L’unica
strada è integrare Hamas nelle dinamiche politiche.
Non c’è altro modo per limitarne la portata
fondamentalista e terrorista. Non c’è altro
modo per far progredire il processo di pace. Questa
l’analisi che porta avanti, dall’International
Crisis Group, un gruppo di esperti che studia i conflitti
sparsi per il mondo in cerca di soluzioni, in cerca
di alternative. Nel rapporto
dedicato alle elezioni palestinesi e alla crisi in Medio
Oriente si legge chiaramente che “Stati Uniti
e Unione europea hanno sempre ignorato Hamas piuttosto
che considerarla parte attiva e in causa della questione
palestinese”. La conseguenza è sotto gli
occhi di tutti: Hamas ha guadagnato credito, popolarità
e fiducia presso i palestinesi, mentre le potenze occidentali
hanno perso contatto con le popolazioni direttamente
coinvolte nella questione. Lo dimostrano le parole di
un cittadino di Betlemme che si dice “molto arrabbiato
verso le potenze occidentali che minacciano sanzioni
contro l’Anp: tutto quello che ottengono è
la paura della gente, non certo di Hamas”. È
una testimonianza raccontata da Nicolas Pelham, esperto
di Crisis Group per l’area mediorientale, il quale
riprende il tema battuto dal rapporto: integrare Hamas
nelle dinamiche politiche, allontanarla dagli esplosivi
e avvicinarla ai tavoli delle trattative. Un processo
certamente lungo, senza dubbio rischioso, ma indispensabile
per far avanzare il processo di pace. La tesi è
confermata, secondo Pelham, dalla situazione attuale,
con le minacce di tagliare fondi economici alla Palestina.
“I segnali che possiamo cogliere in Palestina
– dice il giornalista che collabora con numerose
testate inglesi e arabe – ci dicono chiaramente
che più si cerca di mettere Hamas sottopressione,
più cresce il rischio di un inasprimento della
situazione”.
Al momento attuale Hamas, prima ancora che la maggioranza
nell’Anp, ha guadagnato un gran numero di amministrazioni
municipali. È la forza politica più vicina
ai palestinesi, il movimento che più di tutti
gode della fiducia delle persone. “I paesi occidentali
– continua Pelham – hanno ora poco spazio
per raggiungere i palestinesi con progetti di aiuto,
perché Hamas si è radicata nel territorio
e nella sua gestione molto in profondità. Aggiungiamo
poi che i donatori si trovano a lavorare con un elevato
numero di intermediari che aumenta ancora di più
la distanza dalla gente comune”. È così
che si riproduce lo stesso errore che ha indebolito
gli accordi di Oslo, “che hanno fallito non tanto
per la quantità di aiuti stanziati, quanto perché
non hanno saputo conquistare la fiducia e il sostegno
delle popolazioni coinvolte”.
Lo scenario che si prospetta mette il Quartetto che
cerca di gestire il delicato momento in Palestina (Usa,
Ue, Russia e Nazioni Unite) di fronte al rischio concreto
non solo di perdere sempre più la fiducia dei
palestinesi, ma anche di vedere sempre più diminuita
la propria autorità nell’area. “Lo
sceicco Saleh Sabri, Muftì di Qalqilya, ha chiamato
i suoi consiglieri a boicottare ogni progetto di aiuto
vincolato a clausole restrittive”, sottolinea
Pelham mettendo in evidenza il pericolo più grande
portato dalle minacce di boicottaggio: “Piuttosto
che implorare per gli aiuti – conclude il giornalista
inglese – l’Anp potrebbe rivolgersi con
maggiore insistenza ad altri sostenitori, come l’Arabia
Saudita e l’Iran, volgendo lo sguardo sempre di
più a Est, piuttosto che a Ovest, per garantirsi
risorse di sussistenza”.
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