Parlavamo
qui del Capo di Buona Speranza e del fatto che il nome
di quel mitico promontorio si è alternato in
varie fasi a quello di Cabo da Tormentas, Capo delle
Tempeste. In effetti la flotta dell’Unione ha
rischiato di andare a sfracellarsi sugli scogli fino
all’ultimo momento. Cosa che nessuno si aspettava
fino al giorno prima, nessuno, neanche gli alleati di
Berlusconi, che avevano già cominciato a ragionare
(da diverso tempo) come se la sconfitta del loro premier
fosse del tutto inevitabile. Nel cuore della notte la
Camera finiva per 25mila voti all’Unione, ma era
una festa molto dimezzata. Nuvole nere incombevano su
Prodi, nonostante gli sforzi di sorridere in segno di
vittoria, perché l’altra Camera sembrava
dare una maggioranza risicata alla Casa delle Libertà.
Solo con il sole della mattina dalla flotta si poteva
alzare lo sguardo e vedere gli scogli lontani e il mare
placato.
Non era in gioco la possibilità di governare
bene per cinque anni (che rimane problematica), era
in gioco molto di più: la parola fine sul governo
di Berlusconi e sul suo ciclo. Un obiettivo che aveva,
per la coalizione e anche nell’animo di metà
degli italiani, un significato particolare e, in fin
dei conti, un carattere di priorità: fare un
passo verso la normalità, verso una salutare
normalità democratica che consenta di vincere
o perdere senza troppe angoscie e che riconduca la politica
a una sua dimensione meno oppressiva e invadente. Un
passo che ha bisogno dell’uscita di scena di Berlusconi.
Il sole del mattino avanzato, quello delle 11 e 30,
ha portato la sicurezza che i seggi del Senato dell’estero
daranno la maggioranza anche nell’altra Camera
al centrosinistra. A questo punto anche Berlusconi si
arrenderà e riconoscerà di avere perso
le elezioni. Il resto sarà cronaca politica ordinaria:
i riti dell’insediamento, la formazione del governo,
le presidenze delle camere. Ma il punto che viene fissato
oggi sui registri della cronologia storica è:
fine del governo di Berlusconi. Punto e a capo.
Adesso comincia un’altra storia, quella del governo
del centrosinistra, di cui nessuno potrà nascondere
quanto sia complicata. Ma almeno nella prima fase sarà
la storia di un governo che realizza un compito importante,
rilevante per noi e rilevante per il posto dell’Italia
nel mondo: portarci fuori dalla boscaglia del conflitto
di interessi, delle battaglie personali con la giustizia,
delle leggi ad personam in difesa di interessi incrociati
con l’edificio del potere del premier uscente.
Quando le distanze numeriche si fanno così piccole
non riusciamo a non pensare che anche la fortuna abbia
la sua parte. In qualche maniera rocambolesca Prodi
ha avuto fortuna, anche questa volta. E la fortuna non
è l’ultimo dei fattori della sua bella
storia personale. La qual cosa – Machiavelli docet
– non può certo considerarsi un difetto.
Ma nella fortuna c’è anche una lezioncina
che vale la pena di ricordare. Lo dico soprattutto per
i miei amici italiani sparsi per il mondo,
- per quelli che hanno visto in televisione le figuracce
del Cavaliere che sono state censurate in patria,
- per quelli che sanno che l’Economist, il Financial
Times, il New York Times, la Zeit, la Sueddeutsche,
la Frankfurter non sono controllati dai comunisti,
- per quelli che hanno continuato a scandalizzarsi per
il conflitto di interessi come qui abbiamo smesso di
fare perché sfiniti dall’inefficacia della
nostra indignazione,
- per quelli hai quali ho spiegato migliaia di volte
che gli argomenti liberali standard non avevano più
efficacia in Italia perché venivano inquadrati
nella categoria dell’“astio”,
- per quelli che non capivano (e tuttora non capiscono
come ciò accada) che gli italiani sono (almeno
per metà) insensibili alle obiezioni sul monopolio
televisivo e alle intemperanze di ogni genere contro
i giudici o gli industriali antipatici,
- per quelli che sanno che fuori del Tg1 e del Tg5 esistono
altri mondi, impensabili e impensati fuori dalle fabbriche
di notizie “nostrali” di Mimun e Rossella
e fuori dei loro “panini”.
Ebbene per tutti noi c’è la lezioncina.
E per loro, gli amici là fuori, un risarcimento
insperato. Ed è questa: il voto determinante
degli italiani all’estero ha consegnato il potere
di decretare la fine del governo di Berlusconi a coloro
che, minoranza graziata dalla distanza, sono al di fuori
della presa del monopolio televisivo nazionale e respirano
la stessa aria di altri paesi dove quelle reazioni standard
ancora funzionano. L’astuzia della storia ha finito,
attraverso una sorprendente e miracolosa peripezia,
per far condannare Berlusconi da quella stampa di élite
di paesi stranieri che comprensibilmente, ricambiata,
lo detesta. Ha vinto l’Economist. Ebbene sì.
E pensare che la legge sul voto degli italiani all’estero,
che fa irruzione per la prima volta sulla scena, è
figlia per buona parte della destra, che aveva lì
un serbatoio di amor patrio. Gente che ama la patria
ma è fuori, purtroppo per il Cavaliere, dal suo
raggio d’azione. Mirko Tremaglia, insieme a Schulz,
a Bill Emmott, hanno scritto la parola fine sul governo
del Cavaliere.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|