305 - 14.09.06


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Islam-Europa, cronache
di un’identità inquieta

Daniele Castellani Perelli



Dove vanno i musulmani d’Europa? Quali sono i loro problemi quotidiani e come fanno a conservare l’identità religiosa lontani dalle terre d’origine? Lo racconta la scrittrice italo-iraniana Farian Sabahi nel suo ultimo libro, Islam: l'identità inquieta dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente. Da Parigi a Stoccolma, da Madrid ad Amburgo, da Anversa a Ginevra fino a Londra, i reportage della giornalista del “Sole 24 Ore” descrivono un mondo in completa trasformazione, un’Europa inquieta e molteplice, in cui ogni paese sembra cercare una sua strada nel difficile incontro tra Islam e Occidente.

Il libro ha carattere giornalistico, e ognuna delle sette corrispondenze è accompagnata da schede molto utili, che segnalano ogni volta una cronologia, una bibliografia, una sitografia e una filmografia dedicati al rapporto tra quel paese e l’Islam. Il punto di partenza di questo viaggio è che l’integrazione degli oltre quindici milioni di musulmani che vivono nel nostro continente è una delle sfide più delicate che attendono l’Europa del futuro. Il quadro dipinto dall’autrice è molto complesso, e confuta alcuni pregiudizi diffusi soprattutto dai media. I musulmani d’Europa, per esempio, non sono tutti “casa e moschea”: solo il 5% prega in moschea almeno una volta alla settimana, e solo una netta minoranza, spiega Sabahi, si riconosce in una versione politicizzata, radicale o violenta dell’Islam. Molte delle questioni più complicate dell’Islam occidentale, poi, nascono da tradizioni che gli immigrati più conservatori portano con sé, ma che difficilmente trovano un fondamento nel Corano. Così la circoncisione maschile non è prescritta nel Libro del Profeta, ma è praticata da tutti, e il famigerato velo non venne indossato dalle musulmane nei primi 15 anni successivi alla Rivelazione.

Il panorama dell’Islam europeo è vario anche nei protagonisti, molti dei quali Sabahi ha intervistato per questo libro. Ci sono personaggi apertissimi alla modernità, come Emine Demirbueken-Wegner, di origine turca, che fa parte dell’esecutivo nazionale della Cdu tedesca. Come Dalil Boubakeur, dal 1992 rettore della Grande Moschea di Parigi e presidente del Consiglio francese (“L’Islam deve evolversi e rispettare i diritti della persona, rifiutando precetti coranici come la poligamia, la lapidazione delle adultere, il matrimonio delle bambine prima della pubertà e l’oppressione delle donne in genere. Essere musulmani significa vivere il proprio tempo, e un crimine, anche se scritto a lettere d’oro nel Corano, rimane un crimine”), e come il tedesco-siriano Bassam Tibi. Ci sono anche intransigenti molto discussi, come il ginevrino Hani Ramadan (fratello del più noto Tariq), che dice che per la sua religione non può stringere la mano alle donne e che nel 2004 ha dichiarato “la legittimità di una certa forma di violenza esercitata dai mariti sulle mogli”. E ci sono infine delle figure di mezzo, come Tariq Ramadan, che magari possono far storcere il naso a molti occidentali, ma che, per la loro popolarità, potrebbero risultare ancor più utili al dialogo tra le civiltà.

