Mulier
taceat in ecclesia: ma forse una di noi può
assai sommessamente, secondo la vocazione del nostro
genere, suggerire un altro piccolo contributo alla serenità
del dibattito intellettuale, già pacatamente
avviato da Enrico Berti domenica scorsa sul Sole
24 ore, e seguito da numerosi altri interventi.
C’è una lettura del ragionamento di Ratisbona
che sembra aver convinto molta gente. È quella
secondo la quale il papa “dice inequivocabilmente
questo: siamo ebrei, greci e cristiani, e Maometto e
il suo Dio sono altro da noi”. Questa lettura
è firmata con provvida ironia, su Il Foglio
del 13 settembre scorso, dal suo direttore nella consueta
forma di elefante (così il lettore sa cosa deve
aspettarsi da questo passaggio per una cristalleria
filosofica). Il riassunto è nel titolo: “Discorso
colossale e inequivoco sul senso della civiltà
occidentale”. Se neppure il padreterno ha colpa
della pesantezza degli elefanti, forse non ne ha il
papa. Tuttavia c’è nella sua lezione un
punto che a me pare ambiguo – niente di più
che ambiguo – e che se lo si tira da una parte
invece che dall’altra può davvero di molto
oscurare il senso del ragionamento – e si sa che
poi nell’oscurità tutti gli elefanti sono
grigi e passano indisturbati.
Questo punto è la trascendenza di ciò
che gli uomini chiamano Dio. Con mio grandissimo stupore
– ma forse mi sfugge qualcosa – non ho trovato
quasi menzione, nella lezione del papa, di quel punto
esatto in cui la filosofia platonica trasforma
la nozione del divino e la offre ai Padri greci e latini,
poi ai Dottori della Chiesa. Detto in breve, per non
dirlo in greco, Dio è trascendente nel senso
di “ciò che trascende le categorie”,
compresa evidentemente quella di sostanza, o se volete
cosa, ente, oggetto. Questo fa del Dio ignoto
cristiano proprio quello che anche Paolo predicava ai
greci, qualcosa di veramente diverso dal Dio solo eminente
di Aristotele, che è in effetti soltanto la prima
delle sostanze, soltanto la cosa più importante.
Diventò formula, questo punto, con il più
razionalista dei teologi cristiani – Anselmo d’Aosta,
proprio quello dell’argomento ontologico: che
non diceva soltanto che di Dio non si può pensare
niente di più grande, ma che Dio è
più grande del pensabile: sempre oltre il
concepibile. E Tommaso poi afferma formalmente che Dio
non è in nessuna delle categorie. Insomma, in
quanto la teologia è platonica, Iddio non ci
sta in nessun modo nei nostri concetti.
Naturalmente la teologia cristiana non è solo
platonica – ma dell’Incarnazione non si
parla in questa Lezione che pareva aver scelto il terreno
migliore per un discorso non solo a tutte le persone
pensanti, ma anche a tutti i credenti delle cosiddette
religioni del libro. Non mi è chiarissimo cosa
intenda Ferrara quando parla di una “trascendenza
cattiva”, quella di Allah. Ma è certo che,
a fronte della trascendenza del divino rispetto ai nostri
concetti, uno ha due possibilità: o dire che
la fede è contro la ragione, o dire
che non è contro la ragione –
ma naturalmente oltre la ragione. Allora, ecco
il punto ambiguo: se ci si dimentica di sottolineare
abbastanza quell’“oltre”, può
succedere che arrivino gli elefanti e schiaccino tutto
a terra così: “la mia fede (o
meglio, la nostra, perché quanto a me sono un
ateo devoto) non è contro la ragione, ma la tua
sì. È irrazionale, quindi violenta, arbitraria,
insomma barbarica”.
Che peccato, allora, non menzionare proprio in quella
lezione magistrale quell’“oltre” che
è il più alto, il più sublime apporto
del pensiero platonico a tutt’e tre le teologie
del libro: all’ebraismo ellenistico, come al cristianesimo
dei Padri e dei Dottori, come alla grande teologia di
Al Farabi, di Avicenna, dei mistici sufi, e infine dei
mistici di tutti i tempi e luoghi. Per non parlare poi
di quella disparata compagnia che dal Cardinal Cusano
a Gabriel Marcel a Simone Weil, a tutti i perplessi
e ad alcuni atei, resta convinta che “quando si
parla di Dio, non è quasi mai veramente di Dio
che si parla”. In nome del silenzio che giustamente
si chiede alle signore in ecclesia, permettetemi
di concludere con una citazione dal più bel libro
sulla trascendenza – forse – che donna abbia
scritto. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo
atto del grande dialogo di tradizione medievale fra
un cristiano, un musulmano e un ebreo – l’atto
anti-idolatrico per eccellenza. Ed è il programma
stesso di Jeanne Hersch nel suo libro Essere e forma,
uscito in italiano quest’anno da Bruno Mondadori
nella bella traduzione di un’altra signora, Roberta
Guccinelli: “rimuovere dall’essere in sé
le prese temerarie della mente; allontanarlo da ogni
illusione possessiva, perché lo si tocchi meno
e lo si veda meglio. Conoscere Dio come ignoto. Noli
me tangere”.
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