295 - 10.03.06


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La sinistra europea e il
rinnovamento d’oltre oceano

Felice Besostri



Con due nuove elezioni in Cile e Bolivia si conferma il processo di democratizzazione in America Latina, con uno spostamento a sinistra dell’asse politico. Un processo iniziato nel 2002 con la elezione di Lula alla Presidenza del Brasile e con la vittoria al primo turno nell’ottobre 2004 di Tabarè Vazquez (già sindaco di Montevideo) del Fronte Amplio in Uruguay. Si spera che l’onda progressista sia confermata nelle elezioni del Costarica e giunga fino al Messico, impegnato nelle presidenziali a metà anno e che non si concluda con quelle brasiliane di ottobre. Occorre precisare che quando, in generale, si parla di onde con determinate caratteristiche, si tratta di una semplificazione: le tendenze di voto hanno ragioni nazionali e non continentali e, nel caso specifico, come argomenteremo, spesso non ci sono tratti comuni tra i candidati ed i programmi raggruppati sotto la comune denominazione di “progressisti”, se non in contrapposizione ai candidati ed ai programmi dei loro avversari.

In realtà in Cile vi è una continuità con il Presidente Lagos, già socialista e anch’esso espresso dalla Concertacìon, la coalizione di centro-sinistra maggioritaria (PS ch, Ppd, Pdc). Tuttavia la candidatura della Bachelet non era scontata: vi era una richiesta democristiana di avvicendamento, ma la popolarità della candidata socialista ed il risultato inequivocabile delle primarie, tra la stessa Bachelet e la democristiana Soledad Alvear, hanno sgomberato la strada.
Neppure la vittoria era scontata nel caso che la destra fosse stata in grado di presentare un solo candidato. Infatti, al primo turno la somma dei voti di Lavin dell’Udi e di Sebastian Piñera di Rn con il 48.6% superavano il 45.9% della Bachelet. Al secondo turno la vittoria è stata, invece, netta con il 53.5% della Bachelet contro il 46.5% di Piñera, conosciuto per la sua ricchezza ed il controllo di una televisione, come il Berlusconi cileno.
L’estrema sinistra radicale, condotta da un Partito Comunista ai minimi termini, non l’ha appoggiata al primo turno e le ha sottratto ben il 5.4% dei voti. Tuttavia nell’America Latina l’elezione di una donna (i precedenti sono pochi da Violeta Chamorro e Isabel Peron) rappresenta, comunque, una rottura di forte significato, che la Bachelet ha accentuato formando un governo con dieci donne su venti, e con ministeri di peso quali la Difesa, la Sanità e l’Ambiente. L’elezione della Bachelet è stata trascinante anche per le contemporanee legislative: i partiti della Concertacíon con il 51.8% hanno battuto quelli dell’Alleanza con il 39% dei voti e l’estrema sinistra con il 7.5%. Soltanto al Senato la somma dei partiti alleati ha superato quelli della Presidenta con il 55.7%. La Bachelet gode di una maggioranza sia alla Camera dei Deputati (65 seggi su 120) sia al Senato (20 seggi sui 38 elettivi).

Con la elezione di Michelle Bachelet, figlia di un generale fatto morire da Pinochet, si chiude definitivamente il ciclo di ristabilimento della democrazia nel marchio della Costituzione voluta da Pinochet e tuttora vigente.
Ora è il momento di costruire un Cile non soltanto democratico, ma anche più giusto e con una distribuzione del reddito più equa. Lo sviluppo economico cileno è stato fortissimo, ma il beneficio si è concentrato nelle mani di pochi.

La Bolivia di Morales e il Brasile di Lula

Altrettanto simbolica la vittoria di Evo Morales (54%) e del suo Mas (Movimento al Socialismo) in Bolivia, anche qui una prima volta di un indio, benché gli autoctoni siano la maggioranza della popolazione: i due gruppi principali i Quechuas e gli Aymaras da soli sono il 55%.
Tutto il potere era nelle mani della aristocrazia criolla, i creoli di discendenza ispanica.
Morales dopo l’investitura democratica ha cercato quella simbolico-tradizionale con la cerimonia alla Puerta del Sol. In Bolivia i contadini erano venduti e comprati con la terra ed usati per umilianti lavori domestici: il risarcimento per il loro destino rubato non è completo. Nelle contemporanee elezioni legislative il Mas con il 53% dei voti ha conquistato 72 seggi su 130, ma resta minoritario al Senato con 12 seggi su 27, di cui 13 del diretto avversario, il Movimento Poder Democratico y Social del suo avversario Quiroga.
Morales sarà lo statista che riscatterà il suo popolo o un Masaniello giunto al potere? Sarà coerente con le sue promesse di dare dignità al suo popolo, gli aymarà ed agli altri indigeni? Ovvero sarà una delusione come Toledano in Perù?

I suoi punti di riferimento continentali sono chiari: Chavez, Lula, Kirchner e l’immarcescibile Castro, benché nessuno si proclami marxista, né si richiami ad una rivoluzione ispirata al modello cubano. Lo stesso programma di nazionalizzazione delle risorse minerarie ed energetiche non è una novità, nel 1952 furono già nazionalizzata da Paz Estensoro, lo stesso che 33 anni dopo le privatizzò, durante il suo terzo mandato presidenziale.