Anche il rapporto con le istituzioni occidentali e lo stato del riconoscimento pubblico variano da paese a paese. In Francia Stato e Religione sono separati, ma il candidato all’Eliseo Nicolas Sarkozy propone il finanziamento dei luoghi di culto e la formazione di imam “francesi”. In Gran Bretagna tutte le scuole devono offrire l’ora di religione, e alcune hanno optato per l’insegnamento dell’Islam. Gli istituti religiosi sono finanziati dallo Stato, ma sono solo 5 le scuole musulmane (contro le quasi 7mila cristiane e ebraiche) e il premier Tony Blair si è detto favorevole ad un loro aumento. In Svezia il Corano in svedese è diffusissimo tra gli immigrati, tanto che lo stesso imam Abd al-Haqq Kielan, presidente dell’Associazione islamica svedese, è un convertito che non conosce l’arabo e predica solo nella lingua scandinava. La Svezia è uno dei paesi più liberali in materia: dopo soli 5 anni è possibile la naturalizzazione, dal 1974 si finanziano le moschee con soldi pubblici, e diversi sono i musulmani presenti in politica (specialmente nei Verdi). C’è il finanziamento pubblico anche nelle Fiandre, dove però l’estrema destra filonazista del Vlaams Blok è islamofoba e si è alleata per l’occasione con la comunità ebraica. In Germania è forte il problema degli imam “importati”, ma la comunità turca non pone troppi problemi “politici”, anche se è molto diffuso il delitto d’onore. In Svizzera l’Islam è diventata la seconda religione ufficiale dello Stato, ma ottenere la cittadinanza è molto difficile. In Spagna gli attentati di Atocha non hanno peggiorato la convivenza, anche grazie alle aperture del laico Zapatero e a una buona tradizione: risale infatti al 1992 l’avanguardistica Intesa tra il Re e le comunità musulmane, con cui si è dato loro pieno riconoscimento giuridico (sin da allora i musulmani possono costruire i loro cimiteri, hanno diritto ai propri giorni di festa e trovano carne halal nelle mense).

La questione più urgente da risolvere, per i musulmani europei, è quella della doppia identità. Che per alcuni, come diceva il sociologo algerino Abdelmalek Sayad, è una “doppia assenza”. E per altri, come Edward Said (e Sabahi approva), indica invece “un ammasso di correnti in flusso continuo, che non hanno bisogno di essere né riconciliate né armonizzate”, perché non esistono degli Io solidi e unici. Sabahi analizza senza pregiudizi il mondo musulmano europeo, nei confronti del quale è spesso critica. In una fase in cui “la globalizzazione ha innescato la necessità di rivendicare la propria identità”, Sabahi spiega ad esempio che spesso “l’Islam diventa un pretesto per dare legittimità al controllo dei membri maschili della famiglia, affermando i tradizionali ruoli di genere e l’importanza dell’onore clanico di cui le donne sono custodi”. “Se l’integrazione dei musulmani non è facile – ammette l’autrice, che parla un perfetto italiano ed è perfettamente integrata – non è solo a causa delle politiche locali, ma anche della scarsa volontà degli immigrati”.

Il minimo che si possa dire è che non esiste un Islam europeo musulmano. Ci sono gli sciiti di Amburgo. I pakistani di Londra. Ci sono tanti Islam quanti sono i paesi di provenienza e le generazioni di immigrazione. Ci sono vecchi gruppi che restano ostinatamente legati alle tradizioni che hanno portato con sé tanti anni fa (un po’ come gli italiani di Little Italy). Ci sono giovani indifferenti alla religione e altri che cercano risposte negli imam via internet. “Da questa inchiesta emerge come l’Europa offra ai musulmani l’opportunità di vivere la propria fede in una società democratica e laica” conclude Farina Sabahi, che propone di incentivare l’imprenditoria femminile musulmana, elogia l’Europa meticcia, e parla chiaro ai musulmani del Vecchio Continente: “La libertà di coscienza e la laicità dell’Europa sono conquiste irrinunciabili. Nel momento in cui l’Europa riconosce l’esistenza di una società multiculturale, intesa come una società in cui gli immigrati hanno il diritto di mantenere la loro identità culturale e religiosa, le autorità devono fare in modo che i valori di base della democrazia non siano violati. Di conseguenza, gli immigrati devono rispettare questi valori, incluso il diritto di essere blasfemi, come ha fatto il regista olandese Theo Van Gogh”.


Farian Sabati
Islam: l'identità inquieta dell'Europa.
Viaggio tra i musulmani d'Occidente
,
328 pagine, € 17,50, il Saggiatore 2006.

 

 

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