Il 28 marzo
gli israeliani si sono recati alle urne nella speranza
di risolvere il conflitto israelo-palestinese una volta
per tutte. Tanto aveva promesso il nuovo partito politico
Kadima, che in ebraico vuol dire “avanti”
vincendo di conseguenza le elezioni, mentre i partiti
di governo storici, il Labor e il Likud, perdevano il
loro tradizionale posto di comando.
Benché il confortante discorso sulla giustizia
sociale introdotto dal nuovo leader del Labor, Amir
Peretz, leader del sindacato di origini marocchine,
abbia iniettato energia nel partito in frantumi, non
è riuscito a ottenere il sostegno di quanti sperava.
La posizione di Peretz riguardo il conflitto israelo-palestinese
è stata giustamente giudicata incoerente e sembra
anche che molti degli elettori laburisti storici ashkenaziti
(originari dell’Europa) abbiano disertato le fila
del partito perché contrari ad essere guidati
da un ebreo mizrahi (il termine viene usato
per indicare gli ebrei di origini arabo-orientale, ndt).
La situazione del Likud è assai peggiore. In
seguito alla creazione di Kadima, il Likud ha perso
quasi il 75% del proprio elettorato non ultimo per il
fatto di essersi sempre più caratterizzato come
un partito estremista che rappresenta l’ideologia
intransigente dei coloni. Forse uno tra gli elementi
che hanno pesato di più in questa sceltaè
che, durante il suo mandato di Ministro della Finanza,
Binyamin Netanyahu ha introdotto politiche tatcheriane
impopolari che hanno spinto centinaia di migliaia di
ebrei al di sotto della soglia di povertà. Dopo
gli umilianti risultati delle elezioni – in cui
il Likud ha conquistato meno del 10% dei seggi del Knesset
ed è retrocesso a quinto partito – molti
credono che Netanyahu dovrebbe dimettersi.
Anche se l’estrema destra ha perso molti seggi,
il partito di Avigdor Liberman, Ysrael Beiteinu (Israele
è la nostra patria), ha ottenuto 12 seggi, 4
volte più di quanti ne aveva vinti nelle scorse
elezioni. Si tratta di uno sviluppo preoccupante dal
momento che Liberman è la versione israeliana
del francese Jean Marie Le Pen, un politico astuto che
incanta gli elettori di destra invocando sentimenti
atavici che richiamano il sangue e il territorio ebraico.
Comunque se Liberman può aver rappresentato
la sorpresa di queste elezioni, Kadima, ottenendo 28
seggi, è stato il partito vincitore. L’ascesa
fulminea di Kadima è dovuta, in parte, a un desiderio
profondo di avere un partito centrista in grado di risolvere
il conflitto israelo-palestinese. Mentre il partito
ha assai poco da dire riguardo agli altri malesseri
sociali del Paese, la coraggiosa dichiarazione di Ehud
Olmert secondo cui Kadima determinerà in maniera
unilaterale i confini internazionali di Israele è
uno dei segreti che si celano dietro questo notevole
risultato.
E’ stato, in realtà, il fondatore del
partito, un uomo che attualmente è in coma, a
riuscire a convincere l’opinione pubblica che
Kadima avrebbe fatto scomparire il problema palestinese.
Nelle settimane precedenti alle elezioni Kadima ha semplicemente
sfruttato la promessa di Ariel Sharon e gran parte del
sostegno di cui il partito gode riflette l’enorme
rispetto che molti israeliani nutrono per l’ex
primo ministro.
Kadima aveva un messaggio diretto e l’opinione
pubblica israeliana l’ha bevuto. La forza della
sua rivendicazione è che esiste una contraddizione
tra le aspirazioni geografiche e quelle demografiche
di Israele: man mano che il progetto colonico è
andato rafforzando la propria presa sui Territori Occupati,
l’idea stessa di Israele come Stato ebraico in
cui gli ebrei rappresentano la maggioranza è
andata indebolendosi. In altre parole, il fatto che
la maggioranza delle persone che vivono tra la Valle
del Giordano e il Mar Mediterraneo non siano ebree sottolinea
l’impossibilità di portare a compimento
il progetto di uno Stato israeliano più esteso
che mantenga, allo stesso tempo, un’identità
ebraica.
L’idea del partito è di ridisegnare unilateralmente
i confini tra Israele e i territori palestinesi alterando
così in maniera radicale la realtà demografica
e geografica della regione. Il ritiro dalla Striscia
di Gaza della scorsa estate ha rappresentato la prima
fase del piano. Sia in Israele che nella comunità
internazionale, questa mossa è stata considerata
un passo positivo verso la risoluzione del conflitto.
