298 - 05.05.06


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Contratto scaduto
per Villepin il gollista

Luca Sebastiani



Dal 50 al 25%. Un vero capitombolo, quasi un preludio all’uscita di scena. In poco meno di due mesi il primo ministro francese, Dominique de Villepin, è riuscito nell’ardua impresa di dilapidare il consistente capitale di consenso popolare che i sondaggi gli conferivano da mesi. A gennaio la metà dei francesi aveva un’opinione positiva del suo operato. Poi il capo del governo si è voluto giocare tutto sul Contratto primo impiego (Cpe) e lo scontro con la piazza, e ha perso.

Il presidente della Repubblica Jacques Chirac aveva promulgato la legge per salvargli la faccia, ma aveva aggiunto anche, con retorica barocca, che il Cpe non sarebbe stato comunque applicato fino a quando un’altra legge che l’avrebbe svuotato non fosse stata presentata dalla maggioranza e approvata dall’Assemblea. Come a dire: il dossier passa dalle mani di Villepin, che si è infilato in questa crisi senza prospettive d’uscita, a quelle del presidente dell’Ump, Nicolas Sarkozy, che ha il compito di trovare un compromesso con i sindacati e gli studenti.

Il ministro dell’Interno non aspettava altro, era da un buon mese che cominciava a manifestare pubblicamente una certa insofferenza verso l’intransigenza del primo ministro. E se Sarkozy si smarca, si smarcano anche le sue truppe, l’Ump, i cui parlamentari cominciavano a temere il crollo dei consensi presso le proprie circoscrizioni. Subito dopo la comunicazione televisiva di Chirac, Sarko ha convocato le telecamere, si è assunto la responsabilità di trovare una via d’uscita e, en passant, il merito della svolta positiva.

Chiamato da Chirac a sostituire Jean-Pierre Raffarin alla guida dell’esecutivo subito dopo il disastro del referendum sulla Costituzione europea dello scorso 29 maggio, in qualche mese Villepin, delfino del presidente e unica sua speranza di finire decentemente un mandato piuttosto fiacco, era riuscito, nonostante tutto, a costruire intorno alla sua figura un consenso che nessun mandato popolare gli aveva conferito. Era riuscito, soprattutto – perché questo era il piano suo e di Chirac – a mettere in ombra Sarkozy, che fino ad allora sembrava il candidato naturale della destra alla presidenza della Repubblica nel 2007 e l’archiviatore dello chiracchismo.

Ma come spiegare l’intransigenza cieca del premier, la sua rigidità sul Cpe? Come giustificare il metodo autoritario, la mancanza di dialogo con le parti sociali nonostante “l’impegno solenne” alla concertazione inscritto nella legge del 2004 e votata dalla maggioranza?

In effetti il Cpe non era nient’altro che la punta avanzata di una strategia più ampia di Villepin il gollista, il difensore del modello sociale francese: anticipare Sarkozy, levargli la terra da sotto i piedi, metterlo in trappola spingendolo a destra, presentarsi alle presidenziali e vincere il primo turno. Se il presidente dell’Ump, infatti, si era presentato ai francesi come l’incarnazione delle discontinuità rispetto alla destra ammuffita e immobile rappresentata da Chirac, come il paladino della “rottura” liberale, allora Villepin voleva dimostrare all’elettorato di destra che lui poteva fare direttamente quello che l’altro andava sbandierando a parole.

Spuntare il programma economico dell’altro anticipandone gli orientamenti. Purtroppo, preso dalla sfida con Sarko, Villepin si era dimenticato che dietro il no massiccio alla Costituzione europea, c’era il netto rifiuto da parte del popolo francese del liberalismo e non il mandato popolare ad immettere più precarietà nel mercato del lavoro.

Alla fine dei conti, con un Cpe morto e sepolto, sostituito da un intervento dello Stato in favore dei giovani meno qualificati e più in difficoltà, i ruoli tra i due pretendenti di destra alle presidenziali del 2007 si sono invertiti: Villepin è diventato il duro e Sarkozy l’uomo del dialogo, Villepin è uscito dalla corsa mentre Sarko ha la strada spianata verso l’Eliseo!

Sinistra permettendo, dato che la crisi Cpe ha aumentato il bacino di consenso di Segolene Royal, che da mesi l’opinione pubblica indica come la più accreditata tra i presidenziabili a sinistra. Ma questa è un’altra storia.

Per quanto concerne il metodo villepiniano, forse aveva visto giusto Bernadette Chirac, la moglie del presidente, che nel ’95 aveva chiamato Villepin “Nerone” in considerazione del suo approccio alle cose. In agosto, ad esempio, per far approvare il Contratto nuovo impiego (Cne), padre del Cpe, non aveva esitato ad utilizzare le ordinances, procedura eccezionale per scavalcare l’Assemblea.

Il primo ministro è un uomo che ama le situazioni di crisi e, in queste, prendere le decisioni che mettano in luce l’eccezionalità di una visione, di un uomo. Un vero gollista in questo, una concezione che ritorna anche nei libri che è andato via via scrivendo negli anni. Non a caso i riferimenti preferiti di Villepin sono il generale De Gaulle, ovviamente, e Napoleone – su cui ha scritto I cento giorni ovvero lo spirito di sacrificio – cioè due militari, due riformisti autoritari. “Dominique sarebbe un eccellente Primo ministro – disse di lui Alain Juppé, ex capo dell’esecutivo, che aggiunse – in tempi di guerra”. Questa volta la guerra non c’era e allora, per mettersi nella posa dell’uomo del destino, se l’è creata.
L’ha persa.


 

 

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