“Quando
si è in mezzo al mare si naviga con quel che
si ha”.
E in mezzo alla politica italiana, sostiene Fulco Lanchester,
questa legge elettorale non è che uno strumento
eloquente di quanto siamo in alto mare:
un ceto politico che non ha fiducia sulla legittimità
dell’avversario a governare, una crisi epocale
del sistema partitico che ancora sembra irrisolta mentre
alcuni credono di averla superata da tempo. Insomma,
una transizione politica che il ceto politico non ha
ancora maturato, dalla Prima alla Seconda Repubblica,
dal proporzionale al maggioritario.
La conversazione con il prof. Lanchester, preside della
facoltà di Scienze politiche alla Sapienza di
Roma ed esperto di sistemi elettorali, è iniziata
da una riflessione sulle ultime elezioni.
Abbiamo vissuto una nottata di grande incertezza
sull’esito delle elezioni. Una volta arrivati,
i risultati sembrano imbevuti di fragilità, appoggiati
su una maggioranza risicata. Tutto questo è il
frutto della scelta proporzionale?
Diciamo che, in un sistema come quello italiano, applicare
sistemi con premi di maggioranza differenti per le due
camere offre sempre la possibilità di questa
incertezza. Mi spiego meglio. Il nostro è un
sistema a bicameralismo perfetto, cioè alle due
camere spetta il compito di concedere, entro dieci giorni
dalla nomina del governo e dal suo giuramento, la fiducia
su mozione motivata; in questa situazione applicare
premi di maggioranza per le coalizioni può produrre
risultati divergenti. Ed è una tendenza che esisteva
già nella legge del ’93 che prevedeva il
maggioritario al Senato e in gran parte alla Camera.
L’elemento rilevante, quindi, non è tanto
che la legge si basa sullo scrutinio di lista e quindi
su un meccanismo non maggioritario ma proporzionale,
ma il fatto importante è che ci siano due camere
con due premi di maggioranza assegnati con meccanismi
diversi, per cui alla Camera dei Deputati l’Unione
ha una maggioranza abbastanza solida, mentre al Senato
la maggioranza è di doli due seggi.
C’è da sperare che questa legge
venga cambiata?
Sarà necessario capire quali maggioranze potranno
essere capaci di modificare la legge che distribuisce
le carte tra le forze politiche. Questa è una
grande difficoltà, ma vedo un problema più
complesso che non riguarda tanto il sistema elettorale
in senso stretto e il meccanismo di trasformazione dei
voti in seggi, ma il sistema politico. Abbiamo di fronte
un ceto politico che contraddice l’idea nata nel
’93, quando si introdusse un sistema tendenzialmente
maggioritario; in altre parole è un ceto politico
che è centrifugo e che, soprattutto, tende a
delegittimarsi. Ne sono una prova la mancata accettazione
dei risultati. Il problema più grande è
la sfiducia che oramai ha pervaso il ceto politico sulla
legittimità e l’affidabilità del
concorrente. E questo è un brutto segno per qualsiasi
tipo di innovazione istituzionale.
C’è anche da sottolineare che
la legge ha prodotto un proporzionale anomalo. In fondo
gli elettori hanno scelto tra due schieramenti ben distinti,
quindi un’accezione bipolarista è rimasta.
La mia impressione è che la legge in realtà
sia strutturata sul cosiddetto “tatarellum”,
cioè la legge elettorale per le regioni del ’95;
la differenza è che alle regioni la contesa elettorale
è strutturata anche e soprattutto dalla scelta
uninominale e diretta del presidente. Nella legge con
cui abbiamo da poco votato, invece, la strutturazione
della contesa è stata molto inferiore e, per
certi versi strabica perché mentre c’erano
due capi di coalizione che si contendevano la guida
del futuro governo, rimaneva un sistema di distribuzione
dei seggi fondamentalmente proporzionale.
Credo che il risultato finale confermi l’esistenza
in Italia di due poli politici, che infatti si sono
divisi i consensi elettorali più o meno al 50%,
ma è anche vero che i poli sono molto frammentati,
centrifughi al loro intero e questo ci dice che di fronte
alle tre grandi crisi che il paese dovrà affrontare
e tentare di risolvere (quella economica, quella sociale
e quella sui temi di politica estera) esiste la possibilità
che emerga la tendenza all’aggregazione di un
polo centrale.
Esiste una legge elettorale che possa evitare
questi problemi?
Non esiste una legge elettorale che rassicuri i partner
sulle buone intenzioni dell’avversario; un ceto
politico in cui ci sia rispetto per gli avversari è
una precondizione della democrazia, le leggi elettorali
invece sono degli strumenti tecnici che hanno alta valenza
politica ma nascono in una realtà esistente,
già data. Questa sfiducia viene da lontano, si
è rafforzata negli ultimi dieci quindici anni
in relazione alla crisi epocale del sistema partitico
della cosiddetta Prima Repubblica e all’insufficiente
riallineamento del nuovo sistema partitico. Credevamo,
anzi lo credevano alcuni, che questa transizione fosse
ormai al termine, invece siamo di nuovo in alto mare.
E in realtà lo strumento tecnico di solito è
un indice empirico della situazione. Quando si è
in mezzo al mare si naviga con quel che si ha.
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