Già si intravedono le difficoltà di una saldatura con il riformismo cileno per ragioni oggettive e storiche. Oggettive: il riformismo cileno è alle prese con uno sviluppo distorto, ma pur sempre uno sviluppo, mentre la Bolivia deve uscire dalla povertà e dal sottosviluppo. Storiche: con la guerra del Pacifico il Cile ha privato la Bolivia dell’accesso al mare.
La ferita non è ancora rimarginata.
Lula, icona carismatica di una sinistra ampia, che comprende settori della sinistra radicale e alternativa e di quella istituzionale, dalla componente politica socialdemocratica alle organizzazioni sindacali europee, si sta fragilizzando e la sua rielezione nell’ottobre di quest’anno non è sicura.

Il Brasile è il più grande paese dell’America Latina con il più grosso Pil e la popolazione di gran lunga la più numerosa e con finanze in ordine, tanto che può anticipare la liberazione dai prestiti dal Fondo Monetario Internazionale per sottrarsi ai suoi condizionamenti.
Le difficoltà di mantenere contemporaneamente le promesse elettorali e di non scatenare le reazioni dei mercati finanziari hanno compromesso l’immagine di Lula, che per di più è stato investito da fenomeni corruttivi di dirigenti del suo partito, in particolare il settore paulista, ed anche di suoi collaboratori.
Nel Parlamento la sua maggioranza è ristretta e fragile per i ricatti degli alleati.
Il sistema partitico brasiliano è frammentato ed instabile, oltre che spregiudicato nelle alleanze, che possono essere costruite e disfatte senza grandi problemi di coscienza.
Per esempio il Pdt (Partito Democratico dei Lavoratori), membro dell’Internazionale Socialista, è stretto alleato, all’opposizione di Lula, con il Partito Popolare Socialista, uno degli eredi del Partito Comunista Brasiliano, conosciuto per il suo rigido filosovietismo.
Unica eccezione nella storia è stato il glorioso Partito Socialista Brasiliano, che, però, forse per questo è stata una formazione rispettabile, ma minore.
L’eredità del populismo e del corporativismo (anche il Brasile ha avuto, come l’Argentina, un regime, quello di Getulio Vargas, ispirato dal fascismo italiano, sia pure nella versione sociale) è dura da superare, come la pratica del clientelismo e della corruzione.

L’Argentina di Kirchner

L’Argentina di Kirchner sta per uscire dalla crisi di pochi anni fa, in cui si sono bruciate le ricchezze del paese e la stessa esistenza di una classe media è stata compromessa. Il risanamento finanziario è stato spettacolare, anche a spese dei nostri risparmiatori, che avevano sottoscritto i tango bonds, tanto che anche l’Argentina, al pari del Brasile, si è liberata dai prestiti del Fmi. Una strategia ben diversa dalla antica parola d’ordine “la deuda no se paga” (i debiti non si pagano).
Il sistema politico resta, peraltro, molto distante da quello europeo, che ha attecchito soltanto in Cile. A prima vista pare strano che un paese così etnicamente europeo sia distante anni luce dagli schieramenti politici, cui siamo abituati.
Eppure il Partito Socialista Argentino era dotato di grandi personalità al momento della sua fondazione, che ha preceduto quella di partiti socialisti di paesi europei (sono sufficienti i nomi di Alfredo Palacios e Juan B. Justo).
All’inizio si pubblicavano riviste socialiste in francese ed in tedesco: in un certo senso il socialismo europeo restava la loro patria ideale.

I comunisti sono sempre stati una forza ben organizzata e con punti di forza nei sindacati, ma irrimediabilmente sovietici e perciò stranieri.
A sinistra e a destra ha spopolato il peronismo, come già detto una variante del fascismo corporativo. Kirchner è peronista, come erano peronisti i suoi predecessori Duhalde e Menem, oggi suoi avversari.
A distanza di decenni è ancora il peronismo in tutte le sue tendenze, da quelle moderate a quelle estremiste (negli anni della lotta armata i peronisti avevano una loro formazione, i Montoneros), dalle progressiste alle nazionaliste, che detta i ritmi del cambio politico e la dialettica interna al peronismo sostituisce la dialettica tradizionale tra destra e sinistra.

Tuttavia l’Argentina, il Cile e il Brasile, grazie al loro sviluppo, per quanto ineguale e squilibrato, e alla struttura produttiva, se coopereranno strettamente, possono in America Latina svolgere il ruolo che fu della Germania, della Francia e dell’Italia alle origini della costruzione europea. Per questo è importante il rafforzamento del Mercosur, anche come alternativa all’ALCA, la zona di libero scambio delle Americhe, ripescato dai cassetti dopo la crisi messicana del 1994.
Questo processo ha bisogno di aiuto e di solidarietà internazionale, compiti che dovrebbero essere svolti in primo luogo dall’Europa e dalla sinistra europea.

