La Norvegia è obbligata ad aderire alle nuove
regole dell’Unione Europea in materia di sorveglianza.
La sorveglianza di tutti i siti web che visiti, delle
identità di tutte le persone a cui telefoni,
a cui mandi messaggi o e-mail. O al contrario, dell’identità
di chiunque chiami te o ti invii un’e-mail o un
messaggio. Se mi capitasse di ricevere un messaggio
da una persone “sospetta”, anche se fosse
un lettore qualsiasi di Le Monde diplomatique,
il mio nome finirebbe automaticamente sulla lista. Le
liste che la Norvegia deve mettere a disposizione dell’Fbi
comprenderanno numeri telefonici, dettagli geografici
su dove e quando hai usato il tuo cellulare o registrazioni
digitali di conversazioni telefoniche?
Siamo davvero consapevoli del tipo di atteggiamento
che sta attualmente suggerendo questa legge? Si può
parlare di un referendum votato dalla maggioranza? Simile
a uno strumento che sintonizziamo sul mantra “sicurezza,
sicurezza”?
Permettetemi di affrontare la situazione, o forse più
precisamente, il nostro ambiente, con un approccio tortuoso.
La nostra condizione è la società tecnica
dell’informazione, della rete. Mi riferisco ai
nostri strumenti, agli apparati tecnici che ci aiutano.
Li conoscete: cellulari, bancomat, database. Questo
nuovo ambiente digitale diventa una parte di noi, come
i vestiti e gli occhiali. E’ questa la nuova “protesi”
del corpo, la sua nuova estensione artificiale. Per
un migliaio di anni, siamo stati intelligenti abbastanza
da permettere a oggetti e tecniche di aiutarci. Quando
avevamo freddo, tessevamo vestiti. Per proteggere i
nostri piedi dalle ferite e dal freddo, prima li fasciavamo
poi abbiamo inventato le scarpe. Quando non vedevamo
bene, costruivamo occhiali. Costruivamo piccole strumentazioni
e armi; prima lance di pietra, oggi cellulari in miniatura
per videoconferenze. L’alfabeto era un’altra
tecnologia intelligente che inventammo – un sostegno
alla memoria e alla comunicazione. In Occidente, noi
che lavoriamo all’interno dell’informazione
globalizzata e di aziende di servizi – l’industria
primaria si sposta sempre più a sud verso il
mondo in via di sviluppo – siamo confinati al
mondo mediatico di suoni e visioni. Quando sediamo piegati
sullo schermo del pc o allungati davanti a quello della
tv, il nostro ambiente è pieno di testi e pubblicità
cattura-attenzione. Poco meno di un milione di norvegesi
“sorveglianti” leggono il quotidiano e guardano
il notiziario in televisione. Come disse una volta Marshall
McLuhan: “the real is the reel”. Le bobine
della pellicola ronzano nella corteccia cerebrale: immagini
che guizzano da riviste, televisioni, cinema, o dalle
impressioni urbane quotidiane mentre cammini, vai in
bicicletta o guidi l’auto.
Noi osserviamo. L’ambiente è l’oggetto
dalla nostra attenzione, della nostra “sorveglianza”.
Si tratta di un’espressione strana, ha quasi un
accento positivo, come nello sguardo attento che manteniamo
sui nostri bambini… La mentalità attuale
nasce da una tendenza presente in noi, la tendenza ad
essere cauti e ad aver una visione d’insieme delle
nostre vite quotidiane.
Lasciate che sia un po’ più filosofico,
data la complessità della situazione. Il filosofo
francese Michel Foucault descrisse questa mentalità
nel suo libro Sorvegliare e punire – Nascita
della prigione. La prigione viene descritta come
una torre di sorveglianza che si innalza nel mezzo di
tutte le celle; i prigionieri non potevano vedere se
e quando vengono osservati attraverso il vetro della
torre, ciò nonostante avvertivano il suo sguardo
scrutante in ogni momento. La torre era chiamata Panopticon.
Gli osservati potevano quasi riconoscere su di sé
la sensazione dello sguardo di Dio, allo stesso modo
in cui molti avvertono la presenza divina nella loro
coscienza. Lo scopo di Foucault era piuttosto descrivere,
attraverso questo apparato intelligente, la mentalità
o il clima che guida le persone nella costruzione di
queste prigioni. Prima che le mura della prigione, di
vetro o d’acciaio, vengano erette, l’umanità
deve aver sviluppo sia le espressioni che i mezzi per
visualizzarle, che possono far sì che qualsiasi
cosa venga descritta o progettata sia capita e compresa.
