298 - 05.05.06


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Quali vie per la democrazia musulmana?

Dialogo tra Emma Bonino
e Sergio Romano



Questo articolo è tratto dalla rivista Reset

Democrazia e Medio Oriente. Un rapporto difficile. Due consultazioni politiche confermano la ‘problematicità’ di questo rapporto nell’attuale congiuntura storica: in Egitto, i Fratelli Musulmani si sono confermati come la forza politica di opposizione più rilevante; nei Territori palestinesi, Hamas, il movimento integralista islamico palestinese, ha conquistato la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi del Consiglio legislativo, spazzando via l’influenza politica di Al Fatah, il movimento che era di Yasser Arafat. Perché appena i cittadini del Medio Oriente votano, sono i partiti e i movimenti islamisti a conquistare la maggioranza? Come possiamo aiutare il dialogo interculturale, così indispensabile, come possiamo favorire istituzioni pluraliste nella regione? Reset, in collaborazione con RadioRadicale, ha affrontato questi temi partendo dal paese arabo chiave, l’Egitto, con due interlocutori importanti, Emma Bonino e Sergio Romano.


Reset: Affrontiamo subito il problema di fondo: è possibile «domare» il radicalismo islamista? L’Egitto è il paese chiave del Medio Oriente. I Fratelli Musulmani hanno vinto le recenti elezioni. Iniziamo da qui.

Emma Bonino: La mia lettura è precisa: in Egitto, con grande fatica, si stava cercando di costruire organizzazioni politiche filo-occidentali o comunque più laiche e più moderne (penso in particolare al partito Wafd). Quel tentativo è stato soffocato sul nascere. Il Wafd ha impiegato molti mesi per farsi legalizzare e c’è riuscito solo dopo aver vinto in sede penale, e a quel punto il suo leader è stato immediatamente incarcerato con la motivazione di aver falsificato duemila firme. Nel partito al potere di Hosni Mubarak si era creata una tendenza innovatrice, più giovane, un po’ tecnocrate, che faceva perno sul figlio di Mubarak. Queste due forze, il Wafd e la nuova guardia del Partito nazionaldemocratico, non sono state messe in condizione di fare una campagna elettorale: il Wafd è stato infiltrato, il suo leader è stato in carcere per molto tempo, e poi messo in libertà provvisoria, però sempre sotto accusa e quindi nell’impossibilità totale di organizzare alcunché. La nuova guardia del partito di Mubarak è stata mandata letteralmente allo sbaraglio. Sono state usate tutte le tecniche possibili e immaginabili per non dare chance a nessuno: come sapete si è votato in tre settimane diverse. Per Il Cairo, dove si votava il 9 novembre, i candidati di tutti i partiti sono stati ufficializzati il 29 ottobre. Morale: solo coloro che avevano reti legate al potere o coloro che avevano reti tradizionalmente collegate ai Fratelli Musulmani avevano qualche chance di riuscire. Questo meccanismo ha di fatto costretto molti amici che io conosco personalmente a non tentare neppure la candidatura. Il risultato di tutto questo è stato ovvio: è andato a votare il 20 per cento della popolazione e di questo 20 per cento, il 4 per cento è andato ai Fratelli Musulmani. I quali, peraltro, godono di uno status politico per lo meno bizzarro: dopo gli attentati di Luxor, sono illegali come organizzazione politica però gli esponenti del movimento possono essere candidati formalmente indipendenti. Già nella scorsa legislatura, in una situazione nella quale erano totalmente banditi, erano riusciti ad avere 17 rappresentanti eletti come indipendenti. Tutta questa vicenda, quindi, va letta in modo un po’ più approfondito; oltretutto le elezioni si sono svolte con brogli, le liste elettorali non sono state aggiornate, e, tanto per fare un ultimo esempio, in uno dei distretti del Cairo risultavano iscritti alle liste elettorali 20.000 persone con residenza nello stesso appartamento oppure, poiché la legge prevedeva che si poteva dare come recapito il posto di lavoro, ce ne erano altre migliaia che risultavano lavorare al Ministero del Sudan che, come è noto, è stato abolito.

