297 - 14.03.06


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Da fuori misero
la parola fine

Giancarlo Bosetti



Parlavamo qui del Capo di Buona Speranza e del fatto che il nome di quel mitico promontorio si è alternato in varie fasi a quello di Cabo da Tormentas, Capo delle Tempeste. In effetti la flotta dell’Unione ha rischiato di andare a sfracellarsi sugli scogli fino all’ultimo momento. Cosa che nessuno si aspettava fino al giorno prima, nessuno, neanche gli alleati di Berlusconi, che avevano già cominciato a ragionare (da diverso tempo) come se la sconfitta del loro premier fosse del tutto inevitabile. Nel cuore della notte la Camera finiva per 25mila voti all’Unione, ma era una festa molto dimezzata. Nuvole nere incombevano su Prodi, nonostante gli sforzi di sorridere in segno di vittoria, perché l’altra Camera sembrava dare una maggioranza risicata alla Casa delle Libertà. Solo con il sole della mattina dalla flotta si poteva alzare lo sguardo e vedere gli scogli lontani e il mare placato.

Non era in gioco la possibilità di governare bene per cinque anni (che rimane problematica), era in gioco molto di più: la parola fine sul governo di Berlusconi e sul suo ciclo. Un obiettivo che aveva, per la coalizione e anche nell’animo di metà degli italiani, un significato particolare e, in fin dei conti, un carattere di priorità: fare un passo verso la normalità, verso una salutare normalità democratica che consenta di vincere o perdere senza troppe angoscie e che riconduca la politica a una sua dimensione meno oppressiva e invadente. Un passo che ha bisogno dell’uscita di scena di Berlusconi.
Il sole del mattino avanzato, quello delle 11 e 30, ha portato la sicurezza che i seggi del Senato dell’estero daranno la maggioranza anche nell’altra Camera al centrosinistra. A questo punto anche Berlusconi si arrenderà e riconoscerà di avere perso le elezioni. Il resto sarà cronaca politica ordinaria: i riti dell’insediamento, la formazione del governo, le presidenze delle camere. Ma il punto che viene fissato oggi sui registri della cronologia storica è: fine del governo di Berlusconi. Punto e a capo.

Adesso comincia un’altra storia, quella del governo del centrosinistra, di cui nessuno potrà nascondere quanto sia complicata. Ma almeno nella prima fase sarà la storia di un governo che realizza un compito importante, rilevante per noi e rilevante per il posto dell’Italia nel mondo: portarci fuori dalla boscaglia del conflitto di interessi, delle battaglie personali con la giustizia, delle leggi ad personam in difesa di interessi incrociati con l’edificio del potere del premier uscente. Quando le distanze numeriche si fanno così piccole non riusciamo a non pensare che anche la fortuna abbia la sua parte. In qualche maniera rocambolesca Prodi ha avuto fortuna, anche questa volta. E la fortuna non è l’ultimo dei fattori della sua bella storia personale. La qual cosa – Machiavelli docet – non può certo considerarsi un difetto.

Ma nella fortuna c’è anche una lezioncina che vale la pena di ricordare. Lo dico soprattutto per i miei amici italiani sparsi per il mondo,
- per quelli che hanno visto in televisione le figuracce del Cavaliere che sono state censurate in patria,
- per quelli che sanno che l’Economist, il Financial Times, il New York Times, la Zeit, la Sueddeutsche, la Frankfurter non sono controllati dai comunisti,
- per quelli che hanno continuato a scandalizzarsi per il conflitto di interessi come qui abbiamo smesso di fare perché sfiniti dall’inefficacia della nostra indignazione,
- per quelli hai quali ho spiegato migliaia di volte che gli argomenti liberali standard non avevano più efficacia in Italia perché venivano inquadrati nella categoria dell’“astio”,
- per quelli che non capivano (e tuttora non capiscono come ciò accada) che gli italiani sono (almeno per metà) insensibili alle obiezioni sul monopolio televisivo e alle intemperanze di ogni genere contro i giudici o gli industriali antipatici,
- per quelli che sanno che fuori del Tg1 e del Tg5 esistono altri mondi, impensabili e impensati fuori dalle fabbriche di notizie “nostrali” di Mimun e Rossella e fuori dei loro “panini”.

Ebbene per tutti noi c’è la lezioncina. E per loro, gli amici là fuori, un risarcimento insperato. Ed è questa: il voto determinante degli italiani all’estero ha consegnato il potere di decretare la fine del governo di Berlusconi a coloro che, minoranza graziata dalla distanza, sono al di fuori della presa del monopolio televisivo nazionale e respirano la stessa aria di altri paesi dove quelle reazioni standard ancora funzionano. L’astuzia della storia ha finito, attraverso una sorprendente e miracolosa peripezia, per far condannare Berlusconi da quella stampa di élite di paesi stranieri che comprensibilmente, ricambiata, lo detesta. Ha vinto l’Economist. Ebbene sì. E pensare che la legge sul voto degli italiani all’estero, che fa irruzione per la prima volta sulla scena, è figlia per buona parte della destra, che aveva lì un serbatoio di amor patrio. Gente che ama la patria ma è fuori, purtroppo per il Cavaliere, dal suo raggio d’azione. Mirko Tremaglia, insieme a Schulz, a Bill Emmott, hanno scritto la parola fine sul governo del Cavaliere.

 

 


 

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