Esiste un
modello unico di welfare europeo? Se ne è parlato
a Roma il 22 marzo scorso, al seminario Globalizzazione
e politiche sociali dell’Unione Europea,
un forum di discussione e una tavola rotonda più
che un semplice seminario, organizzato dalla Rivista
delle Politiche Sociali (casa editrice Ediesse). Il
professor Anthony Atkinson, rettore del Nuffield College
di Oxford, tra i massimi studiosi dei rapporti tra economia
e welfare, ha presentato e discusso il paper European
Union Social Policy in a Globalising Context, che
sarà presto pubblicato. “La nostra mission
è quella di fornire sia attraverso Rps, sia attraverso
gli incontri, elementi seri e approfonditi di riflessione
- dice Maria Luisa Mirabile, direttore della Rivista
delle Politiche Sociali - L’obiettivo è
quello di contaminare mondi diversi: quello della ricerca,
dell’intellettualità, quello del sindacato,
quello del policymaking, degli amministratori.
Non è un caso che la platea fosse composta da
dirigenti sindacali, docenti universitari e studenti;
c’è stata una forte triangolazione che
ha indubbiamente animato e arricchito il dibattito.
L’incontro metteva in discussione degli assunti
che spesso vengono dati per scontati”.
E infatti sono stati diversi gli aspetti presi in esame:
il disallineamento dei paesi membri in campo di politiche
sul welfare, la genericità e la limitatezza delle
possibili azioni a livello comunitario fino a ora praticate,
la discussione sulla messa a fuoco di un possibile modello
europeo di sviluppo sociale. Un’ampia gamma di
argomenti è stata sviluppata da Atkinson con
una declinazione soprattutto storica. Nel descrivere
le trasformazioni del welfare europeo, il professore
ha sottolineato il processo che ha portato dalla quasi
totale assenza del tema delle politiche sociali nell’agenda
europea, alla presenza dell’argomento nella discussione
sulla Comunità. Una rappresentazione di un’Europa
in nuce, generata dai mutamenti economici degli
anni ’50 e ‘60, la cui eco arriva fino all’introduzione
di politiche a sostegno della povertà e per il
monitoraggio delle criticità nel decennio successivo.
E poi il passaggio alla moneta unica e il processo di
costruzione affrontato negli anni ’80 e ’90,
in cui l’emergenza della moneta non ha lasciato
spazio alla discussione sulle politiche sociali e uno
sguardo attento sulle anticipazioni della presidenza
Delors.
“Sotto Jacques Delors, l’ambito sociale
venne maggiormente sviluppato. Nel 1989 la Commissione
presentò la bozza della Carta Comunitaria dei
diritti sociali fondamentali e questa fu adottata in
forma modificata da 11 dei 12 Stati Membri di allora”,
spiega Atkinson. Una data centrale, su cui poi ruota
l’argomentazione di Atkinson e su cui si sono
dibattuti gli argomenti successivi dei relatori, è
quella dell’Agenda di Lisbona, quando nel 2000
emerse la necessità di delineare lo sviluppo
economico e le politiche della “concorrenza”
europea a stretto giro con la questione sociale. Lisbona
il momento chiave, poi la scelta e la ragione del metodo
del coordinamento aperto in fatto di politiche sociali:
i singoli stati membri sono pienamente responsabili
delle questioni del welfare, fermo restando, però,
un’area d’azione comune tra stati nazionali.
Il confronto, uno spazio necessario alla discussione
e quindi all’apprendimento delle diverse esperienze.
Un’agenda che ritorna oggi più che mai,
viste anche le conclusioni della presidenza europea
del marzo 2005, quando ne viene ribadita la fondatezza
dello spirito, rispettato in questi anni solo da poche
presidenze, quella belga o quella svedese ad esempio,
e che torna ad avere l’attenzione necessaria perché,
come scrive Atkinson, “il dibattito europeo odierno
è dominato dalle sfide economiche che l’Ue
deve affrontare. L’aspirazione di Lisbona che
l’Europa diventi un’economia dinamica basata
sulla conoscenza, non sembra essere più vicina
alla realizzazione di quanto lo fosse cinque anni fa.
Semmai, la sfida posta dalla globalizzazione sembra
più grande. La creazione di lavoro si è
dimostrata elusiva, e gli Stati membri sono sempre più
preoccupati del fallimento del loro tasso di crescita
confrontato con quello degli Stati Uniti”.