Reset: I Liberali egiziani, al di là di queste manovre, avevano davvero qualche chance?

Emma Bonino: Ce l’avevano e non a caso sono stati messi in condizione di non fare campagna elettorale. In primo luogo, piaccia o non piaccia, in Egitto esiste una borghesia professionale, anche se piccola e legata al potere. In secondo luogo, è bene sempre ricordare che l’80 per cento non è andato a votare. Il fatto è che il regime voleva, a mio parere, dimostrare la solita tesi: senza di me, ha voluto dire, l’unica alternativa è quella dei Fratelli Musulmani: o me o il caos, o me o gli islamisti. Io invece vedo per l’Egitto un altro tipo di potenzialità.

Reset: Quale è la sua opinione, ambasciatore?

Sergio Romano: Non c’è dubbio che le elezioni egiziane siano state manipolate: ad esempio, i deputati dell’assemblea del popolo sono 444, ai Fratelli Musulmani è stato permesso di presentare le proprie candidature in 140-150 seggi e quando poi si è capito che il risultato al secondo turno sarebbe stato loro molto favorevole, le forze di polizia sono intervenute per impedire che il successo superasse gli 86 seggi. Quindi il tasso di manipolazioni è stato fortissimo. Do quindi una lettura diversa rispetto a quella di Emma Bonino: non dobbiamo dimenticare che l’Egitto è sempre stato, insieme alla Turchia, il termometro di quella regione, o se si preferisce, il laboratorio delle innovazioni. Non per nulla in Egitto è nato il nasserismo, ovvero il movimento che è stato per molto tempo il punto di riferimento del socialismo nazionale del mondo arabo musulmano dopo la decolonizzazione. Nasser è sempre stato il grande modello per il cambiamento della regione. L’Egitto fu il luogo in cui questo avveniva. Quindi, se ora noi vediamo emergere proprio in Egitto una forza politica nuova dobbiamo chiederci se per caso il laboratorio non stia producendo novità diverse da quelle che avevamo immaginato e diverse da quelle che i liberaldemocratici europei desidererebbero. In Egitto c’è una nuova forza politica – manipolazione o non manipolazione – e i Fratelli Musulmani rappresentano un fenomeno molto diverso da quello che c’eravamo aspettati. Un fenomeno che probabilmente abbiamo sottovalutato. Hanno conquistato le moschee; hanno creato attorno luoghi di incontro e luoghi di assistenza sociale; hanno conquistato i sindacati di mestiere e le cooperazioni professionali. È forse paradossale ma è pur sempre fortemente indicativo il fatto che il grande sindacato dei medici abbia alla sua testa proprio i Fratelli Musulmani e che costoro siano riusciti a conquistare queste organizzazioni dall’interno attraverso il voto.
Anche se c’è stato un momento in cui hanno avuto una presenza violenta nella società, in questa particolare fase, la Fratellanza ha ripudiato la violenza. Se vediamo apparire questa forza politica nell’Egitto, vecchio laboratorio di cambiamenti per il mondo arabo musulmano, allora dovremo pur chiederci se tutto questo non faccia parte di un movimento che va capito, che va indirizzato e che va anche accettato. Da questo punto di vista il ruolo della Fratellanza Musulmana andrebbe attentamente seguito anche, e soprattutto, per l’influenza che avrà in altri paesi arabi. Non dimentichiamo che i Fratelli Musulmani sono stati al potere in Giordania, che hanno un rapporto molto stretto con Hamas e che sono dopo tutto il punto di riferimento anche di intellettuali della diaspora come Tariq Ramadan in Svizzera. Insomma, siamo di fronte a un fenomeno importante. Temo che Emma Bonino stia misurando questo fenomeno con gli schemi classici dell’intellighenzia liberaldemocratica europea. Purtroppo le cose non vanno sempre come vorremmo.

