297 - 14.03.06


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Una vittoria fragile

David Bidussa



Cosa dicono i risultati elettorali del 28 marzo? Consideriamoli relativamente al dato numerico.
Il partito Israel Beitenu di Avigdor Lieberman è la vera forza vincente di queste elezioni (almeno stando ai primi dati disponibili).
Gli altri segnano degli spostamenti più o meno oscillanti su un dato proiettivo già acquisito: i laburisti guadagnano; il Likud crolla, Kadima non mantiene le attese ed è lontano da quel numero magico di 40 seggi che ne avrebbe assicurato una centralità stabile. Shas, il partito degli ortodossi sefarditi, mantiene la posizione di quarto partito e di primo partito intermedio già uscita dalle elezioni del 2003.
È impossibile, dunque, pensare a una grande coalizione che metta fuori gioco o marginalizzi i partiti minori. La coalizione di governo di domani dovrà necessariamente includere i partiti minori.
Il problema è quale partito scegliere come terzo attore del governo. L’opzione, stando ai numeri attuali, è tra Israel Beitenu di Lieberman e Shas, votato dagli ebrei di provenienza araba.
La differenza tra questi due partiti è questa: il primo punta a un’ipotesi nazionalista maggiormente orientata al mantenimento dei territori in nome di una identità nazionale, il secondo ha nella richiesta di una protezione sociale dei nuclei urbani del mondo ebraico povero il suo punto di forza.
La tattica di Ehud Olmert, leader politico di Kadima, sarà quella di preferire Shas a Israel Beitenu in nome di una tenuta politica che logori un’opposizione nazionalista capace di esacerbare il conflitto sociale senza prospettare un governo reale dell’economia (lo stesso handicap che ha avuto Benyamin Netanyahu con il Likud, il partito che esce distrutto da questa elezione). Così pure la tattica di Amir Peretz, il leader laburista che ha puntato tutta la campagna politica del suo partito sulle nuove povertà e sulla necessità di una politica sociale anticiclica, ovvero che rimedi al disagio sociale diffuso, sarà di includere Shas proprio per promuovere una politica di aiuti sociali che non spacchi il Paese. Shas aderirà in nome di una unità della popolazione ebraica israeliana, i laburisti insisteranno per politiche sociali che non escludano per principio gli arabi israeliani, che in questa campagna elettorale hanno fatto capire in molti modi che anche per loro la questione del disagio sociale costituisce un problema che richiede governo e soluzioni.
La questione dunque potrebbe risolversi così. In realtà, al di là delle dichiarazioni di domani e delle possibili politiche nel medio periodo, lo scenario delinea una sconfitta. La domanda politica delle elezioni era quella di permettere un governo forte capace di guidare con intraprendenza una politica e di sostenere a scelte anche laceranti. La realtà, da stasera, è quella di una nuova ed estenuante sceneggiata di compromessi e di aggiustamenti che non permette di scegliere e di decidere e che rinvia a un logoramento lento degli attori in campo. Nella migliore delle ipotesi vincerà per logoramento chi insisterà con maggior costanza sulle ragioni del proprio disegno politico. Nella peggiore, il nervosismo politico e le ideologie della contrapposizione manterranno inalterati gli spazi per l’iniziativa politica. Ancora una volta la situazione è di stallo e per uscirne occorrerà una figura pubblica in grado di decidere per tutti.
È proprio il vuoto che si è determinato con l’uscita di scena di Ariel Sharon. I risultati di ieri dicono che ancora non c’è sulla
scena qualcuno in grado di svolgere lo stesso ruolo.

Questo articolo è apparso sul quotidiano Secolo XIX
del 29 marzo 2006


 

 

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