306 - 28.09.06


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Amato e il fecondo ossimoro
del “socialismo liberale”

Elisabetta Ambrosi


La provocazione l’ha lanciata John Lloyd sulla pagine di Repubblica in una giornata di tardo agosto: il socialismo è morto? La visione della sinistra europea può ancora dichiararsi socialista, quando liberalizzazioni, equilibrio dei conti, assimilazione di istanze un tempo ritenute moderate sono ora tra gli obiettivi delle coalizioni progressiste? Dalla sinistra ci si attende, è vero, un “approccio maggiormente sociale” e “un atteggiamento più liberale nei confronti delle questioni sociali e individuali” che può tradursi in un cambiamento in meglio nei diritti e nelle vite delle persone. Ma si tratta tuttavia di “differenze relative, perché dai governi di destra non ci aspettiamo che siano contrari a queste cose, quanto meno non in modo esagerato e drastico”. Così, secondo Lloyd, non solo i partiti di sinistra non credono più a provvedimenti socialisti in campo economico, ma è la stessa parola a non evocare più alcun significato. Scrive il giornalista inglese: “In questa fase della storia europea, il socialismo – se con questa parola si indica un insieme di misure economiche e sociali, più che una memoria storica – non ha più significato: se fa appello ai militanti più anziani, non da più la carica ai giovani; se evoca la visione di un grande passato, ipoteca il futuro”. Questo non vuol dire tuttavia che i partiti di centrosinistra debbano rinunciare ai propri obiettivi, che sono quelli di rendere efficienti sanità, educazione e pensioni, fornire spazio all’espressione artistica e personale, promuovere la partecipazione, esprimere ottimismo sociale, migliorare l’ambiente, assistere le persone più indigenti e vulnerabili, lottare per la democrazia e contro l’apatia e la frammentazione della società. In questo senso, la creazione di un nuovo partito, di una nuova forza, potrebbe “dare nuovo vigore a una politica progressista per questo secolo”.

A Lloyd ha risposto con passione Giuliano Amato, che si è definito “fiero di essere socialista”. Dice il Ministro dell’Interno: “Sento il bisogno di rivendicare quei tratti identitari, che il socialismo lo fanno riconoscere più nella sinistra dei diritti e del pluralismo di oggi, che in quella dello statalismo di ieri”. La difesa dell’“orgoglio socialista” – che costituisce una diretta risposta alla tesi di chi ne decreta la morte – è cioè per Amato legata al fatto che, nei suoi tratti originari, l’aspirazione all’eguaglianza era collegata nel socialismo alla libertà come un corollario naturale. Per questo il “socialismo liberale” è un fecondo ossimoro a cui tornare dopo le tragedie del socialismo storico (della stessa opinione Franco Giordano, che, ritenendo il socialismo di oggi più vivo di quello di ieri, si chiede: “Davvero si può ancora ritenere, come ha fatto a suo tempo lo storico Fukuyama, che dopo l’Ottantanove sia finita nientemeno che la storia? E che la nozione di socialismo coincida integralmente, fino a identificarvisi, con la sua concretizzazione ‘reale’”?).
Tuttavia, scrive il ministro dell’Interno, nella sua battaglia volta a garantire che la libertà “sia per i più” – battaglia che distingue ancora nettamente destra e sinistra – il socialismo liberale deve unirsi ai movimenti, “in genere di ispirazione religiosa”, orientati alla solidarietà e alla responsabilità. “Con loro e non solo con loro deve altresì creare una rete che, in ogni parte del mondo, la libertà eguale la radichi e la faccia maturare, tagliando l’erba sotto i piedi, non solo ai tradizionali fattori di sfruttamento e di emarginazione, ma anche alle ideologie radicali e ai populismi che, in nome della emancipazione, minacciano di produrre nuove e vecchie schiavitù e di destabilizzare il mondo”, scrive Amato.

