293 - 03.02.06


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Storia interrotta di
un leader imprevedibile

Chiara De Felice



Ariel Sharon, il “leone di Dio” – questo il significato in ebraico del suo nome –ha avuto un ruolo da protagonista in tutti i conflitti che hanno coinvolto Israele dal 1948 a oggi. Nato nel 1928 nella Palestina sotto mandato britannico, a 17 anni inizia la carriera militare che abbandona nel 1973 quando decide di passare alla politica. È la mossa a sorpresa nella guerra del Kippur – contro gli ordini dei superiori circonda le truppe egiziane e ribalta le sorti del conflitto – che gli vale il successo e l’ingresso in politica. Nel 1982, da ministro della Difesa, è l’artefice dell’invasione del Libano. Costretto alle dimissioni dopo le stragi di Sabra e Chatila – compiute da milizie cristiane – torna nel governo nel 1984 prima come ministro del Commercio e dell’Industria, poi nel 1990 come ministro dell’Edilizia. È in questa veste che dà un grande impulso alla colonizzazione dei Territori palestinesi. Nel maggio 1999, dopo la sconfitta di Netanyahu alle elezioni e le sue dimissioni da leader del Likud, Sharon diventa capo del partito che conduce al governo nel 2001.

Il politico col pugno di ferro

A Sharon piace citare spesso il consiglio che sua madre gli diede all’inizio degli anni Ottanta, mentre era impegnato nei negoziati con gli egiziani: “Non ti fidare di loro! Non puoi fidarti di un pezzo di carta!”. Più che nelle parole, infatti, l’uomo con la fama di ‘bulldozer’ ha sempre creduto nell’azione. Già controverso come leader militare, da politico è ugualmente discusso. Eletto premier, usa il pugno di ferro e costringe più volte il leader dell’Anp Arafat a lunghi periodi di isolamento, stringendo in una morsa i Territori sconvolti dalla seconda intifada, la rivolta armata lanciata contro Israele dopo la controversa visita di Sharon sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. Ed è solo negli ultimi anni, dopo la decisone di ritirare i coloni israeliani dalla Striscia di Gaza, che ha acquistato la statura dello statista, guadagnando consensi da tutte le aree politiche. Lo smantellamento degli insediamenti dopo trentotto anni di occupazione delle terre conquistate nella guerra del 1967, è la svolta inattesa: un leader di destra, con la reputazione di temuto generale, riaccende la speranza in un cambiamento reale.

Avanti con Kadìma, il partito che nasce vincitore

Alla fine del ritiro da Gaza, lo scorso settembre, la spaccatura in seno al Likud è ormai insanabile e spinge Sharon a fondare un nuovo partito, Kadìma (letteralmente ‘Avanti’), e a chiedere lo scioglimento del parlamento, convinto di vincere sui rivali laburisti alle elezioni di marzo. Stando ai sondaggi pubblicati sulla stampa israeliana in questi giorni, Kadìma continua a crescere nonostante l’assenza di linee guida. Sapere che sarebbe stato Sharon il leader del nuovo partito è stato sufficiente a garantire l’appoggio di molti israeliani, anche di coloro che hanno sempre votato a sinistra. Il ritiro dei coloni da Gaza è la mossa che ha spostato i consensi. In Israele c’è un detto che recita: “La sinistra parla di pace, ma solo la destra è in grado di portarla davvero”. Nessuna meraviglia, dunque, per il larghissimo favore che Kadìma si è guadagnato fin da subito. Ma il neopartito è tutt’uno con il suo fondatore che ora giace in ospedale, e il dubbio è su quanto peserà la sua assenza dalla campagna elettorale e dal confronto politico di marzo. Alcuni sondaggi ritengono che la nuova formazione possa perdere fino al 50% dei voti.

Il mondo arabo non piange

Per molti palestinesi Sharon è un criminale di guerra. “Non aspettiamo altro che muoia, la sua scomparsa sarà il nostro sollievo”, dice un commerciante di Palestine Square a Gaza. Non possono dimenticare il massacro negli accampamenti di Sabra e Chatila nel 1982, né le migliaia di morti durante i quattro anni di Intifada. Colui che per la commisione Kahan – istituita da Israele per accertare le responsabilità dopo l’invasione del Libano in cui persero la vita migliaia di rifugiati palestinesi – fu “indirettamente colpevole”, per il popolo palestinese lo è direttamente. Quando parlano del “mastino” Sharon l’unico rimpianto che hanno, semmai, è di non aver avuto un leader come lui: “È un capo fedele e il suo popolo può contare su di lui molto più di quanto gli arabi possano fare con i loro leader”, dice un altro commerciante. E fra i palestinesi resta forte la convinzione che il ritiro israeliano da Gaza sia stata una mossa strategica, un piano per mettere per sempre in formaldeide il sogno di uno stato palestinese.



 

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