“Sono
vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un
breve passo del mio discorso nell’Università
di Regensburg, ritenuto offensivo per la sensibilità
dei credenti musulmani, mentre si trattava di una citazione
di un testo medioevale, che non esprime in nessun modo
il mio pensiero personale”. In un drammatico chiarimento
del suo discorso pronunciato in Germania, Benedetto
XVI compie un passo indietro, inedito per un pontefice,
già anticipato dalla nota del segretario di Stato
Bertone, secondo cui il papa avrebbe utilizzato la contestatissima
citazione dell’imperatore bizantino Manuele II
Paleologo per svolgere “alcune riflessioni sul
tema del rapporto tra religione e violenza in genere
e concludere con un chiaro e radicale rifiuto della
motivazione religiosa della violenza, da qualunque parte
essa provenga”.
Sulla vicenda sono intervenute le firme più importanti
dei quotidiani, a partire dai vaticanisti ed esperti
del mondo arabo. Ma prima di tutto, è meglio
ricordare brevemente i fatti. O meglio le parole, quelle
del discorso pronunciato nell’Aula Magna tedesca.
Interrogandosi sul rapporto tra fede e ragione, Benedetto
XVI cita un dialogo tenutosi tra il 1391 tra il dotto
imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un persiano
colto su cristianesimo e islam. Il papa spiega come
l’imperatore, riflettendo sul tema della jihad
e pur sapendo che nella sura 2,256 si legge: “Nessuna
costrizione nelle cose di fede”, si rivolga al
suo interlocutore dicendo: “Mostrami pure ciò
che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto
delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva
di diffondere per mezzo della spada la fede che egli
predicava”. L’imperatore – dice il
pontefice – si sofferma poi minuziosamente sulle
ragioni per cui la diffusione della fede mediante la
violenza è cosa irragionevole e in contrasto
con la natura di Dio e dell’anima. Da questa analisi
segue nel testo di Ratzinger una lunga riflessione sull’agire
secondo ragione e sul rapporto tra ragione e fede, che
sta al centro della dottrina cristiana, laddove, dice
il papa riportando le parole dell’editore del
dialogo, “per la dottrina musulmana Dio è
assolutamente trascendente”. Il discorso prosegue
ricordando le parole iniziali del Vangelo di Giovanni
(“In principio era il Logos”), che mettono
in luce “la profonda concordanza tra ciò
che è greco nel senso migliore e ciò che
è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”.
Benedetto XVI critica le stesse le tendenze teologiche
cattoliche che nel corso dei secoli hanno teso a mettere
in discussione questa sintesi (il volontarismo di Duns
Scoto, la teologia liberale del XIX e del XX secolo,
infine i tentativi di inculturazione non ellenistica
del Nuovo Testamento) e conclude con un invito a tutti
gli interlocutori della Chiesa, in particolare le altre
religioni, ad aprirsi alla grandezza della ragione.
Questo in sintesi il nucleo teorico che ha provocato
una vera e propria sommossa in numerosi paesi del mondo
arabo e ha fatto sì che molti inviti alla ritrattazione
venissero rivolti a Bendetto XVI, inviti poi accolti
dalla Santa Sede vista la nota di Bertone e l’appello
dell’Angelus. Ma ha davvero ragione il New
York Times a scrivere che i musulmani sono stati
insultati e che l’unica paura del papa è
“la perdita di una identità cattolica monolitica,
proprio l’esatto contrario di una piattaforma
di partenza orientata al dialogo interreligioso e alla
tolleranza”?
Il lusso dell’impoliticità
Dà torto al quotidiano americano, e difficilmente
ci si sarebbe aspettati una posizione diversa, Il
Foglio che, attraverso le parole di Michele Lenoci,
nelle riflessioni di Benedetto XVI intravede la critica
a un cristianesimo debole, relativo, irrazionale, concepito
come un “grande abbrassons-nous”, e mette
in discussione l’idea di una possibile “Onu
delle religioni”.
