Tratto
dal quotidiano Europa.
Dal dibattito su identità e futuro del socialismo
europeo, che La Repubblica ha avuto il merito
di avviare ed Europa quello di proseguire e
approfondire, mi pare siano emersi almeno due punti
fermi. Il primo lo ha posto Giuliano Amato e riguarda
la storia socialista, che è una storia plurale
e con?ittuale: c’è socialismo e socialismo.
Non solo perché c’è un socialismo
democratico e c’è (c’è stato)
un socialismo totalitario.
Ma anche perché nello stesso socialismo democratico
si sono a lungo confrontate e tuttora si confrontano
una versione statalista e giacobina e una liberale.
Il secondo punto fermo è che solo quest’ultima
versione dispone delle categorie concettuali, prima
ancora che politiche, in grado di comprendere, prima
ancora di governare, i cambiamenti in atto. E ciò
si deve al fatto che, come ha scritto Walter Veltroni,
questo socialismo non si pensa come autosufficiente
e compiuto in sé, ma aperto alla contaminazione
con altre culture democratiche, a cominciare dal liberalismo
e dal cristianesimo democratico e sociale.
Favorire questo incontro e questa mescolanza è
dunque azione vitale per il futuro del riformismo, che
sarà plurale o non sarà. In particolare
è vitale l’incontro, nel nostro paese ancora
sentito come problematico, tra socialismo liberale e
ispirazione religiosa. Anche perché, come ha
scritto qui su Europa Antonio Polito, solo valorizzando
la categoria della “fraternité”,
tipica della tradizione cristiana, l’incontro
socialista-liberale di “liberté”
ed “egalité” può farsi sostenibile.
Sono passati sessantuno anni da quando, l’8 settembre
del 1945, il giovane Giuseppe Dossetti scriveva su Reggio
Democratica un articolo su “Fede religiosa e idea
socialista”, che sembra pensato per il nostro
dibattito. Per stabilire se c’è compatibilità
tra religione e socialismo, scrive Dossetti, “bisogna
innanzi tutto precisare che cosa si intende per fede
religiosa e per idea socialista. La religione richiede
per lo meno le seguenti cose: che si creda allo spirito
umano come libero e immortale e che perciò si
creda al valore essenziale della persona, in quanto
libera e destinata all’eterno, come fine al quale
il buon ordinamento dello stato è preordinato
e condizionato, e non come mezzo e strumento che può
essere allo stato subordinato e dallo stato usato a
suo piacimento”.
“Irrimediabilmente incompatibile con la religione
(con qualsiasi religione)” è dunque per
Dossetti “quel socialismo che nelle sue giuste
e vere aspirazioni di giustizia sociale e di rinnovamento
strutturale della società, parte però
dalle false premesse del materialismo storico, cioè
della negazione dello spirito, della sua vocazione eterna
e della sua libertà, e perciò pretende
di attuare quaggiù la società perfetta
con la lotta di classe, con la distruzione violenta,
con l’imposizione dall’esterno, con l’assoggettamento
dell’uomo allo stato, con la dittatura del proletariato,
ecc. Questo come dottrina è il socialismo marxista;
questo, come esperienza storica, è il socialismo
del partito comunista; questo è il socialismo
del Partito socialista italiano, finché Nenni
si dichiarerà, come si dichiara, fermamente e
irriducibilmente legato alle radici del marxismo ortodosso”.
“Non è però – osserva Dossetti
– il socialismo dei laburisti inglesi e degli
altri partiti socialisti dell’Europa occidentale
che comprendono sempre più la parte di menzogna
del marxismo e più ancora la sua antistoricità,
cioè il suo superamento, e che perciò
si orientano verso forme nuove, verso orizzonti più
aperti. Sono gli orizzonti di un socialismo spirituale
e cristiano, quel socialismo che non solo noi vogliamo,
ma che fermamente crediamo sarà la grande conquista
dell’Europa di domani”.
