Tratto
da Il
Secolo XIX
La scena delle bandiere bruciate,e dell’intolleranza
andata in onda martedì 25 aprile a Milano, non
dice molto di nuovo, certo di fischi non è morto
mai nessuno, ma il problema in sé non sono né
i fischi, né il rito del fuoco “purificatore”
(anche se il mito del fuoco che purifica ha a poco a
che fare con la storia della sinistra, ne ha invece
e moltissimo con quello della destra e del KKK americano).
Il problema su cui vorrei seriamente invitare a riflettere
è il seguente. Nelle scorse settimane sono avvenute
nell’ordine le seguenti scene:
Lunedì 17 aprile un attentato scuote la città
di Tel Aviv;
un secondo attentato il 24 aprile a Dahab nel Sinai;
ancora lunedì 24 aprile il presidente iraniano
Ahmadinejad proclama che il suo obiettivo è l’eliminazione
dello Stato di Israele e sollecita una unità
complessiva degli islamici a eliminare fisicamente i
suoi abitanti o rispedirli ai loro paesi di provenienza
(forse più correttamente bisognerebbe dire di
origine visto che circa il 70 % della popolazione israeliana
attuale è nato lì). Israele - dice il
presidente iraniano - è il prezzo fatto pagare
agli arabi del senso di colpa dell’antisemitismo
degli europei. Ahamadinejad, com’è noto,
invece è un dichiarato amico degli ebrei.
Com’è che a sinistra solo la vista di una
stella a sei punte provoca una reazione automatica mentre
di fronte ai fatti che abbiamo citato la reazione è
stata “dialettica”? Molti sostengono che
la sinistra italiana è in parte affetta di antisemitismo.
Non credo che ci sia un antisemitismo teorico, credo
invece che ci siano due aspetti con cui la sinistra
deve misurarsi.
1) Sguardo paternalistico da parte della sinistra nei
confronti di tutto ciò che esprime un vago terzo
mondo. In breve se un individuo si fa saltare a Tel
Aviv o a Dahab il fatto sarà deprecabile, disdicevole,
ma certo ci sono ragioni che lo hanno motivato. E queste
sono riconducibili al suo avversario. Dunque “lo
scandalo” è costituito dal suo nemico,
il vero responsabile della sua decisione.
2) Sostiene a ragione Wlodek Goldkorn, responsabile
culturale de “l’Espresso”, che la
sinistra oltre al paternalismo, è affascinata
dal mondo “lontano” e da una società
ordinata e comunitaria, un fascino che esprime nostalgia
verso qualcosa che si è perduto e che nel mondo
lontano si crede ancora conservato e autentico. Alla
fine, dunque, ciò che emerge è il disagio
– per non dire l’avversione – contro
il radicalismo democratico, la sfida dell’individualità.
Dietro la diffidenza e la scarsa simpatia che Israele
gode nella sinistra italiana, una volta superato il
proprio il senso di colpa, insomma pagato il ticket
d’obbligo nei confronti della memoria, è
l’Antiamerica che torna a prima fila. Vecchio
vizio della sinistra, a dispetto di Veltroni.
Quello delle bandiere bruciate forse è un incidente
di percorso. Ma non servirà considerarlo tale.
E’ invece il segno di una cultura radicata in
profondità. L’immagine non è quella
dell’ antisemitismo tradizionale. Dietro l’angolo
non c’è né il pogrom, né
lo sterminio. C’è, invece, il rifiuto dello
straniero e allo stesso tempo il fascino dell’esotico.
La sinistra ha una sfida dentro se stessa ed è
la modernità. Fare dichiarazioni di condanna
è importante, ma non saranno due parole in un
comunicato a risolvere e a dichiarare acquisito un passaggio
culturale che è in gran parte ancora da compiere.
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