Parla invece di “cieca ideologia dell'odio imperante
tra i musulmani, che violenta la fede e ottenebra la
mente”, il vice-direttore del Corriere
Magdi Allam, che si chiede perché i musulmani
moderati non si ribellino ai terroristi, invece di intraprendere
una “sorta di ‘guerra santa’ islamica
contro il capo della Chiesa cattolica che legittimamente
esprime le sue valutazioni sull'islam, con rispetto
ma altrettanta chiarezza della diversità che
naturalmente esiste tra le due religioni”. Secondo
Allam, i pretesti perché si scateni la furia
islamista sono disparati, e vanno dalle vignette al
discorso del papa, ma il problema è tutto interno
a un islam estremista e ideologico. Anche per Adriano
Sofri “Benedetto XVI a Regensburg si è
comportato un po’ come il bambino che vede il
re nudo” (cosa che “può succedere
anche ai Papi e agli ottuagenari”). D’altro
canto, si chiede Sofri, “Quante sono le autorità
religiose o civili che abbiano voglia, o coraggio, per
dire che certe convinzioni ‘religiose’,
come quelle che fanno credere agli assassini suicidi
che il paradiso li attenda, sono ridicole assurdità?”.
Tra gli editorialisti, tuttavia, prevalgono le voci
critiche, o parzialmente tali, alla lezione del papa,
considerata un errore teorico e politico. Diverse sono
le accuse rivolte alle analisi del pontefice. La prima
rimprovera a Benedetto XVI di aver misconosciuto o volutamente
ignorato le inevitabili conseguenze politiche della
sue parole: “Se uno oggi cita un imperatore bizantino
che ha detto delle parole molto pesanti nei confronti
dell’Islam si deve aspettare un certo tipo di
reazione. Perché scegliere proprio quella fonte?”:
così l’ex presidente dell’Unione
delle comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto.
Di opinione simile il direttore del Riformista
Paolo Franchi, secondo cui “in nessuna circostanza,
e tanto più se il mondo è sull’orlo
di uno scontro di civiltà, il papa di Roma può
consentirsi il lusso dell’impoliticità.
Nemmeno quando tiene, come ha fatto a Ratisbona, una
lectio magistralis di altissimo livello”.
La grandezza di Wojtyla
Il secondo gruppo di critiche constata con tristezza
la fine dell’ecumenismo reale di papa Wojtyla,
cui vede subentrare una volontà di dialogo con
le altre religioni unicamente teorica, ma incapace di
tradursi in gesti reali e sempre subordinata alle preoccupazioni
legate all’imperante secolarizzazione, all’invasione
islamica in Europa, alla perdita di forza dell’identità
cattolica. In una fine analisi comparsa su Repubblica,
Guido Rampoldi nota come Ratzinger predichi “l’esistenza
d’una ‘civiltà europea’ immutabile
nel suo nucleo, un dna misteriosamente sottratto alla
storia di cui il cristianesimo sarebbe il gene dominante”.
E come, inseguendo questo “essenzialismo”,
“la Chiesa sembri finire dentro il paradosso che
la migliore stampa araba descrive così: da una
parte cerca un dialogo a carte scoperte con i pensatori
islamici, finalmente autentico e senza ipocrisie; dall’altra
avalla un principio d’esclusione, la ‘civiltà
cristiana’, applicabile nel modo più ipocrita
e illiberale, per vessare immigrati musulmani o per
estromettere la Turchia dall’Europa”.
Al contrario, scrive sempre Rampoldi, Wojtyla fu l’unico
leader occidentale a convincere le opinioni pubbliche
musulmane che la cristianità e l’Occidente
potevano essere amichevoli. “Furono i gesti, non
i dibattiti teologici, che resero Giovanni Paolo II
il Papa più stimato (meglio: l’unico stimato)
nelle terre dell’Islam. La sua discutibile opposizione
alla prima guerra del Golfo, la solidarietà offerta
ai musulmani di Bosnia, le autocritiche cui condusse
una Chiesa non sempre convinta, quell’ammettere
colpe storiche con il coraggio e la forza che in quel
momento rendevano il cattolicesimo unico tra le fedi”.
