Alle elezioni
politiche dello scorso novembre, gli Ikhwan muslimun,
i Fratelli musulmani, hanno raggiunto un successo inatteso,
ottenendo 88 seggi nell’Assemblea popolare, la
Camera bassa del Parlamento egiziano composta da 454
membri. A tre mesi dalla vittoria, il movimento continua
a stupire, proponendo una piattaforma politica degna
di una destra liberale europea. Tempi duri per i falchi
del movimento, formalmente ancora illegale nel paese.
Caffeeuropa ne ha parlato con Mohammed Habib,
vice presidente della Fratellanza e punta di diamante
della corrente moderata.
“Democrazia, separazione fra Stato e religione,
modifica della Costituzione, riforma del sistema scolastico
e lavorativo, tutela dell’ambiente”. Dalla
sede degli Ikhwan muslimun a Manial Arroda, al Cairo,
Mohammed Habib, numero due della Fratellanza musulmana
in Egitto, snocciola i punti dell’agenda politica
degli 88 deputati usciti vittoriosi dallo scrutinio
di novembre - una piattaforma rimasta a lungo nascosta,
all’ombra dello slogan ‘L’Islam è
la soluzione’ – e traccia un primo bilancio
dell’attività svolta in Parlamento dall’inizio
della nuova legislatura. Fermo, lineare nel pensiero
e ‘pulito’ nel linguaggio, Habib rappresenta
quella corrente moderata che sembra ormai aver preso
le redini del movimento. Ingegnere, docente universitario
e studioso di islamologia, dosa con parsimonia l’arabo
classico – coranico – e quello egiziano,
consapevole di rappresentare “tutti, il contadino
come l’insegnante, l’operaio come l’avvocato”.
Ma dove è finito il sogno di una nazione egiziana
islamica, “regolata dalla sharia” (la legge
coranica), invocato anche di recente dalla guida suprema
degli Ikhwan, Mohammed Madi Akif? Quale sia la vera
natura del movimento è il dilemma che affligge
osservatori politici e media, tutti in attesa di un
passo falso, di un segno che ne tradisca la natura ‘sulfurea’:
stretti fra le diffidenze internazionali e la rinnovata
ostilità della maggioranza, i Fratelli musulmani
sanno di essere al centro del palcoscenico. All’orizzonte
il dopo Mubarak, ormai alle porte, in cui il movimento
intende giocare un ruolo di primo piano. Ora, tuttavia,
è il tempo della prudenza e dell’umiltà,
anche perché ufficialmente il movimento è
ancora illegale, sebbene tollerato: “La presenza
di 88 deputati non cambia la natura dell’Assemblea
– premette Habib – non ci aspettiamo di
modificare il volto del paese con facilità. Al
momento possiamo solo premere sul governo, migliorare
il clima politico e riottenere la fiducia della gente
anche la prossima volta”.
La cronaca parlamentare di questi primi tre mesi, tuttavia,
racconta tutta un’altra storia, all’insegna
dell’audacia. E’ del 13 marzo la presentazione
di una proposta di legge a favore del pluralismo politico
(Bill of the movement, articolato in 19 punti), cui
ha fatto seguito un disegno di legge per la libertà
d’espressione. Temi di attualità scottante
in un paese in cui i leader dell’opposizione,
i giornalisti e i giudici avversi al regime continuano
ad essere incarcerati. Alle due bozze si aggiunge l’incalzante
richiesta di informazioni circa le misure prese dal
governo contro il virus H5N1, responsabile dell’influenza
aviaria, e le indagini sulla tragedia del traghetto
Salam nel Mar Rosso. In Parlamento, lo scontro è
continuo: “Il sistema è spaventato e reagisce
con una nuova ondata di arresti, chiudendo i mezzi di
stampa vicini al movimento, cancellando la trasmissione
delle sedute dalla Camera, cosa mai accaduta prima.
La tensione è palpabile”.
