Tratto
dal quotidiano Europa.
Fa bene Giuliano Amato, sulla Repubblica, a
dirsi ?ero di essere socialista. Fierezza è la
parola giusta.
Si è ?eri di un passato quando si è consapevoli
che da esso possa scaturire un futuro (per questo ci
sono passati di cui non si può essere altrettanto
?eri, perché non hanno generato futuro: il fascismo
si è estinto per combustione in vent’anni,
il comunismo per consunzione in settanta). Il passato
cui Amato appartiene è invece impeccabilmente
socialista. E il futuro che predica è altrettanto
impeccabilmente democratico.
Rispondendo a un articolo di John Lloyd, che con brutalità
anglosassone aveva spiegato perché i partiti
socialisti vincenti non sono già più di
fatto dei partiti socialisti, ma sempre più spesso
liberali, Amato si mostra consapevole di un fatto che
spesso la peculiarità storica italiana ci ha
fatto dimenticare: la sinistra politica non nasce in
Europa con la questione sociale, o col marxismo, ma
nasce prima, con la Rivoluzione francese. Essa rivendica
a un tempo libertà, eguaglianza e fraternità.
Propugna cioè un uomo nuovo che possa assommare
in sé la dimensione civile, quella sociale e
quella morale della sua emancipazione. Da quel ceppo
unico gemmarono in realtà tre sinistre: la sinistra
liberale della libertà, la sinistra socialista
dell’eguaglianza, e la sinistra cristiana della
solidarietà.
Tre vie diverse e complementari per la liberazione dell’uomo
dall’uomo che hanno concorso a pari titolo a fare
dell’Occidente, in due secoli, il luogo dove più
che in ogni altro angolo del mondo l’essere umano
è arrivato a godere insieme di alti livelli di
libertà, eguaglianza e solidarietà. In
questo senso, un liberale o un cristiano possono oggi
dirsi, a pari titolo di un socialista, ?eri del proprio
passato.
Si può allora concludere, come fa Amato, che
il superamento e l’incontro di queste tre grandi
tradizioni progressiste è oggi reso necessario
e quasi naturale proprio dal loro successo, dal raggiungimento
di fatto di quei tre grandi obiettivi (Amato parla di
libertà ed eguaglianza, io mi sono permesso di
aggiungere la fraternità/solidarietà)?
Sì e no. Sì, perché effettivamente
oggi l’Europa vive i problemi di una società
capitalistica matura, che ha enormemente ristretto l’area
della povertà, enormemente allargato l’area
dello stato sociale, e universalmente esteso l’area
della libertà politica e civile. Ma anche no,
se non si vuole sottovalutare lo stravolgimento della
gerarchia di valori tra quei tre grandi vessilli ottocenteschi
che il XX secolo ha provocato.
Voglio dire che il mito dell’uguaglianza ha perso
terreno. Innanzitutto per la deformazione totalitaria
cui l’ha piegato l’utopia comunista, alla
quale Amato nel suo testo non fa sconti, nemmeno ricorrendo
al facile giochetto di separare socialismo e comunismo
come se fossero due cose incompatibili, mentre nel Novecento
si sono incrociate e contaminate più di quanto
oggi molti socialisti tardivi siano pronti ad ammettere.
Entrambi, discendendo da Rousseau, hanno vissuto a lungo
nella convinzione che “gli esseri umani nascono
non solo perfettibili ma identici, per cui qualunque
con?itto grave va addossato alla gravità delle
condizioni ambientali”, cioè alla società.
Ecco la radice dell’etimologia socialismo, ed
ecco un potenziale humus perfetto per la degenerazione
delle minoranze comuniste che, modi?cando la società,
erano convinte di poter modi?care l’uomo. In secondo
luogo perché i fautori dell’eguaglianza
ad oltranza hanno per forza di cose messo l’accento
sull’azione collettiva (rivoluzione, sciopero,
partito) come strumento privilegiato di liberazione
dell’uomo, opprimendone dunque la libertà
e la responsabilità individuale ?no a limiti
insopportabili, e infatti non sopportati.