Altro punto su cui Atkinson si è soffermato
è la doppia argomentazione contro il welfare,
quella classica della teoria economica e quella politica.
Argomenti che dovrebbero rimanere la linea della differenza
tra le politiche europee e quelle statunitensi. Seguendo
la spinta alla concorrenzialità l’economia
dell’Unione si è data al ribaltamento del
problema della disoccupazione, assecondando le politiche
di workfare, ossia la produzione di posti di
lavoro per favorire benessere e quindi crescita economica
e competitività. Una differenza che, se non ha
portato l’Europa a produrre un Pil superiore a
quello degli Stati Uniti, non la vede comunque arretrata
nella distribuzione del reddito.
Nella discussione di Atkinson si contano i nodi della
riflessione generale contemporanea, di un’economia
che guarda alla concorrenza ma non vuole dimenticare
il sociale: la teoria della competitività, la
definizione del costo del lavoro e dei tassi di cambio,
ma anche gli indicatori sociali dell’Europa a
15, l’allargamento a 25. Si delinea un’Europa
aperta alla possibilità di una scelta fondamentale
nei confronti del welfare, che deve tenere però
in conto la differenza tra membri e necessariamente
affrontare le sfide del mercato della globalizzazione.
Tra gli indirizzi, quello di trasformare la tutela sociale
in risorsa produttiva, l’attenzione alla povertà
dell’infanzia e i mezzi per risolverla. E’
anche qui che si stabilisce la differenza tra due modelli
di economia, quello degli Stati Uniti e quello europeo,
due modelli in concorrenza per il benessere, non solo
della propria economia, ma anche della società
civile.
E il banco di prova rimane il lavoro. Lavoro come risorsa
e fattore di integrazione e pacificazione tra membri
di uno stesso paese – e Atkinson accenna chiaramente
alle problematiche francesi nelle banlieue –
e del welfare come mezzo di unità. Già
perché uno degli spunti più interessanti
di questo veloce passaggio dell’economista sta
proprio nel porre una comparazione diacronica tra periodi
storici estremamente differenti, ma sostanzialmente
frutto di processi simili. Atkinson individua nel periodo
storico ed economico tra il 1860 e il 1914 la nascita
del welfare, un esordio conseguente e parallelo a quel
primo periodo di globalizzazione. Un importante luogo
storico a cui guardare quindi, soprattutto per interpretare
la fase odierna. La spesa sociale e lo stato previdenziale
sono fattori dell’unità e sono stati in
passato a fondamento della costruzione dell’idea
dello stato nazione – e cita i casi della Germania
e della Nuova Zelanda.
Il panorama generale degli argomenti del professore
si è aperto poi agli interventi, che si sono
concentrati sulle ombre del sistema europeo, perché
“il dibattito è entrato nelle pieghe di
quell’esposizione generale e in queste si possono
evidenziare di più e meglio le contraddizioni”,
ha commentato Maria Luisa Mirabile. Paolo Bosi dell’Università
di Modena ha sottolineato la fase critica che l’Europa
sta attraversando e come non siano da sottovalutare
gli aspetti della distribuzione del reddito, della questione
del costo del lavoro. Gianni Geroldi dell’Università
di Parma ha invece raccolto le diverse suggestioni del
paper di Atkinson, soprattutto nella ricostruzione del
processo di maturazione delle politiche europee in campo
sociale, espresse nel triangolo sociale/politico/economico
di Lisbona, segno chiaro della fine del predominio di
un fine sull’altro, ma ha anche sottolineato la
mancanza di pieno successo delle politiche di occupazione
come alternativa al welfare, ponendo dubbi sul metodo
del coordinamento aperto.
L’intervento più animato è stato
sicuramente quello di Elena Granaglia dell’Università
della Calabria, indirizzato a porre attenzione sulla
“strisciante trasformazione pro mercato della
giustizia sociale”. Un intervento teso a ricordare
l’importanza della giustizia sociale, imprescindibile
motivo delle politiche sociali. Paolo Onofri dell’università
di Bologna ha posto l’attenzione sul Nation Building,
spingendo il ragionamento a favore di una comune politica
europea per il sociale, ma anche a favore di un bilancio
federale; pena una rischiosa frammentazione. Più
allarmata la riflessione di Laura Pennacchi, parlamentare
Ds, che ha sottolineato il regresso a cui è stato
costretto in questo momento il processo di costruzione
dell’Europa, puntando il dito sulla riduzione
del costo del lavoro “sintomo del deserto di ideazione
che stiamo vivendo”.
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