Emma Bonino: Voglio sottolineare tre cose. La prima: io concordo che l’Egitto sia un laboratorio e quindi quello che succede è molto importante per i riflessi che può avere nella regione. La seconda: certamente i Fratelli Musulmani sono saliti dal basso. Ritengo però anche che l’Egitto poteva essere un laboratorio altro e diverso e che non lo è stato per una repressione sistematica (molto dura specie negli ultimi mesi e in particolare dopo l’elezione presidenziale) da parte del regime nei confronti di qualunque forza «liberale» o «riformatrice». Credo che si sia voluta imporre o comunque «favorire» una schematizzazione tra la vecchia guardia del regime e i Fratelli Musulmani: penso che questo schema non sia rappresentativo della realtà egiziana, tant’è che l’80 per cento degli egiziani non è andato a votare. Questa schematizzazione rappresenta una scelta ben precisa compiuta da Mubarak perché per il regime è più facile avere a che fare coi Fratelli Musulmani piuttosto che lasciare fiorire una forza innovatrice, perfino se questa forza innovatrice si manifesta all’interno dello stesso Partito nazionaldemocratico del presidente.

Reset: L’impressione è che sia in corso un tentativo di «metabolizzazione» dei Fratelli Musulmani.

Sergio Romano: Una precisazione: dobbiamo ricordare che il numero degli elettori non è la totalità di quelli che hanno raggiunto l’età elettorale. In Egitto vige una regola della registrazione al voto che ha notevolmente contenuto le dimensioni del corpo elettorale, quindi quando si dice che vota una percentuale modesta di un corpo elettorale modesto bisogna stare attenti, perché il corpo elettorale è volutamente modesto. Se poi vogliamo andare avanti con l’analisi, dobbiamo arrivare a un tema fondamentale che non è stato ancora menzionato: la corruzione macroscopica che pervade l’Egitto.

Emma Bonino: Quasi endemica.

Sergio Romano: Certamente. In Egitto non si fa nulla che non sia ricompensato, magari in modo modesto. Questa corruzione macroscopica è un fenomeno spaventosamente inquinante: i Fratelli Musulmani sono emersi come una forza dell’onestà. Io stesso, in Egitto, ho sentito gente, ho parlato con persone, ho discusso con donne di grande intelligenza e di grande autonomia che mi hanno detto: «Io mi metto il velo se questo può servire a mettere un freno a questa enorme corruzione».

Reset: Anche in Palestina, l’«issue corruzione» è stata decisiva per la vittoria di Hamas.

Sergio Romano: Certamente, ma l’Egitto è, se possibile, un caso ancora più grave. È un paese di 70 milioni di abitanti, ha bene o male commercio e industrie: detto in altre parole, è un aereo in pista e potrebbe anche decollare in determinate circostanze e con determinate condizioni. La corruzione è la spaventosa zavorra che lo tiene bloccato alla pista, e questo è sostanzialmente il grande fattore del successo dei Fratelli Musulmani e del resto è stato anche il grande fattore di successo di Hamas in Palestina. Secondo me, tutto questo non viene totalmente compreso da chi si ostina a pensare che gli egiziani avrebbero dovuto percorrere una strada liberaldemocratica all’europea. Assumere un atteggiamento pregiudizialmente negativo nei confronti dei Fratelli Musulmani significa infilarsi in un labirinto da cui è difficile uscire: tra parentesi, questo, secondo me, è il caso degli Stati Uniti i quali si ostinano a non capire ciò che è Hamas.

Reset: I Fratelli Musulmani sono una forza che potrebbe essere diciamo così «potabile» dal punto di vista democratico o no?

