Dove vanno
i musulmani d’Europa? Quali sono i loro problemi
quotidiani e come fanno a conservare l’identità
religiosa lontani dalle terre d’origine? Lo racconta
la scrittrice italo-iraniana Farian Sabahi nel suo ultimo
libro, Islam: l'identità inquieta dell'Europa.
Viaggio tra i musulmani d'Occidente. Da Parigi
a Stoccolma, da Madrid ad Amburgo, da Anversa a Ginevra
fino a Londra, i reportage della giornalista del “Sole
24 Ore” descrivono un mondo in completa trasformazione,
un’Europa inquieta e molteplice, in cui ogni paese
sembra cercare una sua strada nel difficile incontro
tra Islam e Occidente.
Il libro ha carattere giornalistico, e ognuna delle
sette corrispondenze è accompagnata da schede
molto utili, che segnalano ogni volta una cronologia,
una bibliografia, una sitografia e una filmografia dedicati
al rapporto tra quel paese e l’Islam. Il punto
di partenza di questo viaggio è che l’integrazione
degli oltre quindici milioni di musulmani che vivono
nel nostro continente è una delle sfide più
delicate che attendono l’Europa del futuro. Il
quadro dipinto dall’autrice è molto complesso,
e confuta alcuni pregiudizi diffusi soprattutto dai
media. I musulmani d’Europa, per esempio, non
sono tutti “casa e moschea”: solo il 5%
prega in moschea almeno una volta alla settimana, e
solo una netta minoranza, spiega Sabahi, si riconosce
in una versione politicizzata, radicale o violenta dell’Islam.
Molte delle questioni più complicate dell’Islam
occidentale, poi, nascono da tradizioni che gli immigrati
più conservatori portano con sé, ma che
difficilmente trovano un fondamento nel Corano. Così
la circoncisione maschile non è prescritta nel
Libro del Profeta, ma è praticata da tutti, e
il famigerato velo non venne indossato dalle musulmane
nei primi 15 anni successivi alla Rivelazione.
Il panorama dell’Islam europeo è vario
anche nei protagonisti, molti dei quali Sabahi ha intervistato
per questo libro. Ci sono personaggi apertissimi alla
modernità, come Emine Demirbueken-Wegner, di
origine turca, che fa parte dell’esecutivo nazionale
della Cdu tedesca. Come Dalil Boubakeur, dal 1992 rettore
della Grande Moschea di Parigi e presidente del Consiglio
francese (“L’Islam deve evolversi e rispettare
i diritti della persona, rifiutando precetti coranici
come la poligamia, la lapidazione delle adultere, il
matrimonio delle bambine prima della pubertà
e l’oppressione delle donne in genere. Essere
musulmani significa vivere il proprio tempo, e un crimine,
anche se scritto a lettere d’oro nel Corano, rimane
un crimine”), e come il tedesco-siriano Bassam
Tibi. Ci sono anche intransigenti molto discussi, come
il ginevrino Hani Ramadan (fratello del più noto
Tariq), che dice che per la sua religione non può
stringere la mano alle donne e che nel 2004 ha dichiarato
“la legittimità di una certa forma di violenza
esercitata dai mariti sulle mogli”. E ci sono
infine delle figure di mezzo, come Tariq Ramadan, che
magari possono far storcere il naso a molti occidentali,
ma che, per la loro popolarità, potrebbero risultare
ancor più utili al dialogo tra le civiltà.
Anche il rapporto con le istituzioni occidentali e
lo stato del riconoscimento pubblico variano da paese
a paese. In Francia Stato e Religione sono separati,
ma il candidato all’Eliseo Nicolas Sarkozy propone
il finanziamento dei luoghi di culto e la formazione
di imam “francesi”. In Gran Bretagna tutte
le scuole devono offrire l’ora di religione, e
alcune hanno optato per l’insegnamento dell’Islam.