Nel dibattito tra Lloyd e Amato sono intervenute poi molte altre voci. A Lloyd hanno fatto ad esempio eco i sociologi Alaine Touraine e Anthony Giddens. In particolare, l’ex direttore della London School of Economics conferma il “decesso” dell’ideologia socialista. Se infatti è vero che il capitalismo ha bisogno di regole, dice Giddens, è tuttavia evidente che il tipo di problemi da affrontare è completamente mutato: occorre espandere il mercato, liberalizzare il lavoro, concepire il welfare come un meccanismo di investimento sociale, aiutando le persone ad “aiutarsi”. Addirittura, dice, “la sinistra non può più definirsi nei termini di una concezione classica delle libertà civili”, perché non è certo di destra combattere la criminalità, l’immigrazione, il terrorismo.

Di rilancio politico della tradizione socialista parla invece lo storico Massimo Salvadori, che aggiunge polemicamente: “È solo il socialismo a non essere in buona salute? Dove e chi sono le correnti, le organizzazioni e i partiti in grado di lanciare messaggi limpidi, di proporre piattaforme davvero efficaci in relazione ai problemi sempre più complessi della governabilità dell'Occidente e più in generale del mondo?”. La verità è che, come mette in luce Alfredo Reichlin, di fronte a questi problemi – come la nuova trasformazione del capitalismo che modifica la natura dello Stato e dei mercati, con la formazione di “una nuova classe globale, planetaria, fatta di finanzieri, grandi manager, fruitori di nuove rendite” – occorre una nuova forza riformista storica, che presuppone sì la fine del vecchio impianto su cui era costruito il pensiero del socialismo, ma non implica che la storia del socialismo sia finita.

Una simile opinione è quella del presidente della Camera Fausto Bertinotti, che lega l’attualità del socialismo alla virulenza delle ingiustizie sociali: “Tanto più una posizione si ripropone come socialista tanto più è indotta a denunciare, a differenza di quella liberista, la crescente gravità delle disuguaglianze e la loro insostenibilità per il futuro della democrazia e della civiltà”. Altrettanto netta la scelta di Dominique Strauss Kahn: “Non si può rinunciare alla giustizia sociale, a meno di rinunciare al socialismo, e io non rinuncio!”.

Il dibattito sull’attualità del socialismo si lega a doppio filo a quello sull’opportunità di un Partito democratico. Lo ha dichiarato con chiarezza Piero Fassino, secondo cui la “riflessione aperta da Repubblica sulle prospettive della sinistra e del “socialismo” investe direttamente il nodo della collocazione europea e internazionale del futuro Partito Democratico”. Dunque quest’ultimo potrà forgiarsi dell’appellativo di socialista e situarsi nel Pse? (E se no, che ruolo dovrebbe svolgere in esso la tradizione socialista?). Per Fassino, il rapporto con la famiglia socialista europea è ineludibile, per il semplice fatto che essa è “l’unica famiglia riformista presente in tutti i paesi dell’Unione, con partiti di vasta rappresentatività elettorale e politica e di consolidata esperienza di governo”.

Più cauto invece il sindaco di Roma Walter Veltroni, anch’egli noto “sponsor” del Partito democratico, secondo cui quest’ultimo “non è il venir meno di una visione, di un'idea di società, del perseguimento di grandi obiettivi, ma è la ricerca di strumenti nuovi e concreti per rispondere ai compiti che sono della sinistra”. Tuttavia è evidente, scrive Veltroni, che la tavola dei valori del Partito democratico “non potrà venire solo da quella storia, e nemmeno semplicemente dal suo aggiornamento. Ha ragione Lloyd: la visione da dare a chi ancora chiede valori in cui credere è necessariamente pluralista, perché plurali sono le nostre società, le società delle nuove tecnologie, dell'economia globale, degli individui e non più delle classi, dei “consumatori” e non solo dei ‘produttori’“.

In ogni caso, il dibattito sul socialismo ha vivificato e alimentato quello sul Partito democratico, sul quale il centrosinistra continua a fare passi in avanti, nonostante le divergenze su temi sensibili, come quelli bioetici. E sicuramente i partiti dell’Ulivo farebbero bene a seguire l’appello di Amato, che invita a non fermarsi sullo scoglio della collocazione europea del futuro Partito democratico. La domanda su questo punto infatti, non va fatta prima, ma dopo, perché “il percorso si chiarisce mentre si cammina. Se si vogliono eliminare gli ostacoli prima di essere partiti non si parte mai”.


 

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