Stessa linea quella del vaticanista Marco Politi, che
parla di un vero e proprio “strappo” dalla
politica di papa Giovanni Paolo II, peraltro tutt’altro
che buonista o inconsapevole degli elementi di violenza
della tradizione islamica. Eppure, dice Politi, l’agire
ecumenico di Wojtyla, niente affatto retorico, era “la
volontà di mettere insieme nel segno della fratellanza
spirituale una piattaforma condivisa da cui partire
per ripudiare la violenza religiosa”, volontà
che lo ha fatto divenire un leader spirituale rispettato.
Ora, invece, “in Vaticano una strategia verso
l’Islam è tutta da ricostruire”,
anche se ciò, ammette Politi, è dovuto
non solo all’incidente di Regensburg: già
la messa inaugurale del pontificato di Benedetto XVI,
l’esilio dell’esperto islamista Michael
Fitzgerald, il mancato interesse verso gli incontri
di Assisi avevano posto le basi della crisi.
Anche Dali Boubakeur, presidente del Consiglio francese
del culto musulmano, si definisce preoccupato perché
vede spegnersi lo di Assisi e teme che la tradizione
di ecumenismo del Vaticano sia “destinata a scomparire
con questo pontificato”.
Una denuncia del tutto originale viene poi dall’editorialista
di Repubblica Renzo Guolo, secondo cui il papa
ha oltrepassato un confine inviolabile: “Parlando
del Profeta Muhammad e di sure coraniche Benedetto XVI
ha, infatti, violato un tabù consolidato: le
religioni possono parlare tra loro di etica, pace, famiglia,
o di quella stessa secolarizzazione contro cui vorrebbero
far fronte comune, ma mai di dogmi o testi sacri altrui.
In quel caso la comunicazione si spezza, perché
scatta un immediato riflesso identitario”.
Oriente-Occidente, vecchi cliché
C’è infine, un ultimo insieme di ragionamenti,
scaturiti dal dibattito intorno al discorso del papa
che dal testo papale estrapolano analisi inedite e interessanti.
Secondo Adriano Sofri, il fatto che la nostra fede sia
e debba essere “ragionevole” fa sì
che “il dialogo fra credenti e non credenti, eredi
comuni del pensiero ebraico, greco, cristiano, illuminista,
sia infinitamente più ricco e favorito che non
la comunanza obiettiva fra i credenti delle grandi fedi
monoteiste”. Non solo. Come nota l’editorialista
della Stampa Enrico Rusconi, proprio il voler
porre l’accento in maniera continuativa sui concetti-guida
di logos, razionalità, ragionevolezza, e sulla
centralità di una “ellenizzazione del cristianesimo”,
fa sì che sull’islam si proietti specularmene
l’ombra dell’irrazionalità. “Questo
è il punto” scrive Rusconi: “La condanna
alla ‘guerra santa’ islamica si colloca
all'interno di un ragionamento basato sul contrasto
tra il Dio-Logos greco-cristiano e il Dio-Arbitrio dell'Islam.
Tra la razionalità occidentale e l'irrazionalismo
orientale. Questa è la vera questione storica,
filosofica e teologica che meriterebbe un dibattito
ampio e forte”.
Ma l’ellenizzazione del cristianesimo ha anche
un’altra conseguenza, paradossale e certamente
non gradita allo stesso Pontefice, che farebbe bene
a tenerla in considerazione. Se infatti, come ha scritto
l’Avvenire, il testo del papa è
“fondato sulla ragione universale e animato da
un vero umanesimo”, allora, come il dibattito
del XX secolo sulla secolarizzazione e sul legame tra
cristianesimo e ateismo ha mostrato, proprio Ratzinger
corre il rischio che il suo cristianesimo sia…solo
un umanismo. Come ha scritto Eugenio Scalfari, Benedetto
XVI mette in ombra la grande tradizione mistica, la
testimonianza martirologica, la dottrina della grazia
e della predestinazione, e con loro tutta la tradizione
che va da Agostino a Kierkegaard passando per Pascal,
per rivendicare un cristianesimo centrato su un Dio
razionale come riflesso dell’uomo. Ma attenzione,
scrive Scalfari, “da qui a concludere che Dio
è una proiezione del pensiero dell’uomo
il confine è sottilissimo”.
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