La tormentata
vicenda della scuola islamica di via Quaranta è
stato un caso esemplare che ha messo a dura prova le
capacità di una città, di un paese e di
un intero sistema scolastico di fronte a un problema
nuovo, di fronte a difficoltà e bisogni determinati
dal flusso di immigrati e di culture diverse entro i
nostri confini, di fronte a uno stato di necessità.
E il prossimo futuro vede le domande sollevate a via
Quaranta entrare a far parte della nostra quotidianità.
Dalla vicenda di via Quaranta «Reset», che
da qualche tempo ha orientato la sua ricerca sul tema
dei rapporti interculturali e ha recentemente fondato
un’associazione internazionale per il dialogo
tra le civiltà, ha preso lo spunto per il convegno
«Immigrati, scuola pubblica, diritto alla scuola
confessionale» cui hanno partecipato a Milano
Magdi Allam, Giancarlo Bosetti, Paolo Branca, Amos Luzzatto,
Susanna Mantovani, Andrea Ranieri, Souad Sbai.
L’incontro è stata l’occasione per
centrare l’attenzione su come il tema dell’intercultura
appartenga al corredo concettuale indispensabile alla
nostra epoca per tutti coloro che difendono il principii
della tolleranza, della solidarietà e della cooperazione
fra diversi. Intercultura, dunque, ma non multiculturalismo,
non facciamo confusione e distinguiamo: da una parte
le situazioni obiettivamente multiculturali delle nostre
città europee, delle grandi metropoli e di tanta
parte del mondo in cui l’immigrazione ha modificato
le situazioni di omogeneità e di compattezza
culturale di un tempo remoto; dall’altra l’ideologia
del multiculturalismo che persegue invece la coltivazione
della differenza e dell’isolamento delle comunità
come società parallele, rischiando così
di essenzializzare le singole identità seguendo
forse intenzioni benigne, ma certamente affidandosi
a un trattamento concettuale non lontano da quello del
razzismo.
Sviluppare e vivere una dimensione interculturale è
un’impresa che richiede condizioni determinate,
a volte costose, e che non può prescindere da
uno spirito di riflessione e di moderazione che tenga
lontane le esasperazioni, e con esse il rischio di annebbiare
la comprensione del problema.
In un simile contesto il sistema scolastico ci si presenta
come un test di interculturalità, assai difficile
ma inevitabile, perché in presenza di flussi
di immigrazione, alla scuola chiediamo, tra l’altro,
di far convivere identità specifiche e multiple,
di rispettarle e praticarle per comunicare nelle differenze
linguistiche, culturali e confessionali.
Alla scuola pubblica chiediamo di saper far fronte a
questo bisogno che è la via maestra per l’integrazione
degli immigrati di ogni genere. Allo stesso tempo, le
scuole confessionali rappresentano il diritto, riconosciuto
a tutti i cittadini, di poter dare ai propri figli una
formazione ispirata dai valori della propria religione;
l’esercizio di tale diritto, tuttavia, non può
in alcun modo sfuggire alla legalità e alla piena
compatibilità con gli ordinamenti della Repubblica,
senza disparità tra scuole di confessioni diverse.
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