298 - 05.05.06


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La transizione immatura

Fulco Lanchester
con Mauro Buonocore



“Quando si è in mezzo al mare si naviga con quel che si ha”.
E in mezzo alla politica italiana, sostiene Fulco Lanchester, questa legge elettorale non è che uno strumento eloquente di quanto siamo in alto mare:
un ceto politico che non ha fiducia sulla legittimità dell’avversario a governare, una crisi epocale del sistema partitico che ancora sembra irrisolta mentre alcuni credono di averla superata da tempo. Insomma, una transizione politica che il ceto politico non ha ancora maturato, dalla Prima alla Seconda Repubblica, dal proporzionale al maggioritario.
La conversazione con il prof. Lanchester, preside della facoltà di Scienze politiche alla Sapienza di Roma ed esperto di sistemi elettorali, è iniziata da una riflessione sulle ultime elezioni.

Abbiamo vissuto una nottata di grande incertezza sull’esito delle elezioni. Una volta arrivati, i risultati sembrano imbevuti di fragilità, appoggiati su una maggioranza risicata. Tutto questo è il frutto della scelta proporzionale?

Diciamo che, in un sistema come quello italiano, applicare sistemi con premi di maggioranza differenti per le due camere offre sempre la possibilità di questa incertezza. Mi spiego meglio. Il nostro è un sistema a bicameralismo perfetto, cioè alle due camere spetta il compito di concedere, entro dieci giorni dalla nomina del governo e dal suo giuramento, la fiducia su mozione motivata; in questa situazione applicare premi di maggioranza per le coalizioni può produrre risultati divergenti. Ed è una tendenza che esisteva già nella legge del ’93 che prevedeva il maggioritario al Senato e in gran parte alla Camera.
L’elemento rilevante, quindi, non è tanto che la legge si basa sullo scrutinio di lista e quindi su un meccanismo non maggioritario ma proporzionale, ma il fatto importante è che ci siano due camere con due premi di maggioranza assegnati con meccanismi diversi, per cui alla Camera dei Deputati l’Unione ha una maggioranza abbastanza solida, mentre al Senato la maggioranza è di doli due seggi.

C’è da sperare che questa legge venga cambiata?

Sarà necessario capire quali maggioranze potranno essere capaci di modificare la legge che distribuisce le carte tra le forze politiche. Questa è una grande difficoltà, ma vedo un problema più complesso che non riguarda tanto il sistema elettorale in senso stretto e il meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, ma il sistema politico. Abbiamo di fronte un ceto politico che contraddice l’idea nata nel ’93, quando si introdusse un sistema tendenzialmente maggioritario; in altre parole è un ceto politico che è centrifugo e che, soprattutto, tende a delegittimarsi. Ne sono una prova la mancata accettazione dei risultati. Il problema più grande è la sfiducia che oramai ha pervaso il ceto politico sulla legittimità e l’affidabilità del concorrente. E questo è un brutto segno per qualsiasi tipo di innovazione istituzionale.

C’è anche da sottolineare che la legge ha prodotto un proporzionale anomalo. In fondo gli elettori hanno scelto tra due schieramenti ben distinti, quindi un’accezione bipolarista è rimasta.

La mia impressione è che la legge in realtà sia strutturata sul cosiddetto “tatarellum”, cioè la legge elettorale per le regioni del ’95; la differenza è che alle regioni la contesa elettorale è strutturata anche e soprattutto dalla scelta uninominale e diretta del presidente. Nella legge con cui abbiamo da poco votato, invece, la strutturazione della contesa è stata molto inferiore e, per certi versi strabica perché mentre c’erano due capi di coalizione che si contendevano la guida del futuro governo, rimaneva un sistema di distribuzione dei seggi fondamentalmente proporzionale.
Credo che il risultato finale confermi l’esistenza in Italia di due poli politici, che infatti si sono divisi i consensi elettorali più o meno al 50%, ma è anche vero che i poli sono molto frammentati, centrifughi al loro intero e questo ci dice che di fronte alle tre grandi crisi che il paese dovrà affrontare e tentare di risolvere (quella economica, quella sociale e quella sui temi di politica estera) esiste la possibilità che emerga la tendenza all’aggregazione di un polo centrale.

Esiste una legge elettorale che possa evitare questi problemi?

Non esiste una legge elettorale che rassicuri i partner sulle buone intenzioni dell’avversario; un ceto politico in cui ci sia rispetto per gli avversari è una precondizione della democrazia, le leggi elettorali invece sono degli strumenti tecnici che hanno alta valenza politica ma nascono in una realtà esistente, già data. Questa sfiducia viene da lontano, si è rafforzata negli ultimi dieci quindici anni in relazione alla crisi epocale del sistema partitico della cosiddetta Prima Repubblica e all’insufficiente riallineamento del nuovo sistema partitico. Credevamo, anzi lo credevano alcuni, che questa transizione fosse ormai al termine, invece siamo di nuovo in alto mare. E in realtà lo strumento tecnico di solito è un indice empirico della situazione. Quando si è in mezzo al mare si naviga con quel che si ha.


 

 

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