E in terzo luogo, quello che interessa di più
la nostra attualità politica, perché almeno
a partire alla metà degli ’70 del Novecento
lo sviluppo armonico e contestuale dei tre elementi
– libertà, eguaglianza e solidarietà
– si è inceppato alle prese con il modi?carsi
delle ragioni di scambio mondiali, determinando quella
che viene de?nita la ?ne dell’età dell’oro
socialdemocratica, quel lungo periodo di benessere e
di crescita senza limiti che sembrava caratterizzare
la storia dell’Europa dalla ?ne del secondo con?itto
mondiale.
Forte crescita, alta spesa sociale e crescente coesione
sociale smettono di essere tutte e tre contemporaneamente
disponibili quando schizza alle stelle il prezzo del
petrolio e delle materie prime in seguito al con?itto
arabo-israeliano del ’73 e quando i vagiti della
globalizzazione generano nuovi attori economici sulla
scena del mondo, che fanno concorrenza alla vecchia
Europa. Da allora, fateci caso, non c’è
più società europea che riesce ad avere
tutte e tre le cose insieme. O si privilegia la crescita,
come in Gran Bretagna, o la coesione sociale come in
Scandinavia, o la virtù di bilancio, come in
Germania. Il mondo nuovo obbliga a scegliere tra libertà,
eguaglianza e solidarietà.
Non è un caso se è proprio alla ?ne degli
anni ’70 che nasce la nuova destra neo-liberista,
e sbaraglia un po’ dovunque la vecchia sinistra
di impianto socialista classico. E non è un caso
se è proprio nel lungo esilio all’opposizione
che la sinistra, britannica e tedesca in particolare,
matura con fatica una profonda revisione teorica e di
prassi, proponendosi di perseguire l’eguaglianza
in modi nuovi, e più consoni al nuovo mondo.
Per esempio attraverso la libertà, riconsegnando
cioè alle persone le condizioni per dispiegare
appieno il proprio talento e il proprio merito, indipendentemente
dalle condizioni sociali di partenza. Oggi questa sinistra
non parla più di eguaglianza ma di pari opportunità,
ed è perfettamente consapevole che un elevato
grado di istruzione è uno strumento di equità
sociale in?nitamente superiore alla tassazione progressiva.
Oggi questa sinistra non cerca più di rendere
gli uomini uguali tassando e spendendo, perché
ha capito che il grado di eguaglianza di una società
non si calcola in quantità di spesa pubblica
ma in quantità di occupazione. Oggi questa sinistra
cerca nella fraternità/solidarietà la
risposta ai nuovi bisogni collettivi che un mastodontico
e burocratico stato sociale non riesce più ad
assicurare, ricorrendo piuttosto al volontariato, al
non pro?t, alla sussidiarietà.
In ?n dei conti, è questa rivoluzione culturale
che aspetta anche il centrosinistra italiano, o almeno
quella parte di esso che si dice riformista e vuol farsi
Partito democratico. Altrove la rivoluzione è
avvenuta in partiti di massa già disponibili,
che hanno cambiato la sostanza senza cambiare il nome
(anche se il nome socialista non è certo quello
con cui si autode?nirebbero i laburisti inglesi o i
socialdemocratici tedeschi, e in questo ha perfettamente
ragione Lloyd). Da noi, dove un tale partito di massa
riformista non è disponibile per l’ipoteca
storica che sulla sinistra italiana ha per decenni esercitato
il comunismo, questa nuova fusione tra libertà,
eguaglianza e solidarietà ha bisogno di un nuovo
contenitore. Non solo con un nome nuovo, Partito Democratico,
ma con una nuova cultura. Esattamente la conclusione
di Giuliano Amato: il quale, dettosi ?ero di venire
dalla storia socialista, si dice pronto a “confondersi”
con i portatori degli altri elementi della fusione.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|