Cosa dicono
i risultati elettorali del 28 marzo? Consideriamoli
relativamente al dato numerico.
Il partito Israel Beitenu di Avigdor Lieberman è
la vera forza vincente di queste elezioni (almeno stando
ai primi dati disponibili).
Gli altri segnano degli spostamenti più o meno
oscillanti su un dato proiettivo già acquisito:
i laburisti guadagnano; il Likud crolla, Kadima non
mantiene le attese ed è lontano da quel numero
magico di 40 seggi che ne avrebbe assicurato una centralità
stabile. Shas, il partito degli ortodossi sefarditi,
mantiene la posizione di quarto partito e di primo partito
intermedio già uscita dalle elezioni del 2003.
È impossibile, dunque, pensare a una grande coalizione
che metta fuori gioco o marginalizzi i partiti minori.
La coalizione di governo di domani dovrà necessariamente
includere i partiti minori.
Il problema è quale partito scegliere come terzo
attore del governo. L’opzione, stando ai numeri
attuali, è tra Israel Beitenu di Lieberman e
Shas, votato dagli ebrei di provenienza araba.
La differenza tra questi due partiti è questa:
il primo punta a un’ipotesi nazionalista maggiormente
orientata al mantenimento dei territori in nome di una
identità nazionale, il secondo ha nella richiesta
di una protezione sociale dei nuclei urbani del mondo
ebraico povero il suo punto di forza.
La tattica di Ehud Olmert, leader politico di Kadima,
sarà quella di preferire Shas a Israel Beitenu
in nome di una tenuta politica che logori un’opposizione
nazionalista capace di esacerbare il conflitto sociale
senza prospettare un governo reale dell’economia
(lo stesso handicap che ha avuto Benyamin Netanyahu
con il Likud, il partito che esce distrutto da questa
elezione). Così pure la tattica di Amir Peretz,
il leader laburista che ha puntato tutta la campagna
politica del suo partito sulle nuove povertà
e sulla necessità di una politica sociale anticiclica,
ovvero che rimedi al disagio sociale diffuso, sarà
di includere Shas proprio per promuovere una politica
di aiuti sociali che non spacchi il Paese. Shas aderirà
in nome di una unità della popolazione ebraica
israeliana, i laburisti insisteranno per politiche sociali
che non escludano per principio gli arabi israeliani,
che in questa campagna elettorale hanno fatto capire
in molti modi che anche per loro la questione del disagio
sociale costituisce un problema che richiede governo
e soluzioni.
La questione dunque potrebbe risolversi così.
In realtà, al di là delle dichiarazioni
di domani e delle possibili politiche nel medio periodo,
lo scenario delinea una sconfitta. La domanda politica
delle elezioni era quella di permettere un governo forte
capace di guidare con intraprendenza una politica e
di sostenere a scelte anche laceranti. La realtà,
da stasera, è quella di una nuova ed estenuante
sceneggiata di compromessi e di aggiustamenti che non
permette di scegliere e di decidere e che rinvia a un
logoramento lento degli attori in campo. Nella migliore
delle ipotesi vincerà per logoramento chi insisterà
con maggior costanza sulle ragioni del proprio disegno
politico. Nella peggiore, il nervosismo politico e le
ideologie della contrapposizione manterranno inalterati
gli spazi per l’iniziativa politica. Ancora una
volta la situazione è di stallo e per uscirne
occorrerà una figura pubblica in grado di decidere
per tutti.
È proprio il vuoto che si è determinato
con l’uscita di scena di Ariel Sharon. I risultati
di ieri dicono che ancora non c’è sulla
scena qualcuno in grado di svolgere lo stesso ruolo.
Questo articolo è apparso sul quotidiano
Secolo
XIX
del 29 marzo 2006
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|