307 - 12.10.06


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Caro Ferrara, Platone
ci unisce ai musulmani

Roberta De Monticelli


Mulier taceat in ecclesia: ma forse una di noi può assai sommessamente, secondo la vocazione del nostro genere, suggerire un altro piccolo contributo alla serenità del dibattito intellettuale, già pacatamente avviato da Enrico Berti domenica scorsa sul Sole 24 ore, e seguito da numerosi altri interventi. C’è una lettura del ragionamento di Ratisbona che sembra aver convinto molta gente. È quella secondo la quale il papa “dice inequivocabilmente questo: siamo ebrei, greci e cristiani, e Maometto e il suo Dio sono altro da noi”. Questa lettura è firmata con provvida ironia, su Il Foglio del 13 settembre scorso, dal suo direttore nella consueta forma di elefante (così il lettore sa cosa deve aspettarsi da questo passaggio per una cristalleria filosofica). Il riassunto è nel titolo: “Discorso colossale e inequivoco sul senso della civiltà occidentale”. Se neppure il padreterno ha colpa della pesantezza degli elefanti, forse non ne ha il papa. Tuttavia c’è nella sua lezione un punto che a me pare ambiguo – niente di più che ambiguo – e che se lo si tira da una parte invece che dall’altra può davvero di molto oscurare il senso del ragionamento – e si sa che poi nell’oscurità tutti gli elefanti sono grigi e passano indisturbati.

Questo punto è la trascendenza di ciò che gli uomini chiamano Dio. Con mio grandissimo stupore – ma forse mi sfugge qualcosa – non ho trovato quasi menzione, nella lezione del papa, di quel punto esatto in cui la filosofia platonica trasforma la nozione del divino e la offre ai Padri greci e latini, poi ai Dottori della Chiesa. Detto in breve, per non dirlo in greco, Dio è trascendente nel senso di “ciò che trascende le categorie”, compresa evidentemente quella di sostanza, o se volete cosa, ente, oggetto. Questo fa del Dio ignoto cristiano proprio quello che anche Paolo predicava ai greci, qualcosa di veramente diverso dal Dio solo eminente di Aristotele, che è in effetti soltanto la prima delle sostanze, soltanto la cosa più importante.

Diventò formula, questo punto, con il più razionalista dei teologi cristiani – Anselmo d’Aosta, proprio quello dell’argomento ontologico: che non diceva soltanto che di Dio non si può pensare niente di più grande, ma che Dio è più grande del pensabile: sempre oltre il concepibile. E Tommaso poi afferma formalmente che Dio non è in nessuna delle categorie. Insomma, in quanto la teologia è platonica, Iddio non ci sta in nessun modo nei nostri concetti.

Naturalmente la teologia cristiana non è solo platonica – ma dell’Incarnazione non si parla in questa Lezione che pareva aver scelto il terreno migliore per un discorso non solo a tutte le persone pensanti, ma anche a tutti i credenti delle cosiddette religioni del libro. Non mi è chiarissimo cosa intenda Ferrara quando parla di una “trascendenza cattiva”, quella di Allah. Ma è certo che, a fronte della trascendenza del divino rispetto ai nostri concetti, uno ha due possibilità: o dire che la fede è contro la ragione, o dire che non è contro la ragione – ma naturalmente oltre la ragione. Allora, ecco il punto ambiguo: se ci si dimentica di sottolineare abbastanza quell’“oltre”, può succedere che arrivino gli elefanti e schiaccino tutto a terra così: “la mia fede (o meglio, la nostra, perché quanto a me sono un ateo devoto) non è contro la ragione, ma la tua sì. È irrazionale, quindi violenta, arbitraria, insomma barbarica”.

Che peccato, allora, non menzionare proprio in quella lezione magistrale quell’“oltre” che è il più alto, il più sublime apporto del pensiero platonico a tutt’e tre le teologie del libro: all’ebraismo ellenistico, come al cristianesimo dei Padri e dei Dottori, come alla grande teologia di Al Farabi, di Avicenna, dei mistici sufi, e infine dei mistici di tutti i tempi e luoghi. Per non parlare poi di quella disparata compagnia che dal Cardinal Cusano a Gabriel Marcel a Simone Weil, a tutti i perplessi e ad alcuni atei, resta convinta che “quando si parla di Dio, non è quasi mai veramente di Dio che si parla”. In nome del silenzio che giustamente si chiede alle signore in ecclesia, permettetemi di concludere con una citazione dal più bel libro sulla trascendenza – forse – che donna abbia scritto. Potrebbe essere l’inizio di un nuovo atto del grande dialogo di tradizione medievale fra un cristiano, un musulmano e un ebreo – l’atto anti-idolatrico per eccellenza. Ed è il programma stesso di Jeanne Hersch nel suo libro Essere e forma, uscito in italiano quest’anno da Bruno Mondadori nella bella traduzione di un’altra signora, Roberta Guccinelli: “rimuovere dall’essere in sé le prese temerarie della mente; allontanarlo da ogni illusione possessiva, perché lo si tocchi meno e lo si veda meglio. Conoscere Dio come ignoto. Noli me tangere”.

 



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