Tratto
dal quotidiano L'Unità
Se c’è un modo sicuro per soffiare sul
fuoco del “conflitto di civiltà”
è fare di ogni erba un fascio, c’è
chi non aspetta altro (dopo i 5 anni che abbiamo avuto
per riflettere sull’11 settembre ancora non riesco
a trovare altra spiegazione logica). Ogni occasione,
tragica, o piccola e insignificante è buona.
Non è sempre possibile, forse non basta nemmeno
non dargliene l’estro. Ma sarebbe già qualcosa.
La baraonda che si è scatenata sulle vignette
di Maometto terrorista pubblicate da un giornale di
Copenhagen (lo scorso settembre, anche se più
recentemente riprese da un’altra pubblicazione).
Il segretario (turco) dell’Organizzazione per
la conferenza islamica che chiama in causa il Papa per
la satira di questo giornale di un paese a prevalenza
protestante. Pavarotti contestato in Turchia perché
infedele. La musica “occidentale” proibita
alla radio iraniana. Il più grande scrittore
vivente in lingua araba, l’egiziano Nagib Mahfuz,
sopravissuto ad una coltellata alla gola nel 1994 da
parte di un fanatico di Al Jihad, che arriva a chiedere
ai teologi islamici l’imprimatur su un suo libro
condannato come blasfemo nel lontano 1959. La vittoria
elettorale di Hamas in Palestina. La tentazione di mettere
tutto questo nello stesso sacco – quello dell’impossibilità
di “capirsi” con l’islam, tutto l’islam
– è forte. Ma sono convinto che per non
cadere nella trappola, quella che ci porterebbe dritti
a “diventare come loro”, cioè perdere
la partita, sia meglio distinguere, spaccare il capello
in quattro se occorre, evitare i polveroni. Anche perché
quel che ci fa più impressione potrebbe essere
meno preoccupante di quello che invece appare invece
rassicurante.
L’ultima è che il gruppo islamico danese
che aveva scatenato il putiferio contro le caricature
di Maometto pubblicate dal Jyllands-Posten ha accettato
le scuse presentategli dal premier Rasmussuen, il quale,
dopo aver fatto notare che nei paesi liberi non spetta
ai governi censurare la stampa, ha dichiarato che a
lui non sarebbe mai venuto in mente di “rappresentare
Maometto, Gesù, o qualsiasi altra personalità
religiosa in modo che possa offendere qualcuno”.
Non è detto che basti a far rientrare la buriana,
far fare marcia indietro su dichiarazioni indignate
e passi diplomatici da tutto il mondo musulmano, richiami
di ambasciatori, minacce di boicottaggio economico,
e di terrorismo contro Danimarca ed Europa. Né
a far cessare manifestazioni e incidenti, che a Gaza
hanno visto persino l’occupazione da parte di
uomini armati dell’ufficio di assistenza tecnica
dell’Ue. Ma c’è da notare che le
manifestazioni a Gaza non erano promosse da Hamas, la
formazione ultrà vincitrice delle elezioni, ma
dal gruppo della Jihad islamica, che non può
vantare un successo analogo alle urne, e forse cerca
di rifarsi su un altro terreno.
La risposta di Hamas appare più calma. Si sono
limitati a promuovere il boicottaggio dei prodotti danesi.
Successo democratico oblige, la priorità
è ora togliersi lo stigma sanguinario. Agli occhi
dell’Europa. Ma anche agli occhi degli americani.
Il Washington Post ha pubblicato un intervento del loro
numero due Musa Abu Marzuk, a prima vista un capolavoro
di moderazione. Arriva a rivendicare, oltre alle “mani
pulite” e alla trasparenza nel governare, il “pluralismo”,
il riconoscimento delle “tradizioni giudaico-cristiane”,
pari dignità in Terra santa per tutte e tre le
religioni che si richiamano al patriarca Abramo. Parla
di “tolleranza”, “reciproco rispetto”,
“dialogo senza pregiudizi e precondizioni”.
Invoca “il giorno in cui vivremo insieme, di nuovo
gli uni accanto agli altri”. Magnifico, incomparabilmente
meglio dell’esaltazione dei “martiri”
suicidi. Ma anche le buone notizie hanno il rovescio
della medaglia: il suo invito agli israeliani a “riflettere
sulla pace che i nostri popoli godevano un tempo, e
alla protezione che i musulmani hanno sempre fornito
alla comunità ebraica” conferma che quello
che ha in mente è ancora uno Stato islamico in
tutta la Palestina, non due Stati, che in questa idea
di convivenza non c’è posto per Israele.
A doppio taglio sono anche notizie minori. Fa certo
impressione leggere che in una recente trasferta in
pullman del Coro dell’orchestra della televisione
turca qualcuno si sia preso la briga di far togliere
un cd del “ghavur”, infedele Pavarotti per
sostituirlo con un altro di musica popolare turca. Brutto
segno, rompe con una tradizione laica. Ma il lato della
medaglia che mi interessa di più è che
la cosa si è risaputa e ha assunto proporzioni
di scandalo nazionale perché i musicisti hanno
protestato. Mi fa certo impressione che il nuovo primo
ministro dell’Iran, Ahmadinejad, abbia recentemente
pensato di rivangare una vecchia proibizione, che risale
a Khomeini, della “musica occidentale” sulle
trasmittenti pubbliche. Non è chiaro se riguardasse
solo il rock e la musica che anche certi ultrà
religiosi dalle nostre parti denunciano come “satanica”,
o anche di Beethoven e Mozart. Khomeini disse una volta
alla Fallaci che lo intervistava che della musica occidentale
gli piacevano le marce e che Beethoven o Bach non sapeva
chi fossero. L’ayatollah aveva anche pronunciato
nel 1989 la fatwa di condanna a morte contro Salman
Rushdie. Ma la cosa era caduta quando si era cominciato
a parlare anche a Teheran di rapporti normali con gli
Stati Uniti, anzi persino con Israele. Cosa ha fatto
precipitare tutto indietro di un quarto di secolo? Comunque
anche qui c’è un risvolto della medaglia:
il fatto che radio e tv iraniane continuano a trasmettere
imperterriti musica “occidentale” e che
probabilmente nessuno è in grado di impedire
ai giovani islamici iraniani di ascoltare la musica
che piace ai loro coetanei nel resto del mondo.
La peggiore, o comunque la più triste, delle
notizie che ho elencato all’inizio di questo articolo
mi pare quella che riguarda Mahfuz. Il libro di cui
lo scrittore ha chiesto la riabilitazione ai teologi
dell’Università Al Azhar del Cairo (e per
cui, secondo notizie da Londra, ora chiederebbe addirittura
una prefazione dei Fratelli musulmani) era stato giudicato
blasfemo perché nella storia del patriarca che
caccia di casa e maledice i figli qualcuno aveva letto
una metafora di Allah che maledice Maometto, Gesù,
Mosè e la scienza. Si può capire che Mahfuz
non voglia più essere accoltellato e non voglia
che si brucino i suoi libri. Ma chi gliel’ha fatto
fare alla sua età? Il vento maligno che tira
o la speranza che i teologi islamici prendano le distanze
dai fanatici? Far d’ogni erba islamica un fascio
quale delle due ipotesi rischia di favorire?
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