Mentre in
Libano ancora infuriavano i combattimenti, molti analisti
sostenevano che le armi moderne di Hezbollah e il suo
uso di spazi civili distinguesse questa guerra da qualsiasi
altra.
“Mai prima nella storia un’organizzazione
terroristica ha disposto di un equipaggiamento militare
tanto avanzato, dai razzi di medio raggio ai missili
anticarro a guida laser fino a mine esplosive ben progettate
che riescono a danneggiare un autocarro all’avanguardia”
ha affermato un generale israeliano citato dal New
York Times. E ancora: “Hezbollah non ha blindati
o depositi facilmente visibili o linee logistiche -
continuava il generale - e i suoi membri vivono tra
la popolazione civile del Libano meridionale e immagazzinano
le proprie armi all’interno di edifici civili”.
Articolo dopo articolo, si parlava delle abitazioni
utilizzate come ripostigli per i missili, di come questi
venissero lanciati dai villaggi e del modo in cui i
guerriglieri hezbollah, dopo averli esplosi, si rimescolassero
tra la popolazione civile.
Quello che mi colpiva di queste descrizioni era il
fatto che non ci fosse nessuna novità perché,
in effetti, la maggior parte delle lotte di guerriglia
è stata condotta in maniera simile. Persino i
gruppi paramilitari ebraici, precedenti alla costituzione
dello stato israeliano, che tentarono di spingere gli
inglesi fuori dalla Palestina operarono in modo analogo.
In altre parole, quello che i giornali hanno descritto
come un fenomeno nuovo è, in realtà, vecchio,
e ciò che c’era di veramente nuovo veniva
completamente trascurato.
La guerra del Libano è stata, in effetti, una
guerra nella guerra, e l’altra guerra, quella
all’interno della quale essa si è svolta
e che continua a seminare distruzione, è unica.
Alti strateghi militari al Pentagono hanno immediatamente
accettato questo conflitto all’interno di una
tesi di guerra, definendolo “come un esempio localizzato
della più ampia campagna americana contro il
terrorismo globale” e confessando, allo stesso
tempo, a un giornalista del New York Times
che “qualsiasi esitazione da parte di Israele
potrebbe danneggiare gli sforzi americani in Iraq e
Afghanistan”. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere,
che cosa c’è di così unico riguardo
la guerra al terrorismo?
Nel maggio 2004, Paul Hoffman, presidente del Comitato
esecutivo internazionale di Amnesty International, preparò
una relazione per il Forum Mondiale per i diritti Umani
dell’Unesco, in cui spiegava in maniera eloquente
le caratteristiche distintive della guerra. Poco prima
della conferenza, Hoffman venne informato che non avrebbe
tenuto il discorso come programmato in origine e che
le sue osservazioni non sarebbero state distribuite
o pubblicate perché sgradite alla delegazione
degli Stati Uniti.
Non è chiaro quale parte della relazione accademica
di Hoffman l’amministrazione Bush ritenesse tanto
minacciosa, ma spiccava un passo piuttosto raccapricciante
in cui Hoffman sottolineava che “la guerra al
terrorismo esiste in un universo legale parallelo nel
quale la conformità alle norme legali è
una questione di grazia esecutiva… il concetto
di ‘terrorismo’ che viene portato avanti
è quello di qualsiasi atto percepito come una
minaccia da coloro che conducono la guerra contro il
terrorismo stesso. Il campo di battaglia è l’intero
pianeta, indipendentemente da confini e sovranità.
La guerra al terrorismo potrebbe continuare in eterno
e non è chiaro chi sia autorizzato a dichiararne
la fine. Le tutele dei diritti umani – conclude
– semplicemente non esistono quando esse confliggono
con gli imperativi della guerra al terrorismo.”
Sebbene Hoffman proseguisse discutendo delle “zone
affrancate dai diritti umani” che questa guerra
produce, luoghi come Abu Ghraib, tali caratteristiche
non sono affatto uniche. Piuttosto, come Hoffman stesso
suggerisce, la guerra al terrorismo è unica dal
punto di vista storico perché i suoi confini
politici, temporali e geografici sono liberi e sconosciuti
ed essa viene combattuta contro un nemico la cui identità
è mal definita e quindi fluida. Non si tratta
di un problema minore; la questione andrebbe tenuta
a mente quando si analizzano le diverse guerre che vengono
condotte in questi giorni, non ultima quella che ha
appena avuto luogo in Libano.
Mentre Israele è certamente responsabile dei
crimini perpetrati in Libano, il movimento contrario
alla guerra dovrebbe effettivamente dirigere la maggior
parte delle proprie energie alla sostituzione della
leadership nei due paesi che hanno dato il via alla
guerra globale al terrorismo – gli Stati Uniti
e la Gran Bretagna – e concentrarsi di meno sui
paesi che compiono le guerre per procura. Dopotutto,
non è stato a causa della propaganda di guerra
israeliana, delle provocazioni violente di Hezbollah
o persino degli orribili attacchi di AlQuaeda che le
specie umane che condividono questo pianeta hanno oltrepassato
un limite dove aldilà della guerra non c’è
alcun orizzonte. Sono stati il presidente Bush e il
suo amico al n.10 di Downing Street ad aver prodotto
questa realtà apocalittica ed è contro
di loro che va incanalata la nostra rabbia. Dobbiamo
sfidarli e deriderli attraverso le nostre lettere, articoli,
disegni e pitture. Dobbiamo dare voce al nostro dissenso
in manifestazioni di protesta e scioperi. Dobbiamo fare
tutto questo e di più fino a che loro, come anche
i loro amici e sostenitori, siano costretti a lasciare
l’incarico.
Traduzione di Martina Toti
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|