297 - 14.03.06


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Berlinguer, c’eravamo tanto amati

Daniele Castellani Perelli



“Ricordo quella volta che Enrico Berlinguer, all’aeroporto, mi disse: ‘Presidente Andreotti, la differenza tra noi e voi è che voi siete borghesi, e noi siamo dalla parte del popolo. Per esempio, lei sa quanto costa un biglietto del tram?’. Non lo sapevo, poi però – continua il senatore Andreotti – dopo un po’ gli chiesi io il prezzo di un biglietto della metro, e non lo sapeva nemmeno lui”. Il pubblico ride, alla presentazione del libro di Silvio Pons Berlinguer e la fine del comunismo (Einaudi 2006, 24 euro), e scatta l’applauso. Diretto non tanto ai due protagonisti, ma a un’Italia che non c’è più, e di cui oggi sembra tornare improvvisa nostalgia. Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, ha invece rievocato un paesaggio politico diverso, con Togliatti che vuole dare un calcio nel sedere a De Gasperi e i democristiani a implorare di non lasciare il paese in mano ai comunisti. Il dibattito è aperto, ma certo fa impressione sentire uno dei simboli di 50 anni del potere Dc, l’ex presidente del Consiglio Andreotti rievocare con tanto rispetto il nemico di un tempo, l’ex segretario del Pci Enrico Berlinguer.

Anche perché il senatore a vita è notoriamente schietto, e alla presentazione del libro di Pons non lascia spazio all’apologia politically correct: “Ci trovavamo in casa di Tonino Tatò, e se la Cia metteva le cimici sono contento, perché il nostro era un rapporto chiaro, limpido”. Andreotti non nasconde che tra i due ci fossero differenze abissali, ma ricorda che il contributo del segretario del Pci fu fondamentale per due motivi. Anzitutto perché, grazie anche alla mediazione di Aldo Moro (“il cui prestigio andava molto al di là della sua forza congressuale”), Pci e Dc cominciarono a parlare tra di loro, dopo che per 25 anni il partito comunista aveva regolarmente votato contro tutti gli esecutivi a guida democristiana. E poi perché Berlinguer riuscì a dar vita a una nuova politica internazionale.

È proprio quest’ultimo il tema al centro del libro di Pons, direttore della Fondazione Istituto Gramsci. Lo storico, attraverso una scrupolosa ricerca d’archivio, ha ricostruito la politica estera del segretario del Pci, e non ha fatto sconti al mito. Sergio Luzzatto, sul Corriere della Sera, recensendo il libro ha espresso (e fatto esprimere a Pons) un giudizio durissimo su Berlinguer, che nel libro verrebbe “rappresentato come un politico incapace di affrancare il partito dalla sua identità originaria: dall’incancellabile impronta sovietica. Berlinguer fallì perché si illuse che il comunismo fosse qualcosa di riformabile”. “Pons illustra l’inconsistenza quasi patetica del modo in cui la teoria eurocomunista si realizzò nella pratica – ha scritto Luzzatto – I dirigenti del Pci erano i primi a sapere che non avrebbero mai combinato nulla né con Marchais e il Partito comunista francese né con Carrillo e il Partito comunista spagnolo. Nondimeno, si aggrapparono all’eurocomunismo come a una foglia di fico che valeva a nascondere la loro renitenza a operare, nel contesto di un mondo bipolare, una precisa scelta di campo: a favore degli Stati Uniti, contro l’Unione Sovietica”.

Alla presentazione del libro si sono usati accenti diversi, qualcuno ha anche apertamente criticato la lettura di Luzzatto, ma è parso evidente che il mito è morto. O almeno è sceso sulla terra. Tutti ammettono ormai (ed è diventato quasi un luogo comune) i limiti di Berlinguer, quel suo essere un buono che non ebbe il coraggio di abbandonare il mondo cattivo di cui faceva comunque parte. “Figura importante per la formazione di molti, lascito morale e civile indiscutibile, ma anche figura ingombrante e complessa”, ha sintetizzato il giornalista Paolo Franchi, che ha ricordato come alla sua morte il Pci si sia ritrovato isolato nel paese e sullo scenario internazionale. Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, ne ha rievocato l’europeismo, ma anch’egli ha avvertito che l’eurocomunismo è stata “una grande enunciazione che però non ha condotto a una reale costruzione di alleanze”.

“Non ci fu mai un eurocomunismo, un movimento vero e riconosciuto”, gli ha fatto eco il presidente dei Ds Massimo D’Alema, che a Berlinguer ha dedicato alcune pubblicazioni e che ha ricordato che “il Pci era assolutamente autonomo da Mosca e questo va riconosciuto, tanto che gli stessi Stati Uniti avevano la percezione che l’Urss vedesse in Berlinguer una minaccia”. D’Alema non ha negato alcuni accenti antioccidentali presenti nel pensiero dell’ex segretario, ma ha fatto notare come egli dovesse confrontarsi con forti pregiudizi antiamericani nel suo partito. “È la storia di una sconfitta”, conclude Silvio Pons, E la sensazione è che ormai Enrico Berlinguer, dopo due decenni di battaglie storiografiche, non sia più di grande attualità.

 

 

 

 

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