Patrick Diamond
è direttore di Policy Network, un think tank
internazionale di centro-sinistra fondato nel 2000 da
Tony Blair, Gerhard Schröder, Giuliano Amato e
Göran Persson. Gli abbiamo rivolto alcune domande
sulle conseguenze dell’avvicendamento più
discusso del momento, quello tra Tony Blair e Gordon
Brown, cui mancherebbero, secondo molti, ormai pochi
mesi.
La prima questione riguarda la politica estera:
cosa cambierà con Brown al potere? Sarà
una politica più o meno filo-atlantica di quella
di Blair?
Credo che, in sostanza, non ci sarà molta differenza.
Tutti i primi ministri inglesi, dalla seconda Guerra
mondiale in poi, hanno cercato di mantenere un ponte
tra l’America e l’Europa e questa nozione
di ponte transatlantico è stata molto importante
nel mantenere l’influenza britannica nella politica
mondiale. Quindi è molto improbabile che Gordon
Brown si allontani da questa posizione. Credo infatti
che manterrà sia gli impegni europei sia il forte
legame, che c’ è sempre stato, con la Casa
Bianca. Certo, dal punto di vista retorico, comunicativo,
la sua politica potrà avere sfumature diverse
rispetto a quella di Blair: ad esempio potrebbe porre
meno enfasi sull’interventismo o sugli aspetti
morali della politica estera: ma nella sostanza non
mi aspetterei alcun cambiamento fondamentale.
E per quello che riguarda la questione irachena?
Non vedo alcuna differenza su questo tra la posizione
di Brown e quella di Blair. Brown ha votato per la guerra
e quindi, anche se le scelte a lungo termine sono difficili
da prevedere, è assai improbabile che prenda
una posizione non in linea, isolata, da quella Americana.
The Spectator ha scritto che Brown
è decisamente più euroscettico di Blair.
“Non legge romanzi europei né ascolta Beethoven”,
hanno detto. Vede possibile in quest’ottica un’entrata
della Gran Bretagna nell’euro?
Anche qui, dipende da come la si vede. Brown può
essere meno europeista di Blair nel suo linguaggio,
ma questo non implicherà una politica diversa
rispetto a quella tenuta finora dalla Gran Bretagna,
con un forte sostegno all’Unione Europea, anche
se magari con una minore attenzione per l’allargamento
e l’integrazione interna. Io credo che porterà
totalmente avanti la politica di Blair. C’è
forse un’area che Brown potrebbe voler potenziare:
quella della politica europea per la sicurezza e la
difesa, per far sì che l’Europa possa impegnarsi
di più dal punto di vista militare. Insomma,
non necessariamente Brown sarà meno europeo,
ma naturalmente penso che si sappia che è più
interessato ad alcune istituzioni europee, e che sarà
difficile che durante il suo premierato la Gran Bretagna
entrerà nell’euro: anche se, ufficialmente,
Brown si è mostrato molto interessato alle conseguenze
dell’entrata nella moneta unica e agli strumenti
che sarebbero necessari per armonizzare l’economia
britannica con quella degli altri paesi dell’Unione.
Per quanto riguarda la lotta alla povertà
e alle diseguaglianze, Gordon Brown si comporterà
in maniera più aggressiva? O resterà nel
sentiero tracciato dalla Terza Via?
Credo che la politica sarà la stessa, anche
perché la strategia del governo in questi ambiti
è stata disegnata negli ultimi dieci anni Brown
stesso. L’enfasi sulla redistribuzione, sul sistema
dei benefits che si lega ad una grande responsabilità
nel welfare e a quella che noi chiamiamo conditionality
of benefits – ovvero il fatto che per ottenere
dei benefici occorra prima soddisfare determinate condizioni
(cercare lavoro, formarsi, etc.) – proseguiranno
probabilmente anche con Brown. Credo che il framework
ideologico, sociale e democratico, della terza via,
che bilancia diritti e responsabilità per non
andare incontro ad alcuna contraddizione tra eguaglianza
sociale e efficienza economica, rimarrà nel premierato
di Brown.
Qual è in conclusione, l’eredità
di Tony Blair?
Credo che sarà soprattutto ricordato per aver
trasformato il Labour Party in un partito di governo
di successo. Con tre tornate elettorali vincenti, è
riuscito in qualcosa che nessun ministro laburista aveva
fatto prima. Nella politica interna ha avviato tante
iniziative che a lungo termine si mostreranno di successo;
ma in politica estera sarà difficile che verrà
ricordato per qualcosa di diverso dalla guerra in Iraq!
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