| Tratto 
                          dal quotidiano Europa. Nella sua magistrale risposta a John Llyod, Giuliano 
                          Amato ha difeso con passione l’idea secondo la 
                          quale essere democratici non significa perdere o rinuciare 
                          a ciò che ci distingue da chi è di destra. 
                          L’obiezione di Llyod, rivolta principalmente ai 
                          socialisti, è di ampio raggio e tutt’altro 
                          che banale: in una società nel quale l’ordine 
                          politico democratico costituzionale gode di un consenso 
                          sostanzialmente unanime ha ancora senso parlare di destra 
                          e sinistra? Se tutti siamo democratici, le differenze 
                          tra le parti in giuoco saranno di policy più 
                          che di politics, questioni di “più 
                          o meno” (giustizia sociale, per esempio) anziché 
                          di “aut/aut”. Vittoria della democrazia 
                          sembra allora voler dire fine della politica. Per chi 
                          si è formato negli anni della Guerra fredda, 
                          quando politica voleva dire manichea contrapposizione 
                          di fedi irriducibili, può essere fatale concludere 
                          che l’era democratica corrisponde in realtà 
                          alla fine della politica o alla burocratizzazione della 
                          politica (differenze di policy, appunto).  Ma è proprio questo presupposto non detto – 
                          questa visione da “amico/nemico” o militare 
                          della politica – che deve essere messa in questione. 
                          Solo così riusciremo ad apprezzare la natura 
                          della politica in una società democratica. Ha 
                          dunque ragione Giancarlo Bosetti a dire che il futuro 
                          del partito democratico non può prescindere dalla 
                          ricerca ideologica “nel senso più leggero 
                          e meno invasivo della parola”. Senza di che, il 
                          partito sarebbe semplicemente una macchina elettorale; 
                          e in questo caso il cartello elettorale che c’è 
                          ora sarebbe più che sufficiente. Quali ideali 
                          a fondamento dell’ideologia dei democratici? La 
                          democrazia costituzionale è la sola forma di 
                          governo e di società nella quale tutti possono 
                          vivere secondo le loro idee ed essere come sono (anche 
                          la bruttezza ha diritto di esistere, pensava Walt Withman) 
                          senza dover subire discriminazioni o essere subordinati 
                          al potere e al volere di altri, per le ragioni più 
                          diverse che vanno dal maggior potere economico all’appartenenza 
                          a un’identità (religiosa, culturale o etnica) 
                          maggioritaria. La democrazia ha un fondamento morale 
                          ben chiaro: quello dell’eguaglianza; e un fine 
                          altrettanto chiaro: la libertà individuale. Come 
                          fu chiaro in Atene venticinque secoli fa: la democrazia 
                          è governo dei molti, ovvero di coloro che sono 
                          cittadini ordinari (non nobili e non necessariamente 
                          ricchi) e non vogliono che la loro condizione sociale 
                          sia una ragione sufficiente per essere impediti nella 
                          loro libertà o essere trattati come inferiori. 
                          Democrazia è il governo che ha la libertà 
                          come mezzo e fine perché ha l’eguaglianza 
                          come fondamento.  Confondere l’eguaglianza con l’egualitarismo 
                          è quanto di più sbagliato e dannoso. Del 
                          resto se rivendichiamo pari opportunità è 
                          perché presumiamo di essere uguali nei diritti 
                          fondamentali e in quelli politici. E’ vero, come 
                          scrive Antonio Polito, che la storia 
                          delle ideologie egualitarie è stata una storia 
                          tragica. Ma lo è stata perché ha dissociato 
                          l’eguaglianza dalla libertà individuale, 
                          mentre l’esperienza democratica, ce lo ha insegnato 
                          Aristotele, pertiene a quella società nella quale 
                          ciascuno può “vivere come meglio crede” 
                          senza subire violenza o senza essere subordinato. La 
                          differenza è possibile (perché non è 
                          una ragione di discriminazione) solo dove c’è 
                          questo tipo di eguaglianza, il solo che rispetti il 
                          “qui ed ora” delle persone concrete.  Nell’Italia del Novecento furono i liberalsocialisti 
                          a interpretare questi valori nella maniera forse più 
                          compiuta e chiara; essi possono per questo essere considerati 
                          i padri fondatori della nostra cultura democratica; 
                          capirono che non si può difendere un buon principio 
                          servendosi di una cattiva teoria. La cattiva teoria 
                          è identificare eguaglianza con egualitarismo. 
                          Il buon principio è l’eguaglianza dei diritti 
                          civili e politici e delle opportunità. Per chi 
                          si identifica con i valori democratici (non solo con 
                          le istituzioni della democrazia costituzionale) l’eguaglianza 
                          non può essere che un buon principio: eguaglianza 
                          nella libertà che ciascuno deve avere di perseguire 
                          i propri piani di vita nel rispetto delle scelte altrui. 
                          Senza questo principio non trovano posto né la 
                          libertà né la tolleranza. Non trovano posto cioè i due punti di riferimento 
                          che soli ci posso aiutare a governare una società 
                          multiculturale come è quella moderna occidentale, 
                          e quella italiana in particolare. Far credere che si 
                          possa “decidere” di essere o non essere 
                          una società multietnica è semplicemente 
                          demagogico, perché noi siamo già, nei 
                          fatti, una società di questo tipo, sia che viviamo 
                          a New York come a Milano. La vera sfida è oggi 
                          governare una società che non può più 
                          distribuire diritti e opportunità soltanto fra 
                          coloro che sono socialmente e culturalmente eguali (cioè 
                          identici), secondo il modello mono-nazionale della socialdemocrazia 
                          che ha costruito il welfare state nel dopoguerra. Dissociare 
                          la cittadinanza dal sostrato nazionalistico per ancorarla 
                          al valore della persona, quale che sia il suo credo 
                          religioso, il suo genere, la sua preferenza di vita. 
                          La condizione multiculturale nella quale ci troviamo, 
                          nostro malgrado e che lo vogliamo o no, ci dà 
                          in effetti una grande opportunità: quella di 
                          riportare l’ideale democratico al suo originario 
                          significato di riconosce il valore di ogni essere umano 
                          per la semplice ragione che esiste. In questa scarna 
                          semplicità è il concentrato di una tradizione 
                          millenaria, classica e moderna, laica e religiosa. Sono 
                          questi, mi sembra, i valori morali e politici sui quali 
                          chi oggi è di sinistra si riconosce e si distingue: 
                          sono gli stessi principi che hanno segnato il cammino 
                          lungo e complesso della democrazia.       
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