Dalla sua, “la Fratellanza ha la diffusione sul
territorio e il riconoscimento nella società
- spiega il vice presidente - Non si può dire
lo stesso per gli altri partiti dell’opposizione,
che non hanno valore. Quei pochi che avevano le carte
in regola si sono sgretolati dall’interno, come
Al Wafd, Al Taggamu, Al Ghad” (il cui leader,
Ayman Nour, è in carcere dallo scorso 24 dicembre,
ndr).
Niente di nuovo. Un déjà-vu che non cancella
la verità dei fatti: i Fratelli musulmani rappresentano
oggi l’unica vera alternativa al regime quasi
trentennale di Hosni Mubarak. “Noi vogliamo cambiare
pacificamente il potere, in una democrazia il potere
è nelle mani della gente, non in quelle di un
partito unico”, prosegue Habib, definendo apertamente
la forza di maggioranza, il Partito nazionale democratico
(Ndp), “una creatura rampicante che soffoca lo
Stato”. Il primo passo per allentarne la presa
è “l’abolizione delle leggi d’emergenza”,
entrate in vigore nel 1981.
Se la Fratellanza non avesse chiesto a gran voce ripercussioni
contro i prodotti danesi, in seguito all’affaire
delle ‘12 vignette blasfeme’, in questo
primo scorcio di 2006 ci si sarebbe potuti dimenticare
del Dna islamico del Gruppo degli 88, così etichettato
da chi non ne riconosce la natura di vero e proprio
partito. “Gli Ikhwan egiziani non puntano alla
formazione di uno Stato religioso”, risponde alla
provocazione Habib sgranando gli occhi e insinuando
un dubbio nell’interlocutore: e se fosse copto?
Tempo un secondo, la domanda svanisce nell’aria:
“E’ giusto però che i legislatori
abbiano presente che cosa è bene e che cosa è
male secondo l’Islam. Ma non è come si
pensa in Occidente, niente a che vedere con il vostro
Medioevo”.
Poi il paradosso: “Un governo musulmano laico”.
Segue immediata la precisazione: “Nell’ipotesi
lontana di raggiungere la maggioranza, le cariche dello
Stato non saranno ricoperte da leader religiosi”.
E la minoranza cristiana copta (circa 8 milioni di egiziani,
ndr) non ha niente da temere: “Musulmani e copti
sono come le fibre di un tessuto robusto”. Il
braccio politico di un movimento musulmano integralista
alla guida di uno Stato laico, dunque. Hamas potrebbe
aprire la via. Risponde l’ingegnere: “Il
legame è forte, ci sentiamo, loro ci consultano,
e viceversa. Così come con gli altri Fratelli
musulmani nel mondo. Ma siamo corpi differenti, le decisioni
sono autonome”. Dopo il successo elettorale conseguito
a breve distanza, Ikhwan muslimun e Hamas sono più
che mai sotto la lente d’ingrandimento della comunità
internazionale. Habib non si fa illusioni sulle elezioni
israeliane: “Se non uguale a Sharon, il nuovo
premier non sarà certo meno di lui”.
Quanto al rapporto con l’Occidente, non usa mezzi
termini: “C’è differenza fra americani
ed europei, ma l’Unione europea è influenzata
nei propri giudizi dall’alleato statunitense.
Sia chiaro che il rapporto forte-debole, alto-basso
non ci sta bene”.
Totale il supporto all’Iran: “Hanno diritto
ad avere l’energia nucleare per lo sviluppo del
paese. Non solo: è necessario per ripristinare
un equilibrio, come quello fra Pakistan e India. Meglio
la Guerra fredda che un solo Stato che viola qualsiasi
legge”.
Il terreno è insidioso, meglio rimanerne alla
larga per ritornare su quello nazionale. Habib insiste:
“Con Mubarak o il figlio, per noi questo non è
il clima giusto per un riconoscimento politico. La gente
stessa è immobile, manca la volontà per
cambiare davvero le cose”. Per ridare energia
al cambiamento, sostengono in molti, i Fratelli hanno
pagato. Giudici compiacenti, osservatori elettorali,
infine voti. Si parla di fondi pari a un milione di
dollari. Habib allarga le braccia, mostra l’arredamento
sobrio del proprio ufficio e sorride. “Famosi,
ma non ricchi”, conclude poi citando un detto
locale.
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