306 - 28.09.06


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9/11, l’anniversario
visto dalla stampa araba

Daniele Cristallini



Due eventi principali hanno accompagnato il 5° anniversario degli attentati di New York e Washington. Il primo è il videomessaggio inviato al mondo dal numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri. L’altro è il discorso del Presidente Bush alla sua nazione trasmesso da quasi tutte le emittenti televisive americane. Come era prevedibile, la stampa e i media in lingua araba non hanno disertato l’appuntamento.

Quanto al primo dei due eventi, la stampa araba non sembra essere rimasta particolarmente scossa dalle affermazioni del vice di Bin Laden e, per lo più, si è limitata a riportare fedelmente il contenuto del messaggio. Tuttavia sulle pagine dei grandi quotidiani diffusi in tutto il mondo arabo, come al-Sharq al-Awsat (Il Medio Oriente) ed al-Hayat (La Vita), le parole di al-Zawahiri hanno fornito lo spunto per il riaccendersi del dibattito sul “fenomeno al-Qaeda”. All’interno di questo dibattito una cospicua parte di intellettuali considera la crescita dell’organizzazione terroristica come il prodotto dell’atmosfera di tensione e instabilità provocata dalla politica statunitense nella Regione e dalle preoccupazioni per la sorte del popolo palestinese. Altri invece considerano l’emergere di al-Qaeda e dei gruppi ad essa affiliati come un effetto dell’incapacità dei governi arabi a raccogliere la sfida delle riforme democratiche. “Entrambe queste visioni – commenta dalle pagine di al-Sharq al-Awsat Mshari al-Zaydi, esperto di fondamentalismo islamico – sono incapaci di spiegare al-Qaeda ‘dal di dentro’”. In particolare non danno ragione del fatto che “tanti giovani possano scegliere di gettare le loro vite e lasciare tutto per la causa del fondamentalismo”. Bisogna perciò riconoscere, secondo al-Zaydi, che è la forza della da’wah (termine arabo traducibile come “propaganda islamica” ma anche come “invito alla conversione”) di al-Zawahiri, con tutto il suo contenuto radicale, a conquistare adepti all’organizzazione. Essa fa leva sul senso di frustrazione che affiora sempre nei contesti dove si verifica una perdita dei valori tradizionali.

“La responsabilità principale, tuttavia – spiega Magdi Khalil in una rubrica sullo stesso quotidiano – ricade sul mondo islamico che non ha saputo gestire il confronto con il terrorismo ed ha perso la battaglia per le riforme, la democrazia, le libertà fondamentali, i diritti umani e quella per l’apertura e la cooperazione positiva con il resto del mondo”. Si comprende allora perché, nell’indicare i suoi prossimi obiettivi politici e strategici, al-Zawahiri ricorra ancora al linguaggio tradizionale della retorica islamista che legge il mondo attraverso il filtro dello scontro tra le religioni. Da una parte i combattenti islamici che sognano “il ritorno del Califfato”, come dichiarava lo stesso al-Zawahiri in una lettera al suo “collega” iracheno al-Zarqawi datata giugno 2005; dall’altra i “nemici Sionisti e Crociati” (leggi Israele e l’Occidente cristiano), ladri del “petrolio musulmano”.

Se il messaggio di al-Zawahiri ha lasciato piuttosto indifferente la stampa araba nel suo complesso, ben più accese sono state le polemiche montate intorno alle affermazioni di Gorge W. Bush nel suo discorso televisivo per il 5° anniversario degli attentati alle Twin Towers. In particolare l’affermazione di Bush secondo cui, dopo l’11 Settembre, gli Usa sarebbero un Paese più sicuro, è stata bersaglio degli strali di numerosi editorialisti dei principali quotidiani arabi. Ciò che accomuna la maggior parte di essi è la sensazione che le parole di Bush servano più a tranquillizzare se stesso e a convincere gli americani della necessità di mantenere l’esercito impegnato sui diversi fronti della “guerra al terrorismo”.
“In realtà – commenta sul sito di al-Jazeera As’ad Abu Khalil, professore di Scienze Politiche nell’Università della California – il mondo è oggi meno libero e meno sicuro e ciò che si prospetta all’orizzonte è ancora più preoccupante. Quando Bush uscirà dalla Casa Bianca il popolo americano si renderà conto dell’entità del danno che il Presidente ha arrecato al suo Paese e alla causa della pace nel mondo”.
“Di fatto – aggiunge Abu Khalil – l’amministrazione Bush non è diversa da Bin Laden quanto all’uso delle bombe e della violenza. Inoltre concorda con Bin Laden riguardo alla concezione del mondo diviso in due blocchi contrapposti”.

Sulle pagine del quotidiano al-Hayat, uno dei suoi più noti editorialisti, Gihad al-Khazin, accusa l’amministrazione Bush di “atteggiamento irrazionale” e di “razzismo” poiché individuerebbe nelle caratteristiche della razza araba un’innata inclinazione verso il terrorismo. Solo così è possibile spiegare, secondo al-Khazin, l’insistenza dell’amministrazione americana per l’avvio della guerra in Iraq nonostante fosse a conoscenza dei rapporti della Commissione per l’Intelligence del Senato, che formulavano seri dubbi sulla presenza di armi di distruzione di massa in quel Paese. Questi rapporti, pubblicati solo di recente a causa del segreto di Stato da cui erano coperti, rivelano anche come, al momento dell’aggressione americana all’Iraq, non esistessero prove reali del coinvolgimento di Saddam Hussein con le attività dei gruppi terroristici. Al contrario, i rapporti parlano di una precisa volontà del ra’is di catturarne i capi, che considerava elementi pericolosi per il regime. La pubblicazione di questi fascicoli ha scaldato gli animi dei giornalisti che, persino dalle pagine dei quotidiani di orientamento liberale e filoccidentale, si sono scagliati contro il Presidente americano e il suo staff.

Capovolgendo la retorica statunitense, al-Khazin parla di una “organizzazione del male” israeliana che, appoggiata dagli “estremisti americani”, avrebbe messo alla Casa Bianca un “Presidente senza scrupoli” che governasse in sua vece. Questa “banda criminale” tenta di realizzare il suo “utopistico progetto imperialista con il sangue degli arabi e dei musulmani”. A queste espressioni si accompagnano quelle altrettanto dure di ‘Omar Hilmi al-Ghawl che afferma: “i primi terroristi, nonché architetti e organizzatori del terrorismo dentro e fuori il loro Paese, sono le diverse amministrazioni americane susseguitesi negli ultimi anni, che hanno portato avanti una strategia di aggressione contro i paesi più poveri e deboli, iniziando da quelli arabi e specialmente da quelli che posseggono il petrolio”.

Secondo molti l’anniversario dell’11 Settembre dovrebbe rappresentare per gli Usa un “tempo di bilanci” e un’occasione per fare “un esame di coscienza”. Infatti “l’America avrà forse reso più sicuri i propri confini – scrive ‘Abd al-Bari ‘Atwan, direttore di al-Quds al-‘arabi (Gerusalemme araba), il principale quotidiano palestinese – ma ha mandato i propri figli a morire in Afghanistan e in Iraq in uno stillicidio di vittime che non accenna a fermarsi”. Inoltre gli Usa non sono riusciti a trasformare né l’Iraq né l’Afghanistan in Paesi con dei governi stabili mentre, al contrario, hanno reso tutta la Regione assai più instabile di quanto non fosse prima dell’11 Settembre, generando in tutto il mondo un crescente odio antiamericano.

 

 

 

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