L’analisi del giovane Dossetti è lucida
e attuale. È l’Italia in ritardo sull’Europa,
non viceversa. Per una ragione fondamentale: il peso
schiacciante del comunismo sulla sinistra.
Questo è stato l’ostacolo insormontabile
alla costruzione in Italia di un partito socialista
di stampo europeo, questa è stata la causa principale
di quella frattura ideologica che avrebbe costretto
i cattolici democratici, loro malgrado, a schierarsi
col blocco moderato, ma democratico e anticomunista,
e a esercitare da lì una difficile funzione riformatrice
e una faticosa opera di progressiva inclusione democratica
della sinistra.
Da quasi vent’anni, quella storia italiana è
alle nostre spalle. Non è più un dato
politico del presente, ma il suo abbrivio continua a
condizionarla negativamente, ostacolando il concludersi
della transizione e il superamento definitivo dell’anomalia
italiana in Europa. Perché quella storia, pur
con le sue grandezze, ha privato l’Italia di un
grande partito socialista, democratico e plurale, che
potesse rappresentare come tale il crogiolo del riformismo
al tempo stesso socialista e liberale e cristiano.
Questo compito è ancora davanti a noi. Ed è
un compito che nessuna delle forze di centrosinistra
è oggi in grado di svolgere da sola: neppure
i Ds, che non sono ancora, né da soli potranno
mai diventare, un vero partito socialista europeo. Se
ne è avuta una prova lampante, come ha scritto
su queste colonne Enrico Morando, una prova che è
stata anche una convincente spiegazione dell’impossibilità
di crescere elettoralmente oltre la soglia del 20 per
cento, con il disagio col quale buona parte del gruppo
dirigente del mio partito ha vissuto la candidatura
di Giuliano Amato al Quirinale e perfino con la lettura
che in molti hanno dato dell’elezione di Giorgio
Napolitano.
Il grande partito democratico e riformista italiano,
allo stesso tempo socialista e liberale e cristiano,
nascerà se i cattolici democratici riusciranno
a sentire come loro il sogno frustrato del giovane Dossetti.
Dar vita ad una siffatta forza politica, unitaria e
plurale, del riformismo italiano, significa infatti
superare in modo definitivo il principio dell’autonomia
politica dei cattolici democratici, accettando di mettere
in comune quel grande patrimonio di cultura politica
con gli apporti di altre tradizioni. Significa, in altre
parole, accettare come auspicabile, anche per l’Italia,
un destino europeo. L’autonomia politica dei cattolici
democratici era indistinguibile, nel capolavoro degasperiano,
dall’unità politica dei cattolici. Superata
l’unità politica, dopo la fine del comunismo
che l’aveva resa a lungo necessaria, non può
non determinarsi la scissione tra l’ispirazione
cristiana e l’autonomia politica. La prima vive,
mentre la seconda è destinata a perire insieme
all’unità politica.
La Margherita è già, sotto molteplici
aspetti, la realizzazione di questo processo. Ma anche
la Margherita è un già e un non ancora:
già oltre la cultura dell’autonomia politica
dei cattolici democratici, ma non ancora l’approdo
alla casa comune di tutti i riformisti.
Per questo serve il Partito democratico.
Il dibattito di questa fine estate ha avuto il merito
di dimostrare che il Partito democratico italiano, che
pure per ragioni storiche non potrà e non dovrà
chiamarsi socialista, non potrà collocarsi in
Europa se non nel campo della grande famiglia del socialismo
europeo: nelle forme, nei modi e nei tempi che insieme
saranno decisi. Ma ha anche mostrato come l’ispirazione
cristiana dovrà essere una delle dimensioni fondative
essenziali di questo nuovo partito. Proprio se esso
vorrà partecipare alla ricerca comune di tutte
le forze socialiste europee: una ricerca, per dirla
con Giuliano Amato, che ha come obiettivo quello di
tenere distinto e lontano il fine della “libertà
eguale” dalle accentuazioni individualistiche
che avvelenano le società del nostro tempo.
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