Segnali di interesse se ne sono visti pochi a sinistra.
La sinistra europea è sempre pronta a criticare i leader del “terzo mondo” appena paiono un po’ meno puri e duri di come li aveva immaginati e desiderati.
Basta confrontare il grado di popolarità attuale di Lula e del subcomandante zapatista Marcos nel popolo della sinistra alternativa.
Si spende poco tempo a riflettere sulla differenza tra cercare di risolvere i problemi di un grande paese e quella di essere testimonianza in una ristretta parte del territorio di uno Stato, per di più estraniandosi dai processi politici: se la sinistra ritornerà al potere in Messico nel luglio 2006 con Lopez Obrador (a proposito anche lui già sindaco di una grande metropoli come Città del Mexico), non sarà grazie agli zapatisti.
Per fortuna c’è Chavez. Lui è chiaro e riconoscibile e lucidamente anti Usa, circostanza che suscita simpatie automatiche, salvo essere delusi in epoca successiva.

Chavez è, per di più, ricco grazie al petrolio, cioè per la stessa ragione per cui le masse popolari europee sono sempre più povere. Chavez non deve pensare ad una linea innovativa di politica economica e finanziaria: più petrolio a prezzi più alti è una formula di tutta semplicità.
Parliamo chiaro: Chavez è stato legittimato democraticamente, è stato oggetto di oscure e violente manovre di sovvertimento, contrarie al diritto internazionale e a quello costituzionale. Tutto ciò su impulso di una regia estera, facilmente identificabile negli Stati Uniti (ricordate il Cile di Allende?). Peraltro, molte delle manovre che hanno impedito la vendita di mezzi militari dall’Europa al Venezuela avranno, come il blocco di Cuba, effetti controproducenti.

Più sindacalisti, meno guerriglieri

Per una sinistra, che faccia i conti con il problema della globalizzazione e della difesa e sviluppo della democrazia, questo atteggiamento semplificatore di Chavez non è più sufficiente e a rendere moderna la sua proposta non basta che il Presidente venezuelano annunci al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre del 2005 che la sua azione si inquadri “nel socialismo del XXI secolo” (E. Sader, Le Monde Diplomatique, febbraio 2006).
Difendere l’indipendenza venezuelana è un dovere internazionale, ma nel contempo una sinistra democratica, degna di questo nome, non può tacere di una serie di violazioni dello stato di diritto e quando si scade nella demagogia antidemocratica, con qualche punta di antisemitismo e con ammirazione sconfinata per quel fascista di Giovanni Papini.
Non bastano elezioni (più o meno libere ed ordinate) per dar vita ad una democrazia: la Palestina con la vittoria di Hamas è l’ultimo esempio in tal senso.

La sinistra italiana ed europea dovrebbe in poco tempo rinunciare ad ogni attrattiva collegata al folklore e capire che per consolidare la democrazia in America Latina servono più partiti politici moderni e sindacati forti, così come un sistema politico liberato dal caudillismo e dal populismo, non importa se nazionalista o rivoluzionario.
Servono più sindacalisti che guerriglieri, che sopravvivono grazie al narcotraffico.
Per qualsivoglia sinistra, che abbia appreso le lezioni della storia, si deve evitare il fascino della divisa e della demagogia.
Per sostenere Chavez contro l’esproprio delle risorse da parte delle multinazionali o contro le manovre destabilizzatici degli Usa in collegamento con la destra venezuelana, non c’è bisogno di diventare bolivaristi scatenati.

Pare che i sud-americani, a una certa sinistra, piacciano così roboanti e anti-gringos, ci devono far sognare di patria o morte, di libro e fucile, di socialismo senza aggettivi: di diventare militanti antimperialisti per interposta persona.
Padre Girotto, fratello mitra, grazie a questi stereotipi riuscì ad infiltrare le Brigate Rosse.
Quando metteremo almeno sullo stesso piano un sindacalista o un difensore dei diritti umani e un guerrigliero, faremo un passo avanti noi, sinistra europea, e aiuteremo la sinistra latino-americana, a noi più vicina, a fare altrettanto, cioè a liberarsi di un passato in cui demagogia e populismo parolaio aprirono la strada ai regimi militari dittatoriali.
La sinistra europea dovrebbe iniziare a discutere di un approccio globale con la sinistra latino americana per concertare azioni politiche, ma anche istituzionali dei governi, cui partecipa, e dall’Unione Europea.

L’Internazionale Socialista attualmente ha partiti membri al potere in Cile e in Uruguay, ma sempre come soggetti di una coalizione più ampia. I grandi partiti del Pse hanno una loro politica, che prescinde dal privilegiare i partiti dell’Internazionale: il caso Brasiliano è eclatante.
La sinistra radicale europea ha il suo ambito di relazioni nel Forum Sociale Mondiale e nei movimenti sociali antiliberisti e naturalmente con quelli che solleticano di più il suo immaginario: gli zapatisti di Marcos e i bolivariani di Chavez.
Tutto appare frammentato e casuale senza una riflessione di fondo e soprattutto organizzata su base paritaria tra soggetti europei e latino-americani.


 

 

 

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