295 - 10.03.06


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“Ma che bisogno c’è di
offendere Maometto?”

Incontro con Abraham B. Yehoshua
a cura di Mauro Buonocore



“Non c’era alcuna necessità di farlo, non c’era alcun bisogno di rappresentare Maometto in un disegno di scherno”. Il commento di Abraham B. Yehoshua è assolutamente contrario alle vignette danesi che hanno scatenato un caso internazionale che non accenna a smorzarsi.
È tra i più noti scrittori israeliani al mondo, è venuto a Roma, ospite il 16 febbraio del Centro Studi Americani, per parlare di come la letteratura possa stimolare il dialogo tra le culture e per dire come i libri possano mettere mattoni solidi e pesanti nella costruzione di un mondo multiculturale, una realtà, cioè, che non è composta semplicemente di gruppi etnici diversi, di religioni diverse, di culture diverse che vivono vicine e separate, non si tratta di questo. Quando parla di società multiculturale, Yehoshua ha in mente il dialogo e la convivenza, non la separazione in enclave blindate, ma lo scambio e la comprensione.
Ecco perché, incontrando i giornalisti prima della conferenza, ammette tutto il suo disaccordo con chi ha deciso di pubblicare quei fatidici disegni.

“Sono molto contrario alla pubblicazione di vignette che umiliano una vasta popolazione musulmana che ha già parecchi problemi da affrontare. Certo, la reazione è stata esagerata, ma quando le persone si sentono colpite nell’intimo e percepiscono di essere giudicate come inferiori, perdono ogni senso dell’umorismo”.
E così si sono scatenate proteste, manifestazioni e violenze che in Medio Oriente vanno a coinvolgere anche Israele, riaccendendo le discussioni sull’antisemitismo a partire da Ahmadinejad che ha indetto un concorso di vignette sull’olocausto.
“Gli ebrei con questa storia non c’entrano niente – ha sottolineato Yehoshua – non pubblicherebbero mai vignette di quel genere così ostili all’islam. Nel nostro paese siamo sempre molto attenti a non offendere i sentimenti religiosi mussulmani e quanto di più sacro appartiene alla loro cultura, noi viviamo insieme a una minoranza religiosa, siamo a stretto contatto con loro. Ora il presidente iraniano vuole mettere in piedi una specie di rappresaglia che neghi l’olocausto e se ne faccia scherno, mi sembra un’iniziativa estremamente ingiusta e la colloco nella tradizione dell’antisemitismo che abbiamo subito per secoli e secoli: se c’era bisogno di qualcuno con cui prendersela, gli ebrei andavano sempre bene, rappresentavano sempre un ottimo obiettivo da colpire”.

“Possiamo notare una ripresa di antisemitismo – continua lo scrittore – che forse si rivolge anche contro quelle lodevoli iniziative come il Giorno della Memoria celebrato dalle Nazioni Unite e da alcuni governi tra cui quello italiano e francese, ma esiste ancora una via antisemita che va oltre la critica politica al governo israeliano: questo può essere criticato e messo in discussione, ma non si può ignorare il passato, non lo si può negare”.

La polemica coinvolge Israele, dunque, e arriva inaspettata (e certamente inauspicata) in un momento particolarmente delicato per la situazione israelo-palestinese. Hamas ha appena vinto le elezioni in Palestina, Sharon ha lasciato Kadima senza leader e tra poco si vota.
“Ci sentiamo molto tristi – confessa Yehoshua – perché la vittoria di Hamas ci riporta indietro nel tempo, fino agli anni in cui l’Olp non riconosceva lo stato di Israele. Tornare a quegli anni significa che, da una parte, dobbiamo ripercorrere di nuovo la strada già fatta per sentire che il governo palestinese ammette la legittima esistenza di Israele, e, dall’altra, dobbiamo percorrere ancora una volta il cammino che ha portato Israele a riconoscere l’Anp come legittimo rappresentante dello stato palestinese. Questo tornare indietro è molto deprimente”.
Ma aldilà della tristezza e della depressione per un risultato insperato, lo scrittore ha parole molto chiare sulla situazione: “Io non so quali siano le intenzioni di Hamas, ma una cosa è certa, dobbiamo guardare in faccia la realtà così come hanno dovuto fare i palestinesi nel momento in cui il Likud è arrivato al governo in Israele. Questo è il problema del Medio Oriente, ci vuole sempre molto tempo per guardare in faccia la realtà, e la realtà è una sola: due stati per due popoli. È la sola possibilità”.

E la letteratura? I libri possono influenzare le scelte politiche dei governi? I romanzi possono dare un contributo concreto per mettersi faccia a faccia con la realtà e mettere in pratica un concreto progetto politico?
Alla domanda il viso dello scrittore si ripiega in un sogghigno e poi si rivolge alla platea con una metafora. “Sono solito dire che la letteratura e i libri sono come gocce d’olio sulle ruote della realtà; non credo che cambino le cose ma avvicinano la realtà alle persone aiutandole a rendere il mondo più comprensibile, più abbordabile, più facilmente affrontabile”. Con un esempio Yehoshua si spiega meglio: “Il protagonista del mio romanzo L’amante è un ragazzo arabo di 14 o 15 anni che lavora in un garage; ora il romanzo è diventato una specie di libro di testo nelle scuole, generazioni dopo generazioni lo leggono, lo studiano, e io dico a me stesso che, qualunque fosse il giudizio degli studenti, un mio romanzo è utile nella misura in cui il loro incontro con il personaggio del libro, l’identificazione con lui, li rende più aperti verso i problemi del mondo reale. E sto parlando di me, del mio lavoro ma potrei portare molti altri esempi di molti altri scrittori”.

 

 

 

 

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