Pochi sono sembrati preoccuparsi del fatto che fosse
stata eseguita unilateralmente e che la nuova realtà
limitasse ancora di più gli abitanti di Gaza
in termini di risorse, mobilità e potere decisionale.
In una recente intervista rilasciata ad Ha’aretz,
Olmert ha delineato la prossima fase del piano spiegando
che la cosiddetta barriera di sicurezza di Sharon diventerà
il nuovo confine politico di Israele. Tuttavia non è
riuscito a spiegare cosa comporterà esattamente
la conversione della barriera di sicurezza in confine
politico.
Dal punto di vista demografico, la barriera circonderà
da est 48 colonie ebraiche, di modo che 171000 coloni
della Cisgiordania verranno incorporati all’interno
dei nuovi confini israeliani. Il muro in costruzione
a Gerusalemme Est è volto a consolidare l’annessione
di questa parte della città risalente al 1967
e a rafforzare ulteriormente i 183800 coloni che vi
abitano. In questo modo il governo non dovrà
evacuare l’87% dei coloni che vivono ora nella
Cisgiordania e gli ebrei avranno una netta maggioranza
all’interno dei confini israeliani, unilateralmente
definiti. Il prezzo che Israele dovrà pagare
per questa soluzione è l’evacuazione di
52000 coloni.
Dal punto di vista geografico, tuttavia, la barriera
in quanto confine politico (che comprende il progetto
di Israele di conservare il controllo sulla valle del
Giordano) non ricorda nessuna delle due visioni tradizionali
della pace: né la soluzione dei due Stati né
quella di una politica bi-nazionale.
Un esame della linea della barriera rivela che il futuro
“Stato” palestinese sarà diviso in
3 se non 5 aree (compresa Gaza). Ogni area sarà
quasi interamente inaccessibile dalle altre, mentre
Israele continuerà effettivamente a controllare
tutti i confini in modo da poter imporre una chiusura
ermetica tutte le volte che vorrà. La novità
del progetto di Kadima non è il tentativo di
creare enclave isolate nei Territori Occupati, quanto
piuttosto lo sforzo di trasformarle in entità
quasi-indipendenti con il pretesto di costituire uno
Stato palestinese.
Analizzando la formazione del nuovo Knesset, sembra
che un numero compreso tra i 65 e gli 85 membri su 120
sosterranno la proposta di Olmert. La brillantezza del
piano politico di Kadima è che esso risolve il
problema demografico di Israele e presenta la propria
soluzione come l’opzione dei due Stati, noncurante
del fatto che questa sarà la prima volta nella
storia che un cosiddetto “Stato indipendente”
non avrà alcun potere sui propri confini. In
effetti, il piano di Kadima tralascia il fatto che Israele
continuerà a controllare i palestinesi le cui
condizioni di vita verranno ulteriormente limitate.
I metodi di controllo, comunque, dovranno essere esercitati
a maggiore distanza e dovranno essere più sofisticati
dal punto di vista tecnologico ricorrendo alla biometria,
alle videocamere, ai robot e alla sorveglianza aerea.
A loro volta, i palestinesi utilizzeranno senza dubbio
tutti i mezzi a loro disposizione per resistere al tentativo
israeliano di trasformare la Cisgiordania e Gaza in
un Bantustan controllato a distanza. Di conseguenza,
non sorprenderebbe se il piano di Olmert dovesse finire
per incontrare i missili Qassam lanciati dalla Cisgiordania
in direzione di Gerusalemme e Tel-Aviv.
Paradosso finale è che il progetto politico
di Kadima, in realtà, fa fare marcia indietro
al processo di pace. Da un lato, esso cerca di convincere
l’opinione pubblica che può far scomparire
il problema palestinese reintroducendo il vecchio tropo
sionista di un “muro di ferro”. Dall’altro
lato, esso ha abbandonato tutte le forme di dialogo
e negoziazione che, fin dall’inizio degli anni
’90, i leader israeliani avevano compreso essere
l’unico modo per raggiungere una soluzione con
i palestinesi. Kadima è perciò un ossimoro.
Se il nome del partito significa “avanti”,
il suo programma politico, in effetti, farà compiere
agli israeliani molti passi indietro.
Traduzione di Martina Toti
Neve Gordon insegna politica alla Ben-Gurion University
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