Dal 50 al
25%. Un vero capitombolo, quasi un preludio all’uscita
di scena. In poco meno di due mesi il primo ministro
francese, Dominique de Villepin, è riuscito nell’ardua
impresa di dilapidare il consistente capitale di consenso
popolare che i sondaggi gli conferivano da mesi. A gennaio
la metà dei francesi aveva un’opinione
positiva del suo operato. Poi il capo del governo si
è voluto giocare tutto sul Contratto primo impiego
(Cpe) e lo scontro con la piazza, e ha perso.
Il presidente della Repubblica Jacques Chirac aveva
promulgato la legge per salvargli la faccia, ma aveva
aggiunto anche, con retorica barocca, che il Cpe non
sarebbe stato comunque applicato fino a quando un’altra
legge che l’avrebbe svuotato non fosse stata presentata
dalla maggioranza e approvata dall’Assemblea.
Come a dire: il dossier passa dalle mani di Villepin,
che si è infilato in questa crisi senza prospettive
d’uscita, a quelle del presidente dell’Ump,
Nicolas Sarkozy, che ha il compito di trovare un compromesso
con i sindacati e gli studenti.
Il ministro dell’Interno non aspettava altro,
era da un buon mese che cominciava a manifestare pubblicamente
una certa insofferenza verso l’intransigenza del
primo ministro. E se Sarkozy si smarca, si smarcano
anche le sue truppe, l’Ump, i cui parlamentari
cominciavano a temere il crollo dei consensi presso
le proprie circoscrizioni. Subito dopo la comunicazione
televisiva di Chirac, Sarko ha convocato le telecamere,
si è assunto la responsabilità di trovare
una via d’uscita e, en passant, il merito
della svolta positiva.
Chiamato da Chirac a sostituire Jean-Pierre Raffarin
alla guida dell’esecutivo subito dopo il disastro
del referendum sulla Costituzione europea dello scorso
29 maggio, in qualche mese Villepin, delfino del presidente
e unica sua speranza di finire decentemente un mandato
piuttosto fiacco, era riuscito, nonostante tutto, a
costruire intorno alla sua figura un consenso che nessun
mandato popolare gli aveva conferito. Era riuscito,
soprattutto – perché questo era il piano
suo e di Chirac – a mettere in ombra Sarkozy,
che fino ad allora sembrava il candidato naturale della
destra alla presidenza della Repubblica nel 2007 e l’archiviatore
dello chiracchismo.
Ma come spiegare l’intransigenza cieca del premier,
la sua rigidità sul Cpe? Come giustificare il
metodo autoritario, la mancanza di dialogo con le parti
sociali nonostante “l’impegno solenne”
alla concertazione inscritto nella legge del 2004 e
votata dalla maggioranza?
In effetti il Cpe non era nient’altro che la
punta avanzata di una strategia più ampia di
Villepin il gollista, il difensore del modello sociale
francese: anticipare Sarkozy, levargli la terra da sotto
i piedi, metterlo in trappola spingendolo a destra,
presentarsi alle presidenziali e vincere il primo turno.
Se il presidente dell’Ump, infatti, si era presentato
ai francesi come l’incarnazione delle discontinuità
rispetto alla destra ammuffita e immobile rappresentata
da Chirac, come il paladino della “rottura”
liberale, allora Villepin voleva dimostrare all’elettorato
di destra che lui poteva fare direttamente quello che
l’altro andava sbandierando a parole.
Spuntare il programma economico dell’altro anticipandone
gli orientamenti. Purtroppo, preso dalla sfida con Sarko,
Villepin si era dimenticato che dietro il no massiccio
alla Costituzione europea, c’era il netto rifiuto
da parte del popolo francese del liberalismo e non il
mandato popolare ad immettere più precarietà
nel mercato del lavoro.
Alla fine dei conti, con un Cpe morto e sepolto, sostituito
da un intervento dello Stato in favore dei giovani meno
qualificati e più in difficoltà, i ruoli
tra i due pretendenti di destra alle presidenziali del
2007 si sono invertiti: Villepin è diventato
il duro e Sarkozy l’uomo del dialogo, Villepin
è uscito dalla corsa mentre Sarko ha la strada
spianata verso l’Eliseo!
Sinistra permettendo, dato che la crisi Cpe ha aumentato
il bacino di consenso di Segolene Royal, che da mesi
l’opinione pubblica indica come la più
accreditata tra i presidenziabili a sinistra. Ma questa
è un’altra storia.
Per quanto concerne il metodo villepiniano, forse aveva
visto giusto Bernadette Chirac, la moglie del presidente,
che nel ’95 aveva chiamato Villepin “Nerone”
in considerazione del suo approccio alle cose. In agosto,
ad esempio, per far approvare il Contratto nuovo impiego
(Cne), padre del Cpe, non aveva esitato ad utilizzare
le ordinances, procedura eccezionale per scavalcare
l’Assemblea.
Il primo ministro è un uomo che ama le situazioni
di crisi e, in queste, prendere le decisioni che mettano
in luce l’eccezionalità di una visione,
di un uomo. Un vero gollista in questo, una concezione
che ritorna anche nei libri che è andato via
via scrivendo negli anni. Non a caso i riferimenti preferiti
di Villepin sono il generale De Gaulle, ovviamente,
e Napoleone – su cui ha scritto I cento giorni
ovvero lo spirito di sacrificio – cioè
due militari, due riformisti autoritari. “Dominique
sarebbe un eccellente Primo ministro – disse di
lui Alain Juppé, ex capo dell’esecutivo,
che aggiunse – in tempi di guerra”. Questa
volta la guerra non c’era e allora, per mettersi
nella posa dell’uomo del destino, se l’è
creata.
L’ha persa.
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