Si tratta dei suoni e dei simboli che potenziano la
nostra comprensione, i segni e i simboli identificabili
che si distinguono e che diventano infine riconoscibili.
Storicamente, istituzioni come le prigioni, gli ospedali
e le scuole sono nate prima come concetti creativi prendendo
forma in maniera lenta ma sicura da un’idea vaga,
un amalgama della collezione di eventi, pensieri, concetti
e situazioni che le avevano prodotte, come nel caso
dei nostri apparati tecnici, piccoli e grandi: aerei,
navi, automobili, biciclette e utensili da cucina. Lo
stesso è vero per i pc digitali, i cellulari,
le telecamere, i lettori Mp3, le carte di credito che
ci “connettono”. Posso ricordarvi che tutte
queste cose sono state “inventate”.
Da principio, il diritto penale nacque, ad esempio,
nella forma di un regime linguistico: esso si preoccupava
della ‘predicabilità’ dei crimini,
di cosa potesse essere definito punibile. Un tale regime
linguistico doveva classificare e “tradurre”
i crimini in modo da calcolare le punizioni. Abbiamo
accesso alla realtà e alla pratica attraverso
la strutturazione del linguaggio, attraverso dichiarazioni
ed espressioni che rendono visibili criminale e crimine.
Il panoptismo, di conseguenza, è anche definito
come un regime mentale, una combinazione della dinamica
di ciò che può essere espresso e ciò
che può essere visto.
Il panoptismo è il concetto che ha degradato
la natura del sistema delle prigioni, come esemplificato
dall’industria statunitense delle carceri con
i suoi due milioni di detenuti, le sue prigioni private
a scopo di profitto, o l’estensione del concetto
di prigione individuabile nel paese nell’uso diffuso
di armi all’interno sia dell’arena pubblica
che di quella privata.
La sorveglianza si è palesata nella sua completezza
con l’avvento dello stato moderno. Ciò
avvenne, in particolare, quando intorno all’inizio
del diciannovesimo secolo la popolazione sviluppò
una nuova passione: il controllo medico di malattie
ed epidemie era legato a un’ampia gamma di altri
tipi di controlli – controlli militari dei disertori,
controlli delle tasse sui beni in commercio, supervisione
amministrativa dei medicinali, delle razioni alimentari,
delle persone scomparse e decedute. La statistica divenne
una nuovo fenomeno e una necessità: in molti
paesi venne ‘panopticamente’ istituito un
“Ufficio centrale di Statistica”. Quando
qualcosa diviene istituzionale e onnipresente è
fin troppo facile dimenticare la sua nascita, o che,
in realtà, le cose prima erano diverse.
Oggi la sorveglianza si presta alla legittimazione
come una questione di sicurezza. Il linguaggio è
enormemente significativo. La polizia norvegese era
consapevole di ciò quando astutamente cambiò
il proprio nome da Pot a Pst (Politiets SikkerhetsTjeneste
ovvero Police Security Service). E quando le espressioni
diventano comuni, la pratica segue l’esempio.
Sono sicuro che non c’è alcun bisogno di
ricordare tutte le telecamere di sorveglianza, economiche
ed efficaci, che si trovano ora lungo i marciapiedi,
alle casse dei supermercati, agli angoli dei musei,
nel traffico, agli aeroporti e nelle piazze, alle frontiere,
davanti alla tua porta. E’ strano che non vengano
già chiamate “telecamere di sicurezza”.
Come minimo abbiamo, però, allarmi di sicurezza,
l’allarme dell’orologio, quello personale,
quello dell’automobile, quello anti-stupro, e
quello anti-taccheggio. E per il bene della sicurezza
oggi abbiamo serrature senza chiave, online banking
e carte di credito con codici pin. Per molto tempo la
mentalità della sorveglianza e della sicurezza
ha imposto una certa condotta a tutti noi.
Questo era l’approccio tortuoso alla situazione.
E ora il più concreto. L’ex segretario
di stato britannico Charles Clarke dichiarò in
un discorso al parlamento europeo il 7 settembre 2005:
“Gli Stati all’interno dell’Unione
Europea devono accettare la perdita di certe libertà
civili se i loro cittadini devono essere protetti dalla
criminalità e dal terrorismo.” Facevano
da sfondo a quel discorso gli attentati di luglio, azioni
erroneamente collegate ad Al-Qaeda.
La sorveglianza non è necessariamente efficace.
