294 - 17.02.06


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Bocciato dalle urne
il processo di Oslo

Mouin Rabbani con
Mauro Buonocore



Hamas ha preso tanti voti, è vero. Ha conquistato tanti seggi, verissimo. Ma un’analisi della composizione degli elettori che hanno consegnato la vittoria al movimento islamista ci aiuta a capire che la politica e i negoziati, ora, sono priorità molto più impellenti delle ideologie fondamentaliste. Mouin Rabbani ne è convinto. Giordano, vive ad Amman, esperto di politica mediorientale e in particolare della situazione palestinese, Rabbani non vede il pericolo di una Palestina islamista: ora, spiega, ci sono problemi molto più impellenti da affrontare e risolvere, come il mantenimento di una tregua duratura e le innumerevoli difficoltà di un popolo che deve confrontarsi con la povertà di risorse economiche e di servizi.

La Palestina ha deciso: grande fiducia ad Hamas. Questo vuol forse dire che i Palestinesi condividono l’ideologia di cui il movimento vincitore è portatore?

Una parte del successo di Hamas viene certamente dal fatto che molti suoi elettori sono legati ad un’agenda politica islamista e ne condividono l’ideologia. Ma ci sono persone che hanno votato Hamas per motivi diversi; alcuni ad esempio, hanno voluto protestare contro la corruzione di Fatah e contro il fallimento della dirigenza dell’Anp nei negoziati che avevano promesso la realizzazione dei due stati indipendenti e distinti. D’altra parte Hamas non ha solo beneficiato del sentimento di protesta, ma ci ha messo del suo, ha saputo creare interesse in un elettorato assai più vasto di quello che generalmente coincide con la sua visione ideologica del mondo e del conflitto israelo-palestinese.
Poi possiamo rintracciare altri motivi. Ovviamente la politica estera ha rappresentato un elemento cruciale delle elezioni, basta pensare alle condizioni in cui vivono i Palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania; a questo proposito la vittoria di Hamas andrebbe letta come uno schiacciante rifiuto degli accordi di Oslo e del processo di pace che vi è associato, soprattutto da parte di quella parte di popolazione che vive nei Territori occupati, che sono poi quegli stessi Palestinesi che nel 1993 più di ogni altro sostenevano gli accordi. Dal loro punto di vista Oslo altro non è stato che una farsa crudele e, guardando gli aspetti più importanti della loro situazione, possiamo dire che i Palestinesi vivono oggi in condizioni assai peggiori del 1993. Tutto questo non poteva non avere riflessi sul risultato elettorale. I fatti che abbiamo sotto gli occhi ci dicono che i Palestinesi desiderano la pace, ma hanno categoricamente rifiutato il processo stabilito a Oslo.

Però rimane il fatto che l’impronta politica di Hamas resta fortemente islamista. Ad esempio Muhammad Abu Tir, numero due delle liste elettorali, ha già suggerito una riforma del sistema scolastico con classi separate per ragazzi e ragazze e programmi di studio ispirate ai principi dell’Islam. Cosa dobbiamo aspettarci da un eventuale governo di Hamas?

Anche se Hamas auspica la realizzazione in Palestina di una teocrazia islamica, io non credo proprio che questo progetto possa avere séguito nel loro prossimo programma di governo. Come già detto, parecchi elettori che hanno votato Hamas non approvano questo obiettivo; mi sembra quindi molto improbabile che Hamas metta in piedi un programma che gli farebbe perdere il consenso della maggior parte dei suoi elettori.
Hanno già abbastanza problemi così, senza cercare di trasformare gran parte dei voti conquistati – giunti da persone che hanno deciso di dare ad Hamas l’occasione di governare – in una nuova opposizione. Quanto alla politica interna, poi, credo che si concentrerà su un governo concreto e su una efficace distribuzione dei servizi, cercando di arrivare alla fiducia delle persone prima di introdurre nuovi argomenti nell’agenda politica.

A marzo anche Israele andrà al voto. Crede che la vittoria di Hamas in Palestina possa giocare un ruolo determinante nella scelta degli elettori israeliani?

Certamente la vittoria di Hamas avrà un qualche effetto sulle prossime elezioni israeliane, ma è molto difficile fare una previsione e capire adesso quale sarà questa influenza. A mio giudizio il tema delle elezioni palestinesi sarà molto sfruttato dai sostenitori dell’unilateralismo israeliano per rafforzare la propria posizione; mi riferisco principalmente a Kadìma, che segue la linea iniziata da Sharon e cioè il rifiuto di ogni negoziazione basandosi sul pretesto che non esista alcun interlocutore che possa imporre ad Israele i propri confini. Hanno rifiutato di trattare con Arafat prima, con Abbas poi, e rifiuteranno di trattare con Hamas. Ma, forse, gli elettori israeliani non giungeranno a questa conclusione, non daranno all’unilateralismo di Sharon un ruolo importante nella vittoria di Hamas, non giudicheranno che questa linea politica vada rovesciata e anzi gli daranno un forte supporto.

Ma i negoziati, per ripartire, hanno bisogno anche dell’impulso e dell’aiuto diplomatico delle potenze occidentali.

Washington e Bruxelles affrontano il problema partendo con il piede sbagliato: sanno bene che Hamas non andrà mai incontro alle condizioni che loro stanno cercando di imporre. Qual è la posizione di Hamas? Sono pronti a prolungare il cessate il fuoco e a trasformarlo in una cessazione bilaterale delle ostilità; sono pronti anche a negoziare la fine dell’occupazione in cambio di una tregua a lungo termine.
Le potenze occidentali chiedono ad Hamas di riconoscere Israele e rinunciare alla violenza; cosa risponde il movimento palestinese? Che queste sono esattamente le condizioni che si pretesero dall’Olp anni fa, e una volta accettate e soddisfatte, i Palestinesi ebbero in cambio non la fine dell’occupazione ma una vasta espansione dei territori occupati dai coloni.
Insomma, credo che le potenze occidentali farebbero bene a calibrare la loro politica verso Hamas basandosi sui fatti più recenti, piuttosto che su pretese irrealistiche e altamente premature. E lo stesso dovrebbero fare, se vogliono essere credibili, nei confronti di Israele; fare della politica un’estensione della morale, ma solo per una delle parti in causa, non mi sembra operazione particolarmente produttiva.


 

 

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