Tratto dal quotidiano Europa
L’Italia avrà un ottimo capo dello stato,
e alla fine solo questo conta. Per sette anni Ciampi
è stato l’àncora alla quale si
aggrappavano tutti coloro che volevano continuare
a credere in qualcosa, ad avere fiducia in una istituzione
e in un uomo pubblico. Tutti, di destra di sinistra
e di centro. La scelta del successore di un presidente
così bravo – non ci sono aggettivi migliori
– doveva garantire soprattutto che questa garanzia
non venisse meno. L’Italia non può ancora
permettersi figure sbiadite come era una volta né
figure autocratiche come piacerebbe a qualcuno.
Quando ogni polemica o elucubrazione sul presente
sarà svanita, rimarrà solo il fatto
che la persona giusta per risolvere quel problema
è stata trovata. Tanto basta.
Agli atti rimarrà anche che questa persona
è stata votata (con grande compattezza) solo
dal centrosinistra.
Il centrodestra la rispetta – tranne i soliti
teppisti – ma non è riuscito a dire di
sì.
All’esigenza di dare un segnale di rassicurazione
all’insieme del popolo italiano è stata
anteposta l’esigenza di dare un segnale al popolo
di centrodestra e alla sua propaggine padana. È
una scelta che per Berlusconi può risultare
utile oggi, ma è strategicamente miope, e del
resto era stata pensata per contrapporsi a D’Alema,
non a Napolitano.Quelle 347 schede bianche sono il
coperchio su una pentola che bolle: si avverte instabilità
nel centrodestra, verrà fuori dopo le amministrative
e il referendum.
Occorre però essere onesti fino in fondo.
Quando si contesta alla Casa delle Libertà
di aver voluto parlare solo alla propria gente, bisogna
chiedersi se il centrosinistra – una volta di
più – non abbia fatto altrettanto.
È una domanda che non può essere occultata
dal brillante risultato di un capo dello stato che
– per meriti anche molto personali – saprà
risolvere da sé il problema di identificarsi
nella Nazione.
Per sincerità, molti dei commenti di campo
unionista ascoltati in queste ore non sono incoraggianti,
sotto questo profilo. In particolare questa storia
della definitiva caduta del fattore K.
Definire «storica» l’elezione di
Napolitano perché finalmente un ex comunista
può andare al Quirinale vuol dire puramente
e semplicemente vivere nel passato. Molto più
di quanto non faccia quello stesso signore di 82 anni.
Vuol dire dare ragione (ed è un errore commesso
non solo da politici di sinistra) a chi denuncia che
la partita del Quirinale è stata giocata appunto
considerando solo la metà degli spettatori
sugli spalti.
È l’emancipazione degli ex comunisti,
il grande problema dell’Italia del 2006, fino
al punto di condizionare la scelta del presidente
della repubblica? Se si pensa che questa infinta serie
di “prime volte” data dall’anno
1976 – Pietro Ingrao presidente della Camera
– si capisce che ricondurre sempre i leader
della sinistra italiana allo stesso schema è
qualcosa di più di una condanna. È una
offesa. Anche se talvolta è un’offesa
che proprio loro arrecano a se stessi: quasi fossero
i primi a doversi sempre dare una patente di legittimità
(a meno che l’identità rivendicata non
venga recuperata in maniera un po’ strumentale,
per giustificare ambizioni che – in maniera
sacrosanta – attengono più al presente,
dei singoli e del partito).
Qualsiasi sia la ragione per cui il fattore K venga
rispolverato, che lo faccia la destra per reiterare
i suoi veti o la sinistra per rivendicare un diritto,
tutto ciò appare anacronistico, fuori dal tempo
e dalla comprensione e dall’apprezzamento della
stragrande maggioranza degli italiani.
Napolitano ottimo presidente della Repubblica. D’Alema
autentico statista, a suo tempo il primo a intuire
quanto fosse parziale e insufficiente l’analisi
ulivista della realtà italiana.
Fassino leader dinamico, innovativo su molti fronti,
dalla politica estera a quella interna.
E poi tutti gli altri. Da giudicare, apprezzare, premiare
o penalizzare per ciò che sanno fare. Non per
l’antica appartenenza che è stata per
loro grande scuola, ma che hanno deciso di abbandonare
ormai diciassette anni fa. Diciassette anni fa.
Queste cose vanno dette perché essersi ritrovati
fra i piedi la questione dell’identità
post-comunista è stato un vero inciampo, nella
vicenda del Quirinale.
Sicuramente lo è stato per D’Alema, e
per motivi opposti per altri non post-comunisti che
avrebbero potuto interpretare bene quanto Napolitano
il ruolo di garanzia istituzionale. È stato
un inciampo sulla strada di coloro – cioè
tutti nell’Unione, almeno a parole – che
volevano dare agli italiani un presidente votato a
larga maggioranza.
Ed è stato bravo chi ha dato una mano ad aggirare
l’ostacolo o a trasformarlo in una opportunità,
a cominciare da Prodi, Rutelli e altri nel centrosinistra.
Una volta di più, a costo di sembrare dischi
rotti, ripetiamo che l’unica vera emancipazione
per tutti, la strada che consenta di stare in campo
solo grazie ai propri meriti e alle proprie proposte,
è la nascita di questo benedetto Partito democratico.
Sembra un fantasma in queste ore, certo non è
esistito in una partita che è stata giocata
ancora tutta dai partiti esistenti, o da pezzi dei
partiti esistenti. Continuerà a non esistere
nella prossima convulsa fase di formazione del governo.
Va bene, è un prezzo da pagare al passato.
Ma quando cominceremo a ragionare e a far politica
usando questa nuova e meno polverosa appartenenza,
faremo davvero un buon servizio all’Italia.
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