Emma Bonino: C’è una spinta in questo senso da parte di alcuni esponenti dei Fratelli e da parte di numerosi intellettuali. Costoro sostengono la tesi di una democrazia cristiana-musulmana. Per questo motivo c’è grande interesse circa l’esempio turco del partito di Erdogan o del partito islamista marocchino di opposizione, che da quando è stato legalizzato sta giocando le carte del gioco democratico. Io ho sempre visto un grande interesse a capire la Democrazia Cristiana italiana e la Cdu tedesca. Nella leadership della Fratellanza ci sono esponenti estremisti, ma ci sono altri esponenti, ad esempio Hassan Alban, che si interessano al modello Dc. Credo che queste voci andrebbero ascoltate, garantendo spazi legittimi di azione politica. Oltretutto, ciò forse può produrre una spaccatura al loro interno, che può essere però sana. Invece qui rischiamo di avere 80 fratelli musulmani eletti con una organizzazione politica non riconosciuta e quindi senza regole effettive. Darsi delle regole sarebbe importante per i Fratelli Musulmani e implicherebbe un importante processo analogo anche per il Partito nazionaldemocratico di Mubarak.

Reset: Ricordiamo che in Turchia c’è un partito, quello di Erdogan, che in qualche modo cerca di giocare una partita da Democrazia Cristiana del mondo musulmano. Ricordiamo anche che c’è una differenza importante tra l’Egitto e la Turchia, perché quest’ultima è stata modernizzata dalle riforme di Ataturk che in Egitto non sono mai avvenute. Ma ritorniamo alla questione corruzione, che ci sembra essenziale per capire il successo degli integralisti in Egitto e in Palestina.

Sergio Romano: Sì, infatti, quasi contemporaneamente alle elezioni in Egitto ci sono state le elezioni in Palestina e anche qui ha vinto Hamas: il tema della lotta alla corruzione è stato centrale più della shari’a o delle questioni di carattere direttamente confessionale. A questo punto la comunità internazionale, in particolare le democrazie occidentali, hanno un bel problema che non è di medio periodo, ma immediato: che fare con Hamas?

Emma Bonino: Hamas, secondo me, è sempre stato più nazionalista che fondamentalista ed ora ha vinto le elezioni su una piattaforma di «riforme» piuttosto che di «vendetta»; ha vinto anche per il discredito totale di Al Fatah e di una autorità palestinese molto legata alla corruzione. Oltretutto, diversamente dall’Egitto, le elezioni in Palestina sono state molto meno violente, manipolate o truccate. Penso che Hamas sia riconosciuto se è stato eletto, ma il problema è decidere quale dovrà essere il nostro atteggiamento al riguardo. I primi passi dell’Europa – sostegno economico senza richieste e senza contropartite – mi sembrano nella direzione sbagliata: io penso che sarebbe importante dire che l’Europa non intende comportarsi con Hamas come si era comportata con Arafat e Al Fatah. Temo che l’Europa sia – come dire? – sotto il «ricatto» che alcuni di Hamas hanno fatto trapelare sulla stampa andando a Bruxelles: o ci finanzia l’Europa o andremo a battere cassa a Teheran. Io credo che non è né saggio né prudente accettare questo ricatto. Penso che sia assolutamente possibile un’azione di spiegazione pubblica ai cittadini e ai palestinesi e non solo nel chiuso della delegazione di Hamas che stava a Bruxelles. Purtroppo credo che l’Europa invece continuerà con il sostegno a pioggia.

