Hamas ha
preso tanti voti, è vero. Ha conquistato tanti
seggi, verissimo. Ma un’analisi della composizione
degli elettori che hanno consegnato la vittoria al movimento
islamista ci aiuta a capire che la politica e i negoziati,
ora, sono priorità molto più impellenti
delle ideologie fondamentaliste. Mouin Rabbani ne è
convinto. Giordano, vive ad Amman, esperto di politica
mediorientale e in particolare della situazione palestinese,
Rabbani non vede il pericolo di una Palestina islamista:
ora, spiega, ci sono problemi molto più impellenti
da affrontare e risolvere, come il mantenimento di una
tregua duratura e le innumerevoli difficoltà
di un popolo che deve confrontarsi con la povertà
di risorse economiche e di servizi.
La Palestina ha deciso: grande fiducia ad Hamas.
Questo vuol forse dire che i Palestinesi condividono
l’ideologia di cui il movimento vincitore è
portatore?
Una parte del successo di Hamas viene certamente dal
fatto che molti suoi elettori sono legati ad un’agenda
politica islamista e ne condividono l’ideologia.
Ma ci sono persone che hanno votato Hamas per motivi
diversi; alcuni ad esempio, hanno voluto protestare
contro la corruzione di Fatah e contro il fallimento
della dirigenza dell’Anp nei negoziati che avevano
promesso la realizzazione dei due stati indipendenti
e distinti. D’altra parte Hamas non ha solo beneficiato
del sentimento di protesta, ma ci ha messo del suo,
ha saputo creare interesse in un elettorato assai più
vasto di quello che generalmente coincide con la sua
visione ideologica del mondo e del conflitto israelo-palestinese.
Poi possiamo rintracciare altri motivi. Ovviamente la
politica estera ha rappresentato un elemento cruciale
delle elezioni, basta pensare alle condizioni in cui
vivono i Palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania;
a questo proposito la vittoria di Hamas andrebbe letta
come uno schiacciante rifiuto degli accordi di Oslo
e del processo di pace che vi è associato, soprattutto
da parte di quella parte di popolazione che vive nei
Territori occupati, che sono poi quegli stessi Palestinesi
che nel 1993 più di ogni altro sostenevano gli
accordi. Dal loro punto di vista Oslo altro non è
stato che una farsa crudele e, guardando gli aspetti
più importanti della loro situazione, possiamo
dire che i Palestinesi vivono oggi in condizioni assai
peggiori del 1993. Tutto questo non poteva non avere
riflessi sul risultato elettorale. I fatti che abbiamo
sotto gli occhi ci dicono che i Palestinesi desiderano
la pace, ma hanno categoricamente rifiutato il processo
stabilito a Oslo.
Però rimane il fatto che l’impronta
politica di Hamas resta fortemente islamista. Ad esempio
Muhammad Abu Tir, numero due delle liste elettorali,
ha già suggerito una riforma del sistema scolastico
con classi separate per ragazzi e ragazze e programmi
di studio ispirate ai principi dell’Islam. Cosa
dobbiamo aspettarci da un eventuale governo di Hamas?
Anche se Hamas auspica la realizzazione in Palestina
di una teocrazia islamica, io non credo proprio che
questo progetto possa avere séguito nel loro
prossimo programma di governo. Come già detto,
parecchi elettori che hanno votato Hamas non approvano
questo obiettivo; mi sembra quindi molto improbabile
che Hamas metta in piedi un programma che gli farebbe
perdere il consenso della maggior parte dei suoi elettori.
Hanno già abbastanza problemi così, senza
cercare di trasformare gran parte dei voti conquistati
– giunti da persone che hanno deciso di dare ad
Hamas l’occasione di governare – in una
nuova opposizione. Quanto alla politica interna, poi,
credo che si concentrerà su un governo concreto
e su una efficace distribuzione dei servizi, cercando
di arrivare alla fiducia delle persone prima di introdurre
nuovi argomenti nell’agenda politica.
A marzo anche Israele andrà al voto.
Crede che la vittoria di Hamas in Palestina possa giocare
un ruolo determinante nella scelta degli elettori israeliani?
Certamente la vittoria di Hamas avrà un qualche
effetto sulle prossime elezioni israeliane, ma è
molto difficile fare una previsione e capire adesso
quale sarà questa influenza. A mio giudizio il
tema delle elezioni palestinesi sarà molto sfruttato
dai sostenitori dell’unilateralismo israeliano
per rafforzare la propria posizione; mi riferisco principalmente
a Kadìma, che segue la linea iniziata da Sharon
e cioè il rifiuto di ogni negoziazione basandosi
sul pretesto che non esista alcun interlocutore che
possa imporre ad Israele i propri confini. Hanno rifiutato
di trattare con Arafat prima, con Abbas poi, e rifiuteranno
di trattare con Hamas. Ma, forse, gli elettori israeliani
non giungeranno a questa conclusione, non daranno all’unilateralismo
di Sharon un ruolo importante nella vittoria di Hamas,
non giudicheranno che questa linea politica vada rovesciata
e anzi gli daranno un forte supporto.
Ma i negoziati, per ripartire, hanno bisogno
anche dell’impulso e dell’aiuto diplomatico
delle potenze occidentali.
Washington e Bruxelles affrontano il problema partendo
con il piede sbagliato: sanno bene che Hamas non andrà
mai incontro alle condizioni che loro stanno cercando
di imporre. Qual è la posizione di Hamas? Sono
pronti a prolungare il cessate il fuoco e a trasformarlo
in una cessazione bilaterale delle ostilità;
sono pronti anche a negoziare la fine dell’occupazione
in cambio di una tregua a lungo termine.
Le potenze occidentali chiedono ad Hamas di riconoscere
Israele e rinunciare alla violenza; cosa risponde il
movimento palestinese? Che queste sono esattamente le
condizioni che si pretesero dall’Olp anni fa,
e una volta accettate e soddisfatte, i Palestinesi ebbero
in cambio non la fine dell’occupazione ma una
vasta espansione dei territori occupati dai coloni.
Insomma, credo che le potenze occidentali farebbero
bene a calibrare la loro politica verso Hamas basandosi
sui fatti più recenti, piuttosto che su pretese
irrealistiche e altamente premature. E lo stesso dovrebbero
fare, se vogliono essere credibili, nei confronti di
Israele; fare della politica un’estensione della
morale, ma solo per una delle parti in causa, non mi
sembra operazione particolarmente produttiva.
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