranno che “il Papa attacca
l’islam” o edulcoreranno le sue parole,
la solita semplificazione e atroce banalizzazione di
un grande pensiero dell’identità, delle
radici giudaiche e cristiane, e greche, della civiltà
occidentale. Lo faranno sulla scorta di una citazione
del discorso papale, quella dell’imperatore di
Bisanzio Manuele II Paleologo che annota, alla fine
del XIV secolo, questo suo scambio con un persiano:
“Mostrami pure ciò che Maometto ha portato
di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive
e disumane, come la sua direttiva di diffondere per
mezzo della spada la fede che egli predicava”.
Una citazione sapientemente addolcita dalla precedente
menzione di una sura coranica del tempo giovanile, nota
Ratzinger, “in cui Maometto stesso era ancora
senza potere e minacciato”, che dice: “Nessuna
costrizione nelle cose di fede” (sura 2, 256).
Ma quella dell’imperatore è una citazione
“crociata” poi spiegata senza scrupoli ipocriti,
sempre da Ratzinger: l’imperatore cristiano condanna
la dottrina islamica del jihad in nome della ragionevolezza
del Dio logos, del Dio di ragione, che “non si
compiace del sangue” e che danna “il non
agire secondo ragione” come “contrario alla
natura di Dio”. “Per la dottrina musulmana,
invece – nota Ratzinger sulla scorta del curatore
moderno del dialogo tra Manuele II Paeologo e il persiano
– Dio è assolutamente trascendente. La
sua volontà non è legata a nessuna delle
nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”.
Più chiaro e più culturalmente scorretto
di così un grande Papa non avrebbe potuto essere:
il Dio islamico è diverso, e radicalmente diverso,
dal nostro. Per essere più chiaro ancora, Benedetto
XVI aggiunge: “Qui si apre, nella comprensione
di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione,
un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto”.
Chiaro? C’è un campo che è quello
della Bibbia, del vangelo di Giovanni con il suo Logos
e del pensiero greco, e un campo che è quello
della religione di conquista, della religione naturale
che è anche politica e violenza in nome di un
Dio arbitrario, lontano e separato dalla ragione umana.
Ma solo una lettura volgare e semplificatrice può
parlare di un “attacco all’islam”.
Il Papa della ragione, così come lo definimmo
al tempo della sua elezione, ha un altro obiettivo,
che si rende manifesto nel resto del suo straordinario
discorso di Regensburg: evangelizzare l’occidente,
correggere l’apostasia della fede, la deriva agnostica
e indifferente, ma farlo con una grande apertura razionale,
con una riellenizzazione del cristianesimo, che ripropone
la grandezza paolina, agostiniana e tomista della cultura
e della prassi cristiana, la sequela di Cristo, in una
solida alleanza con la metafisica, cioè con un
pensiero che indaga la verità dell’essere,
cioè della condizione naturale, umana e misteriosa
o divina del mondo. Il Papa teologo e filosofo affronta
poi la questione dirimente: esamina come l’occidente
abbia perso, disellenizzando il cristianesimo nel passaggio
dal medioevo alla modernità, questo contatto
con la ragione oggettivistica, con una ragione che comprende
la fede e che la fede è in grado di comprendere,
a favore degli aut aut esistenzialistici, di un Dio
totalmente altro, di un Dio che si invera sola Scriptura,
il Dio della coscienza, il Dio che Lutero sperimentò
nel suo dramma del chiostro e scagliò contro
Roma e la sede petrina, il Dio di von Harnack e di Karl
Barth e delle subculture cristiane dell’amore
e della differenza oggi in voga. La sua cavalcata attraversa
l’illuminismo radicale, quello ateo, e Kant, che
riduce la fede a campo pratico, morale privata. E si
conclude con il traguardo che era prevedibile sulla
base di tutta la teologia di Ratzinger, pensiero forte
a contatto con lo spirito e di drammi della nostra epoca
debole: “Una ragione che di fronte al divino è
sorda e respinge la religione nell’ambito delle
sottoculture è incapace di inserirsi nel dialogo
tra le culture”. E’ il manifesto dell’identità
occidentale come identità ebraica, greca e cristiana,
letto ieri a Regensburg.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|