Gli istituti religiosi sono finanziati dallo Stato,
ma sono solo 5 le scuole musulmane (contro le quasi
7mila cristiane e ebraiche) e il premier Tony Blair
si è detto favorevole ad un loro aumento. In
Svezia il Corano in svedese è diffusissimo tra
gli immigrati, tanto che lo stesso imam Abd al-Haqq
Kielan, presidente dell’Associazione islamica
svedese, è un convertito che non conosce l’arabo
e predica solo nella lingua scandinava. La Svezia è
uno dei paesi più liberali in materia: dopo soli
5 anni è possibile la naturalizzazione, dal 1974
si finanziano le moschee con soldi pubblici, e diversi
sono i musulmani presenti in politica (specialmente
nei Verdi). C’è il finanziamento pubblico
anche nelle Fiandre, dove però l’estrema
destra filonazista del Vlaams Blok è islamofoba
e si è alleata per l’occasione con la comunità
ebraica. In Germania è forte il problema degli
imam “importati”, ma la comunità
turca non pone troppi problemi “politici”,
anche se è molto diffuso il delitto d’onore.
In Svizzera l’Islam è diventata la seconda
religione ufficiale dello Stato, ma ottenere la cittadinanza
è molto difficile. In Spagna gli attentati di
Atocha non hanno peggiorato la convivenza, anche grazie
alle aperture del laico Zapatero e a una buona tradizione:
risale infatti al 1992 l’avanguardistica Intesa
tra il Re e le comunità musulmane, con cui si
è dato loro pieno riconoscimento giuridico (sin
da allora i musulmani possono costruire i loro cimiteri,
hanno diritto ai propri giorni di festa e trovano carne
halal nelle mense).
La questione più urgente da risolvere, per i
musulmani europei, è quella della doppia identità.
Che per alcuni, come diceva il sociologo algerino Abdelmalek
Sayad, è una “doppia assenza”. E
per altri, come Edward Said (e Sabahi approva), indica
invece “un ammasso di correnti in flusso continuo,
che non hanno bisogno di essere né riconciliate
né armonizzate”, perché non esistono
degli Io solidi e unici. Sabahi analizza senza pregiudizi
il mondo musulmano europeo, nei confronti del quale
è spesso critica. In una fase in cui “la
globalizzazione ha innescato la necessità di
rivendicare la propria identità”, Sabahi
spiega ad esempio che spesso “l’Islam diventa
un pretesto per dare legittimità al controllo
dei membri maschili della famiglia, affermando i tradizionali
ruoli di genere e l’importanza dell’onore
clanico di cui le donne sono custodi”. “Se
l’integrazione dei musulmani non è facile
– ammette l’autrice, che parla un perfetto
italiano ed è perfettamente integrata –
non è solo a causa delle politiche locali, ma
anche della scarsa volontà degli immigrati”.
Il minimo che si possa dire è che non esiste
un Islam europeo musulmano. Ci sono gli sciiti di Amburgo.
I pakistani di Londra. Ci sono tanti Islam quanti sono
i paesi di provenienza e le generazioni di immigrazione.
Ci sono vecchi gruppi che restano ostinatamente legati
alle tradizioni che hanno portato con sé tanti
anni fa (un po’ come gli italiani di Little Italy).
Ci sono giovani indifferenti alla religione e altri
che cercano risposte negli imam via internet. “Da
questa inchiesta emerge come l’Europa offra ai
musulmani l’opportunità di vivere la propria
fede in una società democratica e laica”
conclude Farina Sabahi, che propone di incentivare l’imprenditoria
femminile musulmana, elogia l’Europa meticcia,
e parla chiaro ai musulmani del Vecchio Continente:
“La libertà di coscienza e la laicità
dell’Europa sono conquiste irrinunciabili. Nel
momento in cui l’Europa riconosce l’esistenza
di una società multiculturale, intesa come una
società in cui gli immigrati hanno il diritto
di mantenere la loro identità culturale e religiosa,
le autorità devono fare in modo che i valori
di base della democrazia non siano violati. Di conseguenza,
gli immigrati devono rispettare questi valori, incluso
il diritto di essere blasfemi, come ha fatto il regista
olandese Theo Van Gogh”.
Farian Sabati
Islam: l'identità inquieta dell'Europa.
Viaggio tra i musulmani d'Occidente,
328 pagine, € 17,50, il Saggiatore 2006.
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