Sorvegliare l’uso di Internet e degli strumenti
di telefonia della popolazione norvegese può
portare statisticamente a una moltitudine di accuse
erronee. Persino con i metodi moderni basati sulla cosiddetta
statistica bayesiana, si incorrerebbe in gravi errori
e in attacchi a individui e gruppi. Inoltre, la sorveglianza
provocherà molta agitazione: non è senza
ragione che i medici norvegesi non chiedono che l’intera
popolazione venga monitorata per malattie mortali come
l’hiv/aids. Inoltre, l’attuazione della
sorveglianza dei media proposta dall’Unione Europea
significa costi enormi per le aziende di telecomunicazione
e per i servizi pubblici, costi che in genere finiscono
per essere pagati dal consumatore.
Per di più, i criminali più esperti evitano
la sorveglianza: utilizzano cellulari rubati, internet
caffè, o si incontrano di persona. Oggi si sa
che Bin Laden (se è vivo) e il suo gruppo utilizzano
“corrieri” anziché telefoni satellitari.
Sono sempre di più quelli che ricorrono al sistema
chiamato Hawala invece che ai sistemi bancari rintracciabili.
Lasciatemi aggiungere una sintesi finale perché
la sorveglianza è qui per rimanere. A questo
punto, non voglio dare un giudizio sulla sacralità
della vita privata, o promuovere prospettive ingenue,
anarchiche e anti-autoritarie.
L’immagine che abbiamo di noi stessi cambia. Permettetemi
di fare un altro breve riferimento a Foucault: nel corso
dei secoli diciottesimo e diciannovesimo, gli europei
avevano un’immagine o una consapevolezza di sé
fortemente caratterizzate dalla religione: ci si vedeva
come immagine di Dio. Erano cresciuti con la Bibbia,
con l’Eternità, e con il concetto di onnipotenza
come quadro di riferimento. Fu solo con l’industrializzazione
del ventesimo secolo che questa onnipotenza si realizzò:
con l’affermazione di Nietzsche secondo cui Dio
era morto, con la scienza, la società secolare,
la repubblica e la fabbrica. Il potere umano si confrontava
con la vita stessa, con la fusione del linguaggio, dell’industria,
del lavoro e della produzione.
Questa “forma umana” moderna non esisteva
in epoca classica, allora perché ora, nel 2006,
noi non dovremmo vivere l’esperienza dell’istituzione
di una nuova forma di umanità? L’uomo moderno
non è come un’impronta sulla sabbia, tra
l’alta e la bassa marea, sul punto di essere cancellato
di nuovo?
La nuova immagine è una forma di umanità
composta dall’informazione, dal controllo e dalle
società della rete. E’ il cyber-umano con
tutte le protesi che ho elencato, la macchina umana
piena di informazioni che si inserisce rapidamente nelle
reti e nella globalizzazione.
Questa terza forma umana è assetata di conoscenza,
affamata di immagini, film, cambiamento, trasformazione.
La sua condizione è spesso definita modernità
liquida (Zygmunt Bauman). Ma io preferisco il termine
transmoderno. Il prefisso “trans” è
infinitamente più evocativo della nostra epoca:
ascoltate con le vostre orecchie inglesi globalizzate:
transactions, transatlantic, transcend, transcribe,
transfer, transfiguration, transform, transfusion, transience,
transit, transitory, translate, transmigrate, transmit,
transmutable, transparence, transplant, e transport.
Macchina umana, rete umana e trasformazione umana.
Sì, so che ancora non ci siamo arrivati. Ma ricordate
che quando Karl Marx descrisse l’industrialismo,
viveva in una società rurale europea: c’erano
appena un centinaio di fabbriche.
Noi non riusciremo a evitare di assumere questa terza
forma umana. Ma con la sorveglianza, la società
del controllo di oggi e l’immagine che abbiamo
di noi interconnesse a queste protesi digitali e all’influenza
dei media, questa è una forma umana di cui noi
stessi non siamo capaci di ottenere una visione d’insieme,
lasciamo perdere il “controllo”. Questa
situazione sarà importante per i modi in cui
interpretiamo la vita privata: tra proteggere noi stessi
dagli altri e aprirci in maniera spontanea. Sarà
importante anche per come intendiamo la proprietà,
il copyright, la famiglia, la scuola, la difesa, le
prigioni, le nazioni, istituzioni in vertiginosa crisi
e quindi in cambiamento.
Non è necessariamente l’esperienza del
terrorismo da sola che guida la direttiva dell’Unione.
Proprio come il Panopticon, essa non sarebbe stata possibile
senza la mentalità che la terza forma umana ha
prodotto.
Traduzione di Martina Toti
© Eurozine
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta
nel giugno 2006 nella versione norvegese di "Le Monde
diplomatique".
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