Sergio Romano: È giusto fare un parallelo tra la Fratellanza Musulmana e Hamas, fra il ruolo dei Fratelli Musulmani in Egitto e quello di Hamas in Palestina. I Fratelli Musulmani sono ritornati alla superficie nel momento in cui Sadat li utilizzò contro i socialisti nasseriani. Hamas, da parte sua, è nato nel 1987 quando gli israeliani incoraggiarono un movimento che ritenevano potesse essere utile per meglio combattere Arafat con il risultato che poi sappiamo. Perché Hamas ha avuto questo successo? Prima di tutto c’è, lo abbiamo già ricordato, la grande corruzione del sistema di Al Fatah (e qui siamo su un piano simile a quello egiziano); poi c’è, e non lo possiamo dimenticare, il fatto che l’operazione politica del presidente dell’ANP è fallita. Il presidente palestinese non ha avuto nulla da portare di fronte ai cittadini palestinesi al momento delle elezioni; gli israeliani non gli hanno permesso di vantarsi di nulla e anzi hanno perseguito una politica unilaterale che mirava apparentemente alla creazione di uno Stato palestinese, ma che in realtà si proponeva la creazione di una casa disgiunta in cui collocare 5 milioni di palestinesi: al cui proprietario, però, non sarebbe mai stata concessa la chiave della porta di casa. Questo era il grande disegno di Sharon ed è abbastanza paradossale che suo il disegno sia stato considerato positivo in Occidente. Sharon aveva semplicemente un problema demografico di 5 milioni di israeliani contro 4-5 milioni di palestinesi. Possono tenerseli a casa? Possono perpetuare una situazione in cui 4 milioni di palestinesi rappresentano una responsabilità diretta del governo di Gerusalemme? No, non è immaginabile ed allora l’ipotesi era quella di creare una casa per i palestinesi in cui sistemarli. Ma questa casa non ha un cielo, perché lo spazio aereo non lo possono controllare, non ha un mare perché lo spazio marittimo non è loro, non ha frontiere loro perché sono controllate dagli israeliani; persino la Cisgiordania presenta caratteristiche di Stato condominiale nel senso che vi saranno pur sempre dei grandi raggruppamenti di colonie israeliane. In questa situazione la strategia del presidente palestinese è fallita perché, come dicevo, non portava assolutamente a nulla. Sul fallimento della strategia del presidente è nato il voto per Hamas.

Reset: Abbiamo cominciato parlando di Egitto, finiamo parlando di Israele e Palestina. Il nesso ovviamente c’è ma la domanda è questa: è possibile che l’evoluzione che auspichiamo in direzione di una modernizzazione dei paesi musulmani arabi possa avvenire addestrandosi a convivere con l’irrisolta questione di Israele e Palestina?

Emma Bonino: Il conflitto fra Israele e Palestina è un problema grave, ma non può essere usato come alibi per tutto quello che succede in quella regione. Devo dire che questa è una sensazione anche di molti paesi, i paesi del Golfo, il Marocco o la Tunisia, i quali in sedi ormai ufficiali cominciano a dire che la crisi fra Israele e Palestina non è e non può essere un alibi per quello che succede nella regione. Voglio solo dire all’ambasciatore Romano che io non sono affatto convinta che il problema sia tutto dalla parte di Israele.

Sergio Romano: Io credo che non ci sia soltanto la questione palestinese: c’è uno stato di disagio del mondo arabo musulmano dovuto a molte altre ragioni. Per esempio dovuto alle grandi modernizzazioni fallite degli anni Settanta e Ottanta. Noi dobbiamo lavorare perché si crei una democrazia islamica senza far dipendere tutto questo dalla soluzione del problema palestinese, anche se credo che esso fornisca per così dire munizioni alla santa barbara del nazionalismo islamico frustrato che potrà far leva sulla politica israeliana per poter giustificare cose che non dovrebbero essere giustificate. Mi consenta una ultimissima osservazione: noi dobbiamo lavorare per la democrazia musulmana, ma senza pensare che essa debba essere necessariamente quella che è attecchita da noi. La nostra democrazia è il risultato di un processo storico dalle libere città del medioevo fino alla nascita del concetto di cittadinanza con la Rivoluzione francese. In Medio Oriente non possono importare un modello preconfezionato senza avere percorso quelle tappe o avendone percorse altre. Ricordo solo che le elezioni irachene sono state sostanzialmente un censimento perché nessuno ha votato come cittadino ma come membro di una comunità. Qualche cosa del genere accade in quasi tutte le società musulmane mediorientali dove il concetto di famiglia allargata o di clan o addirittura di tribù è ancora un pilastro fondamentale.
(a cura di Claudio Landi)


 

 

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