Quello
che segue è un estratto dall’intervento
tenuto dal sen. Franco Danieli, Vice Ministro degli
Affari Esteri con delega per gli italiani nel mondo
all’incontro “Protagonisti del voto italiano
all'estero. Una lettura culturale del comportamento
elettorale”, organizzato dalla Fondazione Giovanni
Agnelli il 12 giugno 2006.
Quando si parla del voto degli italiani all’estero
occorre rompere i tradizionali stereotipi interpretativi,
a partire dalla ricostruzione storica. Il decennale
percorso verso l’effettività del diritto
di voto si è sviluppato grazie ad un rapporto
stretto tra la “classe politica” italiana
(o meglio, una parte di essa) e i rappresentanti delle
comunità dei nostri connazionali nei diversi
paesi stranieri. Questo ha significato rinsaldare un
forte legame tra la politica che ha sede in Italia e
le persone che vivono fuori dai nostri confini. Questo
rapporto deve consolidarsi ed impedire ogni forma di
“autosufficienza” che sarebbe un clamoroso
errore, un passo che ci porterebbe indietro di decenni.
Questo diritto è arrivato grazie all’integrazione,
alla sinergia, allo stretto rapporto di collaborazione
che, su questo tema, ha solcato trasversalmente la politica
italiana; è su questa integrazione che dobbiamo
andare avanti.
Eletti ed elettori, dalle urne al Parlamento
Il dibattito italiano sugli esiti del voto delle circoscrizioni
estere mi è parso per molti aspetti “disgustoso”.
Non esito a dire che ho avvertito posizioni di puro
“razzismo politico”, come le accuse rivolte
ai deputati eletti di non parlare la nostra lingua,
o le insinuazioni di passare da una coalizione all’altra
per senatori, come Luigi Pallaro, che sono stati eletti
nell’ambito di una propria lista civica e hanno
legittimamente il diritto e l’interesse di appoggiare
il Governo, poiché questo è l’interlocutore
che hanno a disposizione per soddisfare le istanze di
cui sono portatori in conseguenza del voto.
Voglio invece sottolineare come a questi parlamentari,
che vivono fuori dai nostri confini, il mandato degli
elettori chiede un sacrificio assai maggiore che ai
loro colleghi; loro che vivono in Argentina, in Brasile
o in Australia, hanno deciso di abbandonare la loro
famiglia, i loro affetti, il loro ambiente in cui negli
anni hanno costruito relazioni personali, affettive
ed economiche, per venire a vivere in Italia e contribuire,
da parlamentari, alla vita delle istituzioni repubblicane.
Credo giusto mettere l’accento su questo supplemento
di abnegazione che coinvolge sul piano personale coloro
che sono stati eletti all’estero e che sono a
tutti gli effetti, a pieno titolo, parlamentari senza
vincolo di mandato.
Legge elettorale: parlare ai diretti interessati
Un altro capitolo importante della questione che è
sotto ai nostri occhi riguarda la legge elettorale che
va migliorata. Io non voglio esprimere la mia opinione
in quanto rappresentante dell’esecutivo, voglio
confrontarmi con le persone elette all’estero,
ascoltare le diverse voci, come quella del Cgie (Consiglio
Generale degli Italiani all’Estero) e, se da quella
sede emerge un’opinione largamente condivisa,
sono disposto ad accettarla e ad andare avanti su quella
base.
Possiamo comunque notare dalla recente esperienza che
il meccanismo elettorale per gli italiani all’estero
ha dei difetti evidenti, che richiedono un miglioramento.
Primo fra questi è il sistema del voto per corrispondenza,
che ha delle carenze insite nella sua stessa natura.
Se, infatti, il governo italiano garantisce il proprio
ruolo inviando ai singoli elettori i plichi elettorali,
nessuno può mai garantire l’uso che di
questi plichi si possa fare una volta che siano giunti
a destinazione, in altre parole: scegliere il voto per
corrispondenza, di per sé non può mai
garantire che siano rispettate sempre le esigenze di
riservatezza e segretezza, fermo restando che queste
vanno perseguite e gli eventuali reati sanzionati.
Su alcuni aspetti si dovrà ragionare, come i
meccanismi di spedizione e quelli del possibile voto
elettronico. Un tasto assai dolente è stata l’attività
di spoglio delle schede: abbiamo vissuto la situazione
assurda per cui nella sede designata, di Castelnuovo
di Porto, si trovavano centinaia di seggi, con migliaia
di persone che sono state costrette a lavorare in condizioni
di disagio, anche fisico. Trovare soluzione a questo
aspetto è essenziale.
Ci sono tanti altri elementi ancora che il tema degli
italiani all’estero richiede di affrontare; fra
questi certamente quello che riguarda i finanziamenti
pubblici. Non è vero che lo Stato italiano elargisce
somme, a volte anche consistenti che però, a
mio giudizio, sono gestite con poca efficienza e scarsa
razionalità. Faccio un esempio: ciascuna delle
regioni italiane gestisce un rapporto con le comunità
di “corregionali” che vivono all’estero;
perché, mi chiedo, non inquadrare questa sorta
di mosaico in un contesto strategico unitario?
Insomma, abbiamo toccato alcuni punti importanti che
riguardano gli italiani che vivono all’estero.
Molti altri, ricchissimi di interesse, rimangono da
affrontare: la promozione della cultura e della lingua
italiana nel mondo, il rafforzamento della rete consolare,
il miglioramento dell’informazione italiana verso
l’estero e della cosiddetta informazione di ritorno;
per citarne alcuni. Tutti aspetti di un tema delicato
e importante su cui siamo chiamati a lavorare con impegno,
a volte riprendendo e continuando il lavoro di chi ci
ha preceduto, a volte investendo nuove energie e operando
discontinuità rispetto al passato.
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