“Se
esiste effettivamente un conflitto di doveri tra libertà
d’espressione e rispetto altrui, bisogna dire
allora che queste due nozioni non sono incompatibili,
a condizione, però, di affrontare il problema
con calma e in maniera storica”.
È Regis Debray, noto filosofo e mediologo, a
prendere la parola per primo giovedì 9 febbraio,
e ad impostare il problema sollevato dalla conferenza
organizzata a Parigi da Reporters sans Frontieres
sul tema del rapporto tra libertà d’espressione
e rispetto delle varie sensibilità e identità.
Intorno al tavolo responsabili politici e religiosi,
intellettuali e diplomatici aspettano di dire la loro
per provare a vedere se al di là della violenza
scatenata dalla pubblicazione delle caricature di Maometto,
al di là del celebre scontro di civiltà
evocato dalla postura sia dagli islamisti sia dagli
oltranzisti della libertà, ci sia la possibilità
di intrecciare un dialogo tra Occidente e Islam, tra
laicità e religione su basi differenti.
Debray, come molti nella sala, ne è convinto,
a condizione che si smetta di proiettare i codici occidentali
sulle altre culture e si riesca a “salvaguardare
una giusta proporzione tra le nostre rozzezze coloniali
e il carattere inammissibile delle violenze che le hanno
seguite. Bisogna, in altre parole, resistere all’intolleranza
ma senza arroganza né incoscienza e nel rispetto
di ciascuno”. D’altronde il rispetto è
contenuto nel concetto stesso di libertà d’espressione
fin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino del 1789, che nell’articolo 11
precisa che questa libertà è inquadrata
dalla legge e si ferma là dove cominciano i diritti
altrui.
Anche Mohamed Bechari, presidente della Federazione
nazionale dei musulmani di Francia e vicepresidente
del Consiglio francese del culto musulmano, è
convinto che una reale coabitazione tra civiltà
sia possibile attraverso la costruzione di un dialogo
nello spazio comune offerto dalla laicità. Anzi,
dice Bechari, il dialogo è indispensabile e urgente
per impedire che quello stesso spazio sia occupato e
preso in ostaggio dagli estremisti islamici e della
laicità, che si rispondono solo con reciproche
violenze. “Bisogna certamente condannare la crescita
dei movimenti populisti nei paesi arabi e non stancarsi
di spiegare che il diritto all’informazione è
sacro, ma perché riprodurre quelle caricature
che sono lette solo come una provocazione? Fermiamo
le accuse gratuite e le lezioni impartite ai musulmani
francesi ed europei che sono mobilitati contro il terrorismo
e credono alla libertà di parola e d’opinione”.
Altrimenti si rischia di schiacciarli a vantaggio di
quelli che assaltano le ambasciate.
In una società complessa e stratificata come
la nostra sono i media quelli a dover esercitare con
il maggior senso di responsabilità. Un’immagine
oggi viene esposta a sensibilità differenti e
non più a un pubblico omogeneo e riconoscibile.
Odon Vallet, storico delle religioni, fa l’esempio
di Star Tv che, data l’enorme diffusione
nel mondo, emette serie televisive in cui i protagonisti
non mangiano né maiale né manzo, ma piuttosto
pollo per non ferire la suscettibilità di musulmani
e induisti. Non si tratta solo di praticare una sorta
di autocensura, ma di rispetto. “Nessuna religione
– dice Vallet – è completamente iconoclasta
o iconolatra e le eccezioni al principio di non rappresentazione,
interdizione che data solo dall’VIII secolo, sono
numerose anche nell’Islam. Quello che è
in causa in questo affare delle caricature è
dunque il rispetto più che l’immagine e
la figurazione”.
Anche Rachid Benzine, scrittore e islamologo, centra
il suo discorso sulla necessità del rispetto
e della conoscenza di quello che il sacro è per
gli uni e per gli altri, perché solo così
si possono scongiurare le reciproche condanne che non
fanno avanzare il dibattito e il dialogo. “Quest’affare
delle caricature è rivelatore di uno scontro
di ignoranze più che di civiltà –
dice Benzine – In nome del sacro si può
diventare violenti e ci vuole molta attenzione e rispetto
in un momento in cui la realtà va così
veloce”.
L’islamologo ed ex mufti di Marsiglia, Soheib
Bencheikh, si rivolge direttamente ai musulmani che
hanno fatto delle caricature la scusa per scatenare
il proprio dogmatismo e soprattutto la propria “ignoranza
surrealista” sia nel campo della libertà
d’espressione che in quello religioso. Infatti,
è il Corano stesso che raccomanda di tralasciare
le polemiche sterili, come possono essere quelle scatenate
da certi settori in questa occasione, per volgersi verso
il bene, cioè il dialogo. Inoltre “quelli
che chiedono le scuse al governo danese conosco piuttosto
male le regole essenziali”.
Ma questa crisi può diventare un fatto positivo.
Rendendo patente un conflitto latente, può trasformarsi
in una tappa decisiva verso l’avvicinamento e
la comprensione reciproca. “Questa crisi –
dice il ricercatore e scrittore Abbas Aroua –
può condurre l’Occidente a comprendere
meglio la sensibilità musulmana e il mondo musulmano
a trovare le risorse per battersi nei propri Paesi per
la libertà d’espressione”.
Essere vigili rispetto alle strumentalizzazioni, vengano
da governi islamici o da sostenitori di una libertà
guerriera. Intrecciare il dialogo per riconoscersi reciprocamente
e costruire una società rispettosa di tutti e
più libera, perché, oltre che nei Paesi
musulmani, anche in Occidente la libertà di espressione
deve compiere ancora notevoli passi in avanti.
Ad esempio: quelli che in Italia urlano indignati o
stampano magliette con le caricature incriminate come
gesto provocatorio in difesa della libertà, quando
volgeranno lo sguardo entro i propri confini nazionali
e condurranno con eguale passione una battaglia in favore
di quella medesima libertà nel proprio Paese
che dall’estero vedono abbastanza compromessa
nei principi? Non “siamo tutti danesi”,
come ci è stato chiesto di dichiarare. Noi, in
particolar modo, “siamo tutti italiani”.
La libertà non è mai acquisita per sempre
da nessuna parte.
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