“Non
c’era alcuna necessità di farlo, non c’era
alcun bisogno di rappresentare Maometto in un disegno
di scherno”. Il commento di Abraham B. Yehoshua
è assolutamente contrario alle vignette danesi
che hanno scatenato un caso internazionale che non accenna
a smorzarsi.
È tra i più noti scrittori israeliani
al mondo, è venuto a Roma, ospite il 16 febbraio
del Centro Studi Americani, per parlare di come la letteratura
possa stimolare il dialogo tra le culture e per dire
come i libri possano mettere mattoni solidi e pesanti
nella costruzione di un mondo multiculturale, una realtà,
cioè, che non è composta semplicemente
di gruppi etnici diversi, di religioni diverse, di culture
diverse che vivono vicine e separate, non si tratta
di questo. Quando parla di società multiculturale,
Yehoshua ha in mente il dialogo e la convivenza, non
la separazione in enclave blindate, ma lo scambio e
la comprensione.
Ecco perché, incontrando i giornalisti prima
della conferenza, ammette tutto il suo disaccordo con
chi ha deciso di pubblicare quei fatidici disegni.
“Sono molto contrario alla pubblicazione di vignette
che umiliano una vasta popolazione musulmana che ha
già parecchi problemi da affrontare. Certo, la
reazione è stata esagerata, ma quando le persone
si sentono colpite nell’intimo e percepiscono
di essere giudicate come inferiori, perdono ogni senso
dell’umorismo”.
E così si sono scatenate proteste, manifestazioni
e violenze che in Medio Oriente vanno a coinvolgere
anche Israele, riaccendendo le discussioni sull’antisemitismo
a partire da Ahmadinejad che ha indetto un concorso
di vignette sull’olocausto.
“Gli ebrei con questa storia non c’entrano
niente – ha sottolineato Yehoshua – non
pubblicherebbero mai vignette di quel genere così
ostili all’islam. Nel nostro paese siamo sempre
molto attenti a non offendere i sentimenti religiosi
mussulmani e quanto di più sacro appartiene alla
loro cultura, noi viviamo insieme a una minoranza religiosa,
siamo a stretto contatto con loro. Ora il presidente
iraniano vuole mettere in piedi una specie di rappresaglia
che neghi l’olocausto e se ne faccia scherno,
mi sembra un’iniziativa estremamente ingiusta
e la colloco nella tradizione dell’antisemitismo
che abbiamo subito per secoli e secoli: se c’era
bisogno di qualcuno con cui prendersela, gli ebrei andavano
sempre bene, rappresentavano sempre un ottimo obiettivo
da colpire”.
“Possiamo notare una ripresa di antisemitismo
– continua lo scrittore – che forse si rivolge
anche contro quelle lodevoli iniziative come il Giorno
della Memoria celebrato dalle Nazioni Unite e da alcuni
governi tra cui quello italiano e francese, ma esiste
ancora una via antisemita che va oltre la critica politica
al governo israeliano: questo può essere criticato
e messo in discussione, ma non si può ignorare
il passato, non lo si può negare”.
La polemica coinvolge Israele, dunque, e arriva inaspettata
(e certamente inauspicata) in un momento particolarmente
delicato per la situazione israelo-palestinese. Hamas
ha appena vinto le elezioni in Palestina, Sharon ha
lasciato Kadima senza leader e tra poco si vota.
“Ci sentiamo molto tristi – confessa Yehoshua
– perché la vittoria di Hamas ci riporta
indietro nel tempo, fino agli anni in cui l’Olp
non riconosceva lo stato di Israele. Tornare a quegli
anni significa che, da una parte, dobbiamo ripercorrere
di nuovo la strada già fatta per sentire che
il governo palestinese ammette la legittima esistenza
di Israele, e, dall’altra, dobbiamo percorrere
ancora una volta il cammino che ha portato Israele a
riconoscere l’Anp come legittimo rappresentante
dello stato palestinese. Questo tornare indietro è
molto deprimente”.
Ma aldilà della tristezza e della depressione
per un risultato insperato, lo scrittore ha parole molto
chiare sulla situazione: “Io non so quali siano
le intenzioni di Hamas, ma una cosa è certa,
dobbiamo guardare in faccia la realtà così
come hanno dovuto fare i palestinesi nel momento in
cui il Likud è arrivato al governo in Israele.
Questo è il problema del Medio Oriente, ci vuole
sempre molto tempo per guardare in faccia la realtà,
e la realtà è una sola: due stati per
due popoli. È la sola possibilità”.
E la letteratura? I libri possono influenzare le scelte
politiche dei governi? I romanzi possono dare un contributo
concreto per mettersi faccia a faccia con la realtà
e mettere in pratica un concreto progetto politico?
Alla domanda il viso dello scrittore si ripiega in un
sogghigno e poi si rivolge alla platea con una metafora.
“Sono solito dire che la letteratura e i libri
sono come gocce d’olio sulle ruote della realtà;
non credo che cambino le cose ma avvicinano la realtà
alle persone aiutandole a rendere il mondo più
comprensibile, più abbordabile, più facilmente
affrontabile”. Con un esempio Yehoshua si spiega
meglio: “Il protagonista del mio romanzo L’amante
è un ragazzo arabo di 14 o 15 anni che lavora
in un garage; ora il romanzo è diventato una
specie di libro di testo nelle scuole, generazioni dopo
generazioni lo leggono, lo studiano, e io dico a me
stesso che, qualunque fosse il giudizio degli studenti,
un mio romanzo è utile nella misura in cui il
loro incontro con il personaggio del libro, l’identificazione
con lui, li rende più aperti verso i problemi
del mondo reale. E sto parlando di me, del mio lavoro
ma potrei portare molti altri esempi